Aborti e ricerca, 88 milioni da Biden. E sui nati vivi…
Mar 15, 2022di Ermes Dovico
Un progetto dell’Università di Pittsburgh interroga i medici sulla possibilità che ai bambini vengano estratti organi da vivi. E l’Amministrazione Biden stanzia 88 milioni di dollari per ricerche su tessuti umani fetali - come i trapianti da bambini a topi. Maggiore finanziatore il NIAID diretto da Fauci.
Il commercio - a fini di “ricerca scientifica” - di linee cellulari, tessuti e organi di bambini volontariamente abortiti è una realtà nota, sebbene poco denunciata nella sua tragicità. Ma quel che va emergendo sempre più negli Stati Uniti sulla base di documenti ufficiali, nonché dei pareri di diversi addetti ai lavori, è la possibilità che gli organi vengano abitualmente ottenuti da bambini ancora vivi al momento dell’estrazione. Parliamo, si faccia attenzione, di ricerca finanziata con soldi pubblici.
Al tema il fronte pro-vita guarda con preoccupazione da anni; ma da agosto 2021 si sono aggiunte le 252 pagine di nuovi documenti del Dipartimento della Salute statunitense (HHS), che il Center for Medical Progress - rappresentato legalmente da Judicial Watch - ha ottenuto a seguito di una causa intentata all’HHS dopo che quest’ultimo aveva mancato di rispondere a una precedente richiesta basata sul Freedom of Information Act.
Attraverso l’analisi delle suddette 252 pagine, il Center for Medical Progress (CMP) ha scoperto che nel 2015 l’Università di Pittsburgh ha presentato un progetto all’HHS chiedendo oltre 3,2 milioni di dollari in fondi federali su base quinquennale (ad agosto 2021 ne aveva ricevuti almeno 2,7), con l’obiettivo di espandere la sua ultradecennale raccolta di tessuti fetali e divenire così un vero e proprio hub di tessuti e altre parti di bambini abortiti di età gestazionale pari a 6-42 settimane. In particolare, il progetto dell’Università di Pittsburgh sottolineava di registrare «il tempo ischemico caldo sui nostri campioni e di adottare misure per mantenerlo al minimo per garantire campioni biologici della massima qualità».
Ciò suggerisce, come nota il CMP, che è minimo il tempo tra l’aborto e la raccolta di organi. Un parere confermato da molti professionisti. Tra loro la dottoressa Ronna Jurow, una ginecologa che si definisce pro-choice e con un passato alla Planned Parenthood; Jurow, sulla base delle affermazioni nel progetto dell’Università di Pittsburgh e delle successive dichiarazioni di un suo portavoce (David Seldin), ha detto a Fox News che «non c’è dubbio» che il bambino è vivo durante la raccolta. Per Kathi Aultman, una ginecologa ex abortista e oggi pro-life, in accordo alle parole sul tempo ischemico, «il bambino dovrà o nascere vivo o essere ucciso immediatamente prima del parto». Un’altra dottoressa, Christina Francis, presidente dell’American Association of Pro-Life Gynecologists, argomenta: «Se viene detto che il tempo di ischemia inizia dopo la raccolta dei tessuti, significa che il bambino è ancora vivo nel momento in cui stanno raccogliendo il tessuto». Una barbarie che la Francis paragona alle pratiche del famigerato Kermit Gosnell.
Oltre novanta parlamentari repubblicani hanno sottoscritto una lettera, recante la data del 21 settembre 2021, chiedendo alle autorità competenti di investigare sulle procedure abortive di cui si avvale la ricerca all’Università di Pittsburgh, in particolare sulla possibilità che siano stati estratti organi a dei bambini nati vivi - dopo un aborto indotto - e che questa estrazione sia stata «la causa della morte».
Esperimenti del genere, riguardanti l’Università di Pittsburgh, hanno quasi un secolo di storia, come ha ricordato David Daleiden, fondatore del CMP, a proposito del lavoro del dottor Davenport Hooker, che «ha filmato i suoi esperimenti negli anni Trenta e Cinquanta testando, fino alla loro morte, i riflessi dei bambini abortiti vivi. I filmati sono disponibili su YouTube».
L’Università di Pittsburgh ha cercato di tirarsi fuori dagli impicci commissionando una valutazione legale delle proprie pratiche allo studio Hyman, Phelps e McNamara, che da un lato conclude che le attività dell’ateneo sulla «ricerca riguardante il tessuto fetale umano» sono in conformità con le leggi, ma dall’altro avverte che la propria revisione legale è limitata agli ambiti in cui lo stesso ateneo ha responsabilità diretta e non riguarda quindi «il processo decisionale clinico o la fornitura di cure mediche, come l’aborto [sic!], da parte di individui che prestano servizio come dipendenti dell’Università di Pittsburgh Medical Center (UPMC)», ente privato che non dipende dall’università pubblica da cui deriva il nome.
È evidente, quindi, che la domanda rimane aperta. Ad ogni modo il legame torbido c’è: «I fornitori di aborti di Planned Parenthood fanno parte del personale dell’Università di Pittsburgh ed eseguono aborti presso l’UPMC per ottenere i feti per gli esperimenti dell’università», spiega Daleiden, noto per aver documentato negli anni scorsi una sistematica compravendita di parti di bambini abortiti. Inoltre, il rispetto formale delle leggi non è sinonimo di morale: il fatto che l’aborto indotto sia permesso dalla legge non elimina il peccato, né la problematicità etica - seppur con diversi livelli di responsabilità - dei suoi “frutti”.
Al riguardo va ricordato che con la presidenza Biden c’è stato un ribaltamento delle politiche adottate da Trump. Ad aprile 2021 l’HHS ha annullato la decisione di due anni prima di subordinare la concessione di fondi a progetti extramurali su tessuto fetale alla valutazione di un comitato etico.
In aggiunta, come ricostruito a inizio febbraio dal White Coat Waste, un gruppo che si oppone alle sperimentazioni sugli animali, i National Institutes of Health (NIH) programmano di spendere quest’anno 88 milioni di dollari in ricerche su tessuti umani fetali. Di questa torta, 27 milioni risultano già allocati a ricerche in corso: i fondi provengono per l’80% (21,6 milioni) dal dipartimento diretto da Anthony Fauci, il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). Tra gli esperimenti, il trapianto di organi da bambini abortiti ai topi. In particolare, in uno degli esperimenti finanziati dal NIAID di Fauci, in favore dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, «ai topi sono stati impiantati pezzi tritati di midollo osseo, fegato e timo fetali per fare in modo che i loro corpi imitassero il sistema immunitario umano». Tristemente noto è anche l’esperimento all’Università di Pittsburgh sugli scalpi di bambini abortiti trapiantati nei topi.
Non solo questa ricerca è immorale, ma non è nemmeno necessaria. Il vicepresidente dello Charlotte Lozier Institute, David Prentice, con un dottorato in biochimica, ha spiegato al National Catholic Register che questi esperimenti sono «scienza antiquata», quando «al giorno d’oggi ci sono tecniche migliori e sicuramente etiche, ad esempio l’utilizzo di cellule staminali adulte». Prentice ritiene che il problema a monte di questi finanziamenti milionari da parte dei NIH (agenzia che fa capo al Dipartimento della Salute) stia nell’abitudine a questo tipo di ricerca, almeno quando è al potere il Partito Democratico, e nel fatto che «loro pensano che l’aborto vada bene, quindi non vedono alcun problema». A ciò si aggiunge la «comodità», come sottolinea Daleiden, «di avere una “catena di montaggio” di “materiale” biologico umano, fresco e vivo per uso commerciale e sperimentale».
Questo giova a ricordare che se si fa uso di qualunque prodotto farmaceutico, cosmetico o alimentare - progettato, realizzato e/o testato facendo ricorso a linee cellulari ricavate da bimbi abortiti - c’è sempre almeno una cooperazione remota al male e, anche, una cooperazione alla commercializzazione (vedi p.e. il documento della PAV del 2005). Se perfino una larga parte di cattolici ha smesso di opporsi a questo tipo di sistema, è chiaro che le istituzioni, l’industria dell’aborto e le aziende che lo alimentano, difficilmente cambieranno linea.
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