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Chiusa la mostra blasfema di Carpi, restano le ferite alla Chiesa

la nuova bussola quotidiana riccardo cascioli Apr 19, 2024

di Riccardo Cascioli

L'artista Andrea Saltini e la diocesi di Carpi giocano a fare le vittime per uscire da una situazione insostenibile che loro stessi hanno creato. Il vescovo Castellucci in particolare porta la grave responsabilità di aver diviso la Chiesa, cercando di far ricadere la colpa sui fedeli.

Che la mostra blasfema nella chiesa di sant’Ignazio di Carpi chiuda anzitempo è una buona notizia, ma molte sono ancora le cose da chiarire e anche le ferite da rimarginare. Mostra blasfema – lo ricordiamo – per le rappresentazioni a sfondo sessuale di Gesù e della Madonna; e oltretutto organizzata dalla diocesi di Carpi (oggi dipendente da quella di Modena), che non ha smesso di difenderne il contenuto e le intenzioni dell’artista, Andrea Saltini.

Come già ricordato in altro articolo è stato proprio Saltini ad annunciare la chiusura della mostra, motivandola con il proprio «precario stato di salute» causato dall’aggressione subita lo scorso 28 marzo e dalle manifestazioni di dissenso, nonché con i costi che dice di dover sostenere per la «sicurezza» sua e dei visitatori della mostra. Immediata la solidarietà della diocesi che ugualmente se la prende con «il susseguirsi di attacchi d’odio» contro l’artista e contro i pastori della Chiesa di Carpi.

Giocando il ruolo delle vittime, vescovo e artista hanno pensato così di aver trovato una via d’uscita a una situazione diventata insostenibile. Certamente non per le violenze e le intemperanze di chi ha contestato la mostra, che non ci sono state, a meno di non considerare violenza i rosari di riparazione nella strada di fronte alla sede della mostra. Ma per l’evidenza di un’opera assolutamente incompatibile con uno spazio sacro (e anche con uno spazio profano, a dire il vero); e per le crescenti perplessità riguardo all’aggressione denunciata da Saltini lo scorso 28 marzo, quando fu danneggiata l’opera più controversa (Inri-San Longino) e lo stesso artista denunciò di essere stato ferito dall’aggressore.

E coincidenza vuole che l’annuncio della chiusura della mostra sia arrivato proprio poche ore dopo che la Nuova Bussola Quotidiana ha pubblicato un articolo in cui, citando fonti inquirenti, riportava i tanti punti oscuri riguardanti l’aggressione denunciata: la mancanza di testimoni, l’impossibilità di ricostruire l’identikit del presunto aggressore, le tante incongruenze sulle modalità con cui il fattaccio sarebbe accaduto.

In realtà fin da subito sono emerse alcune stranezze: intanto la prima ricostruzione, che parlava di un accoltellamento al collo dell’artista, è stata smentita il giorno dopo, ridotta a una ferita sul mento a causa di una breve colluttazione. Poi, caso più unico che raro, neanche una fotografia a testimoniare il danno subito dall’opera e le ferite subite dall’artista. E quando l’opera è infine ricomparsa la scorsa settimana, dopo 15 giorni, presentava dei disegni fatti con la bomboletta di vernice e dei tagli alla tela ben studiati e perciò difficilmente compatibili con un’azione d’impulso, rapida e violenta. E ancora: il fantomatico aggressore scomparso nel nulla, nessun elemento capace di portare a un’identificazione, a parte il fatto che era alto due metri.

Tutti elementi che certo non autorizzano alcuna conclusione, ma uniti alle indiscrezioni filtrate ieri da fonti vicine agli inquirenti e riportate dalla Bussola, spingono quantomeno a chiedere di andare a fondo di questa vicenda. Anche perché l’episodio dell’aggressione è stato spregiudicatamente usato, soprattutto dal vescovo Erio Castellucci e da altri rappresentanti della diocesi, per rovesciare accuse infamanti su chi – come noi – ha stigmatizzato da subito la mostra di Carpi; e per insultare e delegittimare le centinaia di fedeli che hanno partecipato ai rosari di riparazione e le decine di migliaia da tutta Italia che hanno firmato un appello per far chiudere la mostra blasfema. E il comunicato di ieri della diocesi ne è una ulteriore conferma.

Proprio il vescovo di Modena e Carpi porta su di sé la grave responsabilità di non avere ascoltato i tantissimi fedeli che si sono sentiti offesi da una esposizione artistica che, come minimo, doveva essere giudicata inappropriata in una chiesa. Non ha avuto il buon senso, una volta scoppiato il caso e avendo anche dichiarato di non aver visto prima i quadri esposti, di correre ai ripari chiudendo tempestivamente la mostra o facendola spostare altrove. Al contrario, ha difeso per principio anche l’indifendibile, preferendo gettare veleno sui fedeli; e usando anche la sua posizione di vice-presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per mobilitare perfino il quotidiano della CEI, Avvenire, per gettare ulteriore fango su chi legittimamente dimostrava pubblicamente il dissenso per quella palese blasfemia.

Con la sua insensata ostinazione, monsignor Castellucci ha provocato una profonda e dolorosa ferita nel tessuto della Chiesa non solo modenese; ha creato divisione, salvo poi accusare di dividere la Chiesa chi dissentiva dall’iniziativa, come se l’unità consistesse nel seguire ciecamente qualsiasi capriccio di un vescovo. È questo il vero clericalismo, così tante volte stigmatizzato da papa Francesco. Che almeno la chiusura di questo triste capitolo serva a far riflettere i pastori, magari facendo loro riscoprire la vera missione della Chiesa.

FONTE : La Nuova Bussola Quotidiana

 

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