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Dal libertinismo al progressismo e alla rivoluzione

francesco lamendola Jul 14, 2022

di Francesco Lamendola

C’è un tassello mancante, nella mappa concettuale delle persone comuni, riguardo al passaggio dalla società cristiana europea alla società anticristiana moderna (perché, questo è il punto che bisogna avere ben chiaro, la società moderna non è, come si dice, post-cristiana, ma radicalmente e visceralmente  anti-cristiana: ha vissuto il cristianesimo per oltre mille anni, e poi lo ha rifiutato con disgusto e con odio), e questo tassello è il libertinismo. Nello studio della storia della filosofia, i programmi d’insegnamento passano di solito dalla cosiddetta Rivoluzione scientifica e dal razionalismo seicentesco – Cartesio, Spinoza, Leibniz – direttamente all’illuminismo e a Kant; se pure i libri di testo contengono un breve capitolo sul libertinismo, i professori in genere lo saltano a pie’ pari: o perché non lo conoscono e non ne valutano in modo adeguato l’importanza, o perché volutamente desiderano occultare allo studente le vere radici dell’Europa contemporanea, adoperandosi affinché a questi sfugga il nesso che collega la realtà presente, sul piano sociale e morale non meno che su quello, giuridico e istituzionale, a quel pensiero e a quell’orientamento complessivo nei confronti della vita.

Parliamo ovviamente del cosiddetto libertinismo erudito (libertinage érudit) e non di altre forme di libertinismo, più o meno antiche e più o meno di matrice spirituale: quello di Giulio Cesare Vanini, di Thépile de Viau, di La Mothe Le Vayer, di Cyrano de Bergerac, di Charles  de Saint-Évremond, di Gabriel Naudé, oltre che di figure più marginali e problematiche rispetto all’epicentro del movimento, ma altamente significative proprio per la loro apparente incongruenza, come l’abate ed astronomo Pierre Gassendi, le quali attestano come un atteggiamento di scetticismo filosofico, di disinvoltura culturale e di blando relativismo fosse penetrato anche fra esponenti di spicco della cultura e del clero cattolico. Che poi vi fosse un legame fra il libertinismo erudito e il libertinismo morale, e specificamente sessuale, è cosa storicamente accertata, anche se sarebbe ingiusto ed eccessivo affermare che il primo serviva solo a mascherare il secondo. Diciamo piuttosto che nel libertinismo filosofico era insita una componente di trasgressione della norma e quasi di sfida ai costumi sociali, per cui era logico e naturale che il pensiero libertino si traducesse in una morale libertina, in modo tale che se da Epicuro veniva ripresa una concezione filosofica sostanzialmente atea e materialista del mondo, le sue conseguenze nella sfera della vita pratica erano caratterizzate dall’assolutizzazione e dall’estrema soggettivizzazione del principio del piacere, inteso sovente in un senso grossolanamente materiale, che di filosofico aveva solo la verniciatura esteriore e serviva in ultima analisi a giustificare razionalmente qualsiasi infrazione alla legge morale ufficialmente accettata e riconosciuta. Come si vide, nel secolo successivo, nella vita di personaggi colti, ma sostanzialmente più avventurieri che pensatori, come Giacomo Casanova e il “divino” marchese D. A. F. de Sade.

Dicevamo che questo del libertinismo filosofico (e morale) è il tassello che manca al pubblico medio per comprendere l’evoluzione, o piuttosto l’involuzione, della società e della cultura europea da una prospettiva ancor saldamente ancorata ai valori cristiani, e specialmente cattolici, ad una prospettiva che invece è proiettata nella direzione opposta, in un senso non solo laicista, secolarista e anticlericale, ma decisamente anticristiano e ferocemente anticattolico, secondo il motto che sarà reso celebre da Voltaire: écrasez l’infâme!, «schiacciate l’infame», trasformato in parola d’ordine e grido di battaglia anticristiano, poiché «l’infame» si può intendere sia come la Chiesa cattolica coi suoi valori (come la intendeva Locke, il quale nel suo Trattato sulla tolleranza escludeva in modo esplicito i cattolici dai benefici di una politica di tolleranza) sia il cristianesimo in quanto tale, visto, come lo vedranno in genere gli illuministi, come un pesante fattore di oscurantismo e di ritardo nello sviluppo della civiltà e nell’affermazione della ragione libera e spregiudicata, contro ogni principio di autorità.

Scrive Ornella Pompeo Faracovi nel suo saggio Il pensiero libertino (Torino, Loescher Editore, 1977, 1983, pp. 12-15):

 

Una prima linea di pensieri libertini viene in luce, con forza esplosiva, negli anni intorno al 1620, in una situazione di crisi politica e intellettuale. Nel 1619 viene arso vivo a Tolosa, sotto l’accusa di ateismo, Giulio Cesare Vanini; Théopile de Viau, porta famoso della cerchia di Gaston d’Orléans, fratello di Luigi XIII, viene bandito da Parigi. (…)

Giulio Cesare Vanini aveva condensato in due opere pubblicate in Francia nel 1615-16 il rigoroso razionalismo della scuola padovana, il cui intransigente aristotelismo aveva fatto piazza pulita delle interpretazioni tomistiche e del primato della teologia. Al libertinismo seicentesco Vanini trasmetteva, in uno stile divulgativo e brillante, la rivendicazione di un’indagine razionale sottratta a ipoteche teologiche: l’immagine di un mondo governato da leggi inflessibili, di una natura intrinsecamente animata da un principio di vita – di un mondo  nel quale è integralmente inserito l’uomo, la cui anima, frammento dell’anima cosmica, torna a immergersi, al disgregarsi del corpo, nella vita universale. Quanto alla compatibilità  di tali affermazioni con una prospettiva cristiana Vanini è fermo, come i maestri padovani, nel distinguere il piano dell’indagine razionale da quello della rivelazione: il filosofo non può indietreggiare davanti alle proprie conclusioni; alle verità dogmatiche egli potrà credere soltanto  sul piano della fede. (...)

Altra cosa è la produzione poetica di Théopile de Viau, letterato legato a cerchie nobiliari nelle quali la polemica contro l’assolutismo regio rivestirà, lungo tutto il secolo, i toni di una critica anti-religiosa non aliena da manifestazioni clamorose. Dal naturalismo cinquecentesco Théopile riprende l’immagine di un mondo dominato da leggi intrinseche, estraneo a interventi provvidenziali; da Lucrezio assume il senso della morte come cessazione totale della vita individuale, come dissoluzione degli elementi che compongono l’uomo, come ritorno al fluire inesauribile delle cose. Su questo sfondo si sviluppa il vagheggiamento del ritorno alla natura, inteso come approdo a una sorta di età dell’oro in cui soltanto l’amore e l’amicizia governino le relazioni tra gli uomini, come rifiuto delle convenzioni sociali, come possibilità di valere per quel che si è, di essere autenticamente se stessi. La visione eterodossa del mondo e gli spunti corrosivi di critica sociale, espressi in componimenti  poetici largamente accessibili e diffusi, fanno di Théopile la punta di diamante del “radicalismo” di questi anni. Ma, mentre il razionalismo di Vanini e quello, diversissimo, dei “Quatrains” [“Quatrains du déiste” o “Antibigot”, poema anonimo confutato dal padre Marin Mersenne] esprimevano una esigenza progressiva di emancipazione dall’intolleranza religiosa, la rivolta di Théopile è il riflesso dell’inquietudine di gruppi intellettuali legati alla grande feudalità, la cui opposizione all’assolutismo, al compromesso con l’ortodossia cattolica, al ristrutturarsi della gerarchia e  delle consuetudini sociali, assume un tono politicamente reazionario.

Ancora un’altra cosa è, infine, la vasta circolazione di temi magici e occultistici che attraversa l’Europa del primo Seicento, esprimendosi nell’attività delle sette segrete, soprattutto di quella dei Rosacroce, e in una serie di scritti, tra i quali assai noti sono quelli di Robert Fludd. Qui è l’eredità dell’ermetismo rinascimentale a fornire le armi per una battaglia contro il disegno egemonico della Controriforma, nel nome di un ideale rinnovamento religioso e politico che ponga fine alle discordie del mondo cristiano. L’ispirazione anti-cattolica di questo tipo di posizioni è evidente negli elementi protestanti insiti nel movimento dei Rosacroce, che trova la propria origine nella Germania luterana e che presenta elementi luterani nella denominazione e nell’emblema prescelti. Ma, al di là dello stesso Luteranesimo, nei manifesti rosacrociani riemergono gli ideali riformatori delle correnti liberali, filo-francesi e anti-spagnole, già vive in alcuni ambienti italiani: l’istanza di una riforma universale presente negli scritti di Giordano Bruno e del primo Campanella. Nel movimento dei Rosacroce, e più in generale nella letteratura magica e occultistica dell’epoca, l’esigenza di pacificazione e di superamento delle fratture religiose si esprime nella forma di una interpretazione allegorizzante, cabalistica, del testo sacro. Questa tematica, che non mancherà di influenzare le prospettive della nascente Massoneria, rivela un’inquietudine largamente diffusa in Europa; la stessa inquietudine che si trova nel libertinismo francese degli anni ’20.

 

Si noti che questa ricostruzione non è troppo obiettiva; l’autrice assume implicitamente il punto di vista della “battaglia” che i libertini stavano conducendo contro la cultura e la società (cattoliche) del loro tempo. Ciò viene pienamente in luce là dove la tradizione ermetica rinascimentale, ripresa dai Rosacroce, e da questi trasmessa ai libertini del XVII secolo, viene individuata come la ricerca delle “armi” necessarie a condurre la (buona) battaglia contro il «disegno egemonico della Controriforma», un’espressione, quest’ultima, che è tutto un programma, a cominciare dall’uso disinvolto del termine “Controriforma” che la maggior parte degli storici ha da tempo abbandonato, riconoscendone il carattere riduttivo e per nulla obiettivo. E poi, che significa il disegno egemonico  della Controriforma? La Chiesa cattolica, all’epoca, era sotto attacco da parte dei protestanti: è da essi che è partita l’azione rivoluzionaria, ed è servita a finanziare le ambizioni dei principi e dei sovrani, come quello inglese, bramosi di confiscare i beni ecclesiastici. Non ci sembra appropriato definire “disegno egemonico” la reazione difensiva della parte aggredita: al contrario, ci pare che tale modo di esprimersi sottintenda un capovolgimento intenzionale del rapporto effettivo tra le due parti in lotta. Ancora: davvero si può dire che una posizione chiaramente ispirata da ragioni anticattoliche, come l’Autrice ammette, esprimesse un ideale di rinnovamento religioso inteso a por fine alle discordie del mondo cristiano? L’idea di porre fine alle discordie fra due parti mal si accorda col riconoscimento che tale progetto nasceva dall’incrollabile opposizione contro una di esse. Viene infatti a cadere la cosa essenziale per un pacifico rinnovamento, cioè il riconoscimento delle buone ragioni e della pari dignità di tutte le parti in conflitto. E che non si stia parlando solo di un progetto spirituale e culturale, ma anche politico e ideologico, appare chiaro dall’affermazione che nei manifesti rosacrociani prendevano corpo le correnti “liberali” (concetto usato alquanto anacronisticamente) di derivazione italiana, filo-francesi e anti-spagnole: come in certi storici protestanti e tutt’altro che obiettivi, come Giorgio Spini, la causa della Francia è qui identificata con le speranze di un “rinnovamento” sia spirituale che politico (come è chiaro dalla citazione di Bruno e di Campanella) a dispetto del feroce centralismo e autoritarismo di Richelieu e Mazzarino; mentre si dà per scontato che la causa della Spagna coincide con quella del bigottismo, della repressione del pensiero e dell’intolleranza. Significativo l’accenno alla Cabala come forma d’interpretazione delle Sacre Scritture (cristiane, si suppone, anche se non è detto esplicitamente) come componente non marginale della proposta culturale dei Rosacroce, che poi passerà ai libertini; e più ancora quello alla letteratura magica e occultistica tardo-rinascimentale. Ciò è quasi come mettere la firma sotto un complesso d’idee che ci si sforza di presentare, genericamente, come aperte, progressive, tolleranti e soprattutto pacifiche: mentre la sola radice comune alla magia e all’occultismo da una parte, e al “metodo” cabalistico introdotto surrettiziamente nell’esegesi dei testi cristiani, dall’altra, è, ancora una volta - ma qui la cosa sembra quasi scivolare via, senza che il lettore ne abbia piena contezza – un’impostazione “progressista” che in una cosa sola trova tutti d’accordo: l’odio contro il cattolicesimo e la Chiesa di Roma. Il che traluce dal riferimento alla Massoneria, presentata – giustamente – come l’erede naturale e quasi il bacino collettore di tutte queste idee ed inquietudini eterogenee, ma con un comune denominatore: l’avversione al cattolicesimo.

In questo, è chiaro, il libertinismo, insieme alla Rivoluzione protestante, che ne è il presupposto storico e una sorta di costante modello ispiratore per una parte della società francese (e italiana) si può considerare come il fattore decisivo della transizione della civiltà europea verso la modernità, vissuta come rescissione consapevole delle proprie radici cattoliche. In questo senso, se Lutero è il primo esponente del pensiero moderno (che non è affatto progressivo, come si favoleggia, visto che egli parte dalla negazione del libero arbitrio e cioè della cosa più preziosa che aveva caratterizzato la civiltà cristiana, e prima la grecoromana, e dopo la rinascimentale), Vanini, Le Viau, La Mothe Le Vayer, Saint-Évremont ne sono i naturali eredi. I quali parlano sempre della libertà dell’uomo e del diritto a esser pienamente se stessi: ma è un’altra vuota idea moderna, perché l’uomo è se stesso non quando fa quel che gli piace, come affermano sulla scia di Epicuro, ma quando è ciò che deve...

 

 

 

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