Emergenza educativa - La lezione di Machiavelli
Feb 28, 2024di Giovanna Ognibeni
Emergenze. Una, Nessuna, Centomila.
L’Emergenza è la nuova normalità. Il cambiamento climatico è emergenziale; da parecchi anni è lì lì per distruggere il pianeta: la Nuova Chiesa di Davos arruola la medievalissima vergine profetessa con tanto di treccine bionde che schiuma minacce ai potenti della Terra. Dalla fastidiosa adolescente un altro flagello biblico, il Covid, ci libera a caro prezzo, poi l’orso russo e infine ci troviamo incagliati nel Mar Rosso. Completato il giro, le paline alle fermate dei bus ad ogni piovasco segnano l’allerta e nelle pause ci sono le cimici da letto che al pari di bibliche locuste minacciose scendono da Oltralpe come Annibale con i suoi elefanti.
Il punto è che non si deve mai stare tranquilli. Nessun dorma!
Per fortuna l’emergenza educativa, oscillante tra Una e Nessuna ma ben consolidata e strutturata, viene affrontata con calma e ponderazione: se ogni tanto bande di ragazzi e ragazzini si sprangano il sabato sera e anche nei giorni infrasettimanali o qualche ragazzotto accoltella la ragazza o la prof. si propongono 30 ore di educazione all’affettività, lo psicologo scolastico, quello online, e soprattutto sfiancanti predicozzi formato magnum su rispetto e dialogo. Un cerotto su una bella rasoiata. Semmai il trambusto isterico che ogni volta sorge mette in luce lo smarrimento delle coscienze e la pochezza delle Istituzioni. La Destra e la Lega, smarrita la loro sana anima bottegaia, si avventurano nel campo più sofisticato delle grandi questioni culturali e finiscono col copiare dal compagno di banco del PD.
Quando poi le intemperanze giovanili diventano troppo frequenti si incomincia a ricercarne le cause (anche il medico più malaccorto al ventesimo bubbone incomincia a sospettare che vi sia qualcosa che non va nell’ organismo) e, guarda la coincidenza, la più importante si è trovata nel patriarcato.
Beh, si scrive patriarcato ma si legge famiglia cristiana (da non confondersi assolutamente coll’omonimo giornale).
Capita che una giornalista esperta di sparizioni e delitti se ne esca talvolta con un amaro “ah le nostre famiglie”, il cui sottotesto chiarissimo è che è ipocrita far tante storie sulle famiglie omosessuali, su divorzi e coppie transeunti, quando nelle famiglie tradizionali – e la tradizione occidentale è cristiana – succedono di queste porcate. Interessante l’assioma culturale per cui dopo che da decenni è stato messo sotto accusa l’impianto educativo tradizionale i risultati non particolarmente esaltanti vengano addebitati a quello stesso impianto.
Come dire se la medicina non ha effetto, aumentiamo le dosi, o in altri termini tachipirina e vigile attesa.
È da diversi decenni che è andato affermandosi nel campo dell’educazione familiare un radicale cambio di paradigma, che in tanti aspetti mostra assonanze con quello della Chiesa postconciliare in una spirale, in entrambi i casi, via via più vorticosa.
Questo ha significato anzi tutto il recidere i legami con la Tradizione e le tradizioni (e nell’educazione religiosa familiare la tragedia è già sconfinata nel grottesco). Il passato era sbagliato e comunque non ha più nulla da dirci tanto meno da insegnarci; meglio affidarsi alle scienze pedagogiche, alla tecnica – tecniche ispirate al criterio supremo della funzionalità. Nelle famiglie ci si rivolge a pediatri, a manuali su come diventare ‘genitori efficaci’, a psicologi e forum di madri ansiose, nelle parrocchie fioriscono come pratelline in primavera gruppi, iniziative, comitati e comitatini.
Vediamo allora come se la cavavano le generazioni passate ancora prive dei dettami scientifici. Mi ricordo di quando a passeggio con mamma e papà mi mettevo a correre seguita immancabilmente dal grido malaugurante:”non correre che puoi cadere, spesso seccamente predittivo: che cadi”. Per il malefico potere insito nella natura genitoriale, non riuscivo a fare 10 metri che ero già a terra con le ginocchia escoriate e il ghiaietto appiccicato alla ferita. Non avevo ancora deciso se e quanto piangere quando mia madre scendeva a picco sopra di me e mi scuoteva il braccio come fosse la pompa dell’acqua nei vecchi acquai, qualche volta aggiungeva uno sculaccione pro forma e un “te l’avevo detto, guarda ora il vestito”.
Orribile, vero? Ma istruttivo: imparavi sul campo che le azioni hanno inevitabili conseguenze e che non necessariamente gli adulti, gli altri te la faranno passare sempre liscia.
Altra diapositiva, più recente. Un ragazzino irato con il mondo e specialmente con sua madre perché non ha preso le sue parti nel litigio col fratello, mentre aspetta che qualche fulmine dal cielo ristabilisca la giustizia entra in ascensore col vicino che lo saluta. Contemporaneamente sente le dita materne sulla spalla, con quella forza stritolatrice che solo la mano amorosa di una madre può avere mentre gli suggerisce con una vibrazione d’acciaio nella voce: “su, saluta il signore”.
Così il giovane Werther impara che il mondo va avanti anche se a lui sembra che si siano scatenate le forze degli inferi, che esistono gli altri e le regole della convivenza civile. Insomma che non è il centro dell’universo o come si preferisce dire oggi proprio speciale.
Oggi succede che un ragazzino sui 10 anni, capace quindi di leggere, preso da giovanile irrequietezza, in un Grande Magazzino apra la porta di sicurezza e faccia scattare l’allarme: si spaventa e corre tra le braccia amorose del padre che lo rassicura- non è successo niente!
Eh no, caro signore, è successo che il segnale sonoro abbia appunto allarmato le persone, che gli addetti siano dovuti accorrere a controllare e a disattivarlo: ora non dico che dovesse chiudere il bambino per due giorni nella legnaia, anche perché probabilmente non ce l’ha, ma un’inflessione (leggerissima) di rimprovero nella voce avrebbe potuto mettercela.
Succede che un delizioso bimbetto prenda a calci la persona davanti in fila e che i genitori gli dicano “no, non fare così se no il signore si arrabbia”, il che, loro inconsapevoli, è una specie di rivoluzione copernicana nell’educazione: il bambino non viene richiamato a non dare fastidio all’incolpevole vicino, ma al contrario è represso nella sua legittima aspirazione a fare quel che più gli aggrada dalla presenza molesta di un terzo.
Ho visto cose… insomma ho visto padri letteralmente inginocchiati per strada davanti ai loro bimbetti di 3 anni per convincerli ad aspettare un poco prima di avere la focaccia o la pistola laser appena vista nel negozio. A supplicarli, perché se non riesci a convincerli, è solo colpa tua. Ho notato che questa coazione funziona soprattutto sui padri: le madri forse in virtù del legame biologico di fatto sono molto più libere nei confronti della prole scellerata e possono partire in ogni momento con l’urlo che terrorizza Occidente e Oriente. I padri no, i padri sentono su di sé il giudizio di inadeguatezza, il peccato del patriarcato genetico, non espiato abbastanza dall’essere ormai solo loro a fare il bucato e a preoccuparsi delle pirofile lasciate ancora opache dalla lavastoviglie.
Questi padri in ginocchio non sembrano considerare che uno scontro titanico del genere contro l’indifesa prole può avere due soli sbocchi possibili, entrambi infausti; o vince il bimbetto e allora il padre scivolerà nel baratro dell’asservimento finale o vince il padre (dato dai bookmaker 70 a 1) e allora il bimbo ne uscirà mortificato e sfiancato dalla tensione e dal pianto. A che pro? Sarebbe stata più indolore la vecchia controllata manovra a pompa dell’acqua per sbloccare la situazione con vantaggio di entrambi, e in più il piccolo avrebbe cominciato ad apprezzare la dura, universale legge della necessità.
Ma cosa volete col vostro ‘convincere’? Forse che noi adulti ci lasciamo convincere? In effetti è risaputo che basta spiegare a un fumatore i danni del suo brutto vizio specie se corredati da immagini sui pacchetti per dissuaderlo una volta per tutte. E che dire di tutti i buoni propositi a partire da lunedì?
Il bambino non conosce il concetto di mediazione, noi adulti abbiamo imparato a farlo solo perché si presenta sotto la veste del ricatto. Il ricatto è per così dire esistenziale, è la legge del nostro vivere: vai a lavorare perché ne hai bisogno e ti devi assoggettare ad orari, ritmi e compiti decisi da altri. Vallo però a spiegare alla ragazza che al terzo giorno di lavoro si lamenta su Tik Tok che non ha più il tempo per seguire i propri interessi e farsi la doccia con calma o al ragazzo che accusa la scuola del disagio che i giovani provano a dover ritornare in classe dopo l’Epifania.
O giovane fanciullo! O Valentino vestito di nuovo! Ma se è ab antiquo che la scuola è sempre stata un martirio, o perlomeno una galera, o, come diceva un mio professore, una miniera. (riferendosi al duro lavoro dei minatori, non all’oro).
Compiti in classe e interrogazioni si sa rovinano il piacere di stare con i compagni. Siamo tutti in trepidante attesa di una scuola divertente. Auguri.
L’esito più pericoloso e velenoso della fondazione di questo nuovo paradigma morale-pragmatico sta nell’ideologia di più felicità per tutti, declinata nel linguaggio ultra semplificato della pubblicità: vita piacevole e senza troppe noie: ora il mal di testa ti passa in metà tempo.
Ho un po’ di titubanza a parlare di gnosi, perché il termine è diventato una parola totem applicabile a tutto: si finirà per parlare di spettro gnostico. Purtuttavia alcune costanti linee guida del movimento tellurico che ha scosso e raso al suolo coscienze ed istituzioni sono ben riconoscibili, per alcuni che sanno leggere i sismogrammi con un certo anticipo, per la maggioranza a crolli avvenuti. Perché bastano pochissimi uomini che abbiano un progetto: gli utili idioti faranno il resto.
Il progetto in qualche modo si autoalimenta nello stesso processo di formazione, come la dinamo si carica con il movimento stesso: il giovane che sin da piccolo è stato abituato ad ottenere ciò che vuole ed è convinto che non solo i genitori ma tutto il mondo sia chiamato ad assecondarlo non si smuove più da quella posizione, anzi ha solo ampliato il suo raggio d’azione sino al cambio di genere, ed oltre.
I nostri baldi giovani, sempre pronti a manifestare – a costo zero d’altronde – contro le politiche fasciste del governo o per invocare, pretendere la liberazione di quell’altra svampita della Salis, non hanno proferito un compiacimento ha destato in Repubblica: è bastato ventilargli la proibizione di vacanze, partite di calcetto e aperitivo con gli amici, perché offrissero come un sol uomo non i loro petti alle baionette ma il loro braccio all’ago.
Già la generazione degli anni sessanta si era accorta che i genitori avevano sbagliato quasi tutto. Quindi i giovani genitori si rimboccarono le maniche certi di fare meglio: andavano di gran moda come criteri operativi i segni zodiacali, un gradino più sotto i manuali del Dr. Spock ed epigoni, i consigli delle riviste e come substrato ideologico il “Vietato vietare”, la normalità del non avere norme, le varie petizioni per la depenalizzazione della pedofilia giù giù sino al “Nessuno mi può giudicare”, cantato a squarciagola.
Quella generazione, la mia appunto, manteneva però dei punti di contatto, dei legami sfilacciati con gli “usi e costumi” dell’educazione ricevuta, per esempio il riconoscimento dell’autorità, il rispetto delle persone ed anche un minimo di spirito critico, quel tanto che bastava ad accettare che esistessero altre opinioni. Fu il tempo dell’elogio fideistico del dubbio.
I nostri figli sono in certo modo il prodotto del dubbio e del nostro sperimentalismo. Hanno preso molto sul serio il nostro spirito di contestazione, ma non hanno conosciuto il prezzo da pagare, quelle che per i genitori erano state rivendicazioni, giuste o sbagliate che fossero, sono diventate diritti in automatico, dal sei al trenta politico (“Formidabili Quegli Anni” ha scritto Capanna, tipico esempio di racconto del nonno tornato dalla Russia. Ma mi faccia il piacere!) in poi.
Hanno riscritto il palinsesto delle regole educative, nuovi talebani che non conoscono deroghe al loro approccio gentile e comprensivo e al loro sfrenato protezionismo.
Mancano di un reale confronto con le durezze del vivere, abituati e incoraggiati a sognare. Mi ricordano un po’ il Machiavelli: grande teorico della politica e dell’arte militare, grande ideologo che piaceva per questo a Gramsci, quando un giorno volle mettere in pratica il suo pensiero e dare dimostrazione pratica delle leggi della guerra con l’organizzare un’esercitazione, finì per combinare un tale pasticcio che dovette intervenire, secondo la testimonianza del Bandello, Giovanni dalle Bande Nere riordinando in pochissimo le truppe “con l’aiuto dei tamburini”.
Orbene, tra tutti questi riferimenti alti, ci siamo dimenticati dei bambini che ormai saranno cresciuti. Anche i piccoli Turetta crescono.
Ma di loro parleremo la prossima volta. (Brusio, nelle ultime file rumore di seggiole spostate).
FONTE : Il Blog di Sabino Paciolla
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