EPIFANIA
Jan 09, 2024di Silvana De Mari
Per l'Epifania la mia mamma faceva gli struffoli, sono un dolce micidiale fatto con palline di pasta dolce fritta tenute insieme dal miele e coperte da confettini multicolori, al cui confronto il panettone diventa dietetico. Quando mi sono trasferita a Losanna, ho scoperto l’usanza francese accolta anche in Svizzera, di preparare per l’Epifania la galletta dei tre Re. È un dolce che contiene una fava: chi la trova sarà il Re della festa. La galletta dei tre Re, che ha la forma di una ciambella appiattita, esiste in tre versioni: vuota, imbottita di onesta crema pasticciera, imbottita di crema Frangipane, ottenuta sbattendo insieme uova, burro, zucchero e polvere di mandorle. È di gran lunga la migliore e credo che faccia 600 calorie a porzione a tenersi bassi, ma gli struffoli di mia madre erano peggio.
Lo galletta dei tre Re ricorda con il suo nome impropriamente i Magi, impropriamente perché che fossero Re è una tradizione popolare. Nel racconto canonico sono figure ben più alte di un re, personaggio politico che deve anche aver condannato a morte qualcuno. Coloro che si rendono conto di quello che sta succedendo, l’Incarnazione di Dio in un bambino, sono saggi, sono talmente saggi da essere Magi, maghi: la loro spiritualità è talmente potente da trascendere la materia. Ne parla solo il Vangelo di Matteo. « Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi (μάγοι magoi) giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei (βασιλεὺς τῶν Ιουδαίων basileus tōn ioudaiōn) che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella (ἀστέρα astera), e siamo venuti per adorarlo”. Arrivano, con i piedi per terra e lo sguardo al cielo. Matteo dice alcuni. Portano tre doni da cui si può dedurre che siano tre, e che portino un dono ciascuno, e questo è riportato in un vangelo apocrifo armeno e tardivo. I tre magnifici nomi sono stati ricuperati da una secolare tradizione orale da papa Leone nel quinto secolo che afferma che i re fossero tre, uno per ognuno dei continenti conosciuti al tempo, l’Africa, rappresentata da Baldassarre, l’Asia da Melchiorre e l’Europa da Gaspare. Nelle nostre chiese inginocchiato davanti al Bimbo c’è un uomo africano in vesti sontuose.
I cosiddetti illuministi, che di luce ne hanno sempre vista pochina, da Voltaire fino alla sciagura del darvinismo sociale, nel razzismo hanno sguazzato e il mondo si è riempito di dolore e di sangue. I magi portano tre doni: l’incenso per la divinità che si manifesta, la mirra per la sacralità e l’oro, perché l’oro è lecito, la ricchezza è lecita perché permette il bene. L’oro diventa una maledizione quando è un fine, non quando è un mezzo per comprare grano, lana, formaggio, legna da ardere e scarpine. Mio padre, che ci raccontava le storie per metterci a letto, aveva infilato anche i Magi nelle sue narrazioni. Secondo lui i Magi erano quattro, il quarto portava il burro, e nelle sue peripezie aveva ingentilito le tavole e le cucine di mezzo mondo.
Il burro è stato nei secoli passati fatti di povertà e carestie, il cibo degli dei. In cucina e soprattutto in pasticceria c’è una regola: se è buono c’è il burro, se è molto buono c’è molto burro. In inglese ranuncolo si dice buttercup, coppa di burro, cioè quasi coppa d’oro, e farfalla si dice butterfly, mosca di burro, cioè mosca d’oro. Il burro era talmente prezioso da essere equiparato all’oro. In Harry Potter la birra dei maghi si chiama butterbear, cioè la birra d’oro. Nella versione popolare russa i Magi erano quattro, il quarto veniva appunto dalla Russia, e si era perso per strada per via della neve. Portava giocattoli e quindi non avendo raggiunto Betlemme li distribuì ai bambini che incontrò sulla strada, diventando la versione locale di Babbo Natale.
Un quarto Re Magio è raccontato anche nel bel libro “I re Magi”, di Michel Tournier, pubblicato da Salani nella spettacolare collana Gli Istrici, che dimostrano che gli unici libri che osano ancora parlare di Dio e del senso della vita e della morte sono quelli per ragazzi. Un quarto re magio, un re giovane, un po’ pasticcione, e terribilmente goloso, parte dalla sua terra per portare al bambino un enorme carico di dolci trasportati da tre elefanti. Gli elefanti si perdono per strada, il giovane arriva a Betlemme troppo tardi per la nascita di Gesù, ma in tempo per assistere alla strage degli innocenti. È un uomo buono e quando vede un povero condannato alle miniere di sale perché non ha pagato un debito, si offre di pagarlo lui. Non si è accorto di aver ormai distribuito tutta la sua ricchezza, non gli resta nulla, e quindi finisce lui nelle miniere di sale per 33 anni al posto del povero. Il suo corpo si rinsecchisce, i suoi occhi si riempirono di pus. Altri gli raccontano di Cristo, i miracoli, la promessa che chi avrà sete sarà dissetato. Quando finalmente sconta tutto, esce a cercare il Messia, giusto in tempo per la crocifissione. Riesce a entrare nella stanza dell’ultima cena, ma sono già andati via tutti, e lì c’è ancora un avanzo del vino e qualche pezzetto di pane, e lui mangia un pezzetto di pane e beve un sorso di vino. Lui sempre in ritardo, condannato perché si è accollato le colpe di altri, è arrivato quindi prima di tutti all’Eucarestia. Che l’umanità non dimentichi mai il rapporto con Dio o sarà condannata alla depressione, alla disperazione, all’angoscia senza fine, al suicidio che nelle statistiche si impenna tra Natale e l’Epifania, quando il senso del perso diventa insopportabile.
I pastori e i Magi vanno a rendere omaggio a Cristo che si manifesta, i pastori, semplici, che lo capiscono con il cuore, e i grandi saggi che lo capiscono con la mente e la conoscenza. I Magi, ricchezza e conoscenza si incontrano con i pastori, semplicità e essenzialità. L’intelligenza logica e razionale e quella emotiva intuitiva e piena delle potenzialità “infantili” arrivano alla verità per vie diverse. Attorno a Roma si racconta che i Magi si fermarono come ultima tappa nella povera casa di una vecchina, e mostrarono ai suoi occhi incantati la stella. Era una donna sola, che non aveva avuto figli suoi e una luce piena di tenerezza la riempì ad ascoltare di quel Bimbo. Anche lei volle portare un dono, dei dolcetti con l’uva passa e il miele. Lei era un vecchina molto povera, dovette fare il giro di tutti i vicini per chiedere a chi un po’ di legna, a chi un po’ di farina, forse anche un po’ di burro del quarto Re Magio. Quando alla fine i dolcetti furono pronti i Magi erano già da tempo partiti e la stella che li guidava era già oltre l’orizzonte. La vecchina cercò di trovare il Bimbo, ma perse la via, e da allora regala i suoi dolcini ai bimbi che trova sulla sua strada. ed essendo Epifania una parola troppo difficile, loro la chiamano Befana. La Befana si festeggiava in Piazza Navona, riempita di bancarelle che vendevano giocattoli e dolcetti, ora spazzati via dagli arcigni banchetti di arcigno perbenismo degli attivisti dell’ambiente, degli infiniti diritti LGBT, e dagli Hub vaccinali. Ormai anche mettere su una bancarella ci calze piene di dolcetti è diventata trasgressione.
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