Fecondazione artificiale: una donna partorisce per “errore” il figlio di un’altra
May 14, 2025
Il 12 aprile scorso, dall’Australia è arrivata alla ribalta della cronaca una notizia che, se ancora ce ne fosse bisogno, non fa che confermare la gravità morale della fecondazione artificiale. Una donna avrebbe dato alla luce, senza saperlo, il figlio di un’altra, dopo aver ricevuto il suo embrione dalla clinica di fecondazione in vitro Monash IVF a Brisbane, capitale dello stato del Queensland. La clinica si è subito scusata affermando che «l’errore umano è stato notato quando a febbraio gli operatori della struttura di Brisbane hanno scoperto che la coppia, ormai di genitori, aveva uno embrione in più in deposito». Il bambino è nato nel 2024 e ora le due famiglie sarebbero pronte a un’azione legale.
Non è dato sapere cosa accadrà a questo bambino-merce. Verrà effettuato un “reso”? Verrà “tenuto” dai suoi “committenti” anche se le aspettative non sono state soddisfatte? Sono domande che, fino a pochi decenni fa, sarebbero state semplicemente impensabili. Non solo perché la “tecnica” non era ancora abbastanza sviluppata per permettere all’uomo una tale manipolazione della vita umana, fin dalle sue primissime fasi, ma perché era ancora vivida nel cuore degli uomini l’idea di una legge di natura. Queste notizie non sono che una tragica conferma dell’oblio della legge morale naturale nell’uomo contemporaneo. Ed è proprio per questo che bisogna insistere nel ricordare cosa essa sia e quali sono le terribili conseguenze dell’agire fuori da tale alveo.
Mons. Andrea Scotton (1838-1916) nel volume dedicato ai Comandamenti (Corso Completo di Catechismo, S.A.T. Editrice, Vicenza 1950), ricordava come il Signore stabilì da tutta l’eternità un ordine perfettissimo in tutti gli esseri creati e lo fece anche «nella materia bruta, come nei minerali, nelle piante, nell’aria, nell’acqua, nel fuoco. Egli lo stabilì anche negli esseri animati, ma irragionevoli, quali sono le bestie».
Sarebbe impossibile per loro, afferma Mons. Scotton, osservare tale ordine «se Iddio medesimo nel creare questi esseri non avesse impresso nella loro stessa natura una legge, consentanea alle loro tendenze, alle loro forze ed ai loro istinti, la quale, regolandoli e governandoli, li spingesse ad adempiere né più né meno il volere di Dio».
L’esempio dei corpi celesti è illuminante: si tratta di innumerevoli globi che ruotano su sé stessi e percorrono l’immensità degli spazi. Ma, si domanda Mons. Scotton, «come avviene che non si scontrano e non si urtano mai? Come avviene che ciascuno di essi gira entro la sua propria orbita, senza deviare di una sola linea? Come avviene che sono così esatti nei loro movimenti da lasciarci pronosticare con una precisione matematica il momento nel quale compaiono sul nostro orizzonte, ed il momento nel quale scompaiono? La ragione non può esser che una. Essi hanno una legge, impressa da Dio nella loro natura di corpi celesti: a questa legge obbediscono, senza saperlo e senza volerlo, fedelissimamente» (p. 10).
Dunque, la legge eterna di Dio corrisponde nei singoli esseri alla loro legge di natura, ovvero «la naturale inclinazione al compimento dei propri atti e le forze naturali al conseguimento dei propri fini».
Vale lo stesso per l’uomo? Infatti, «se per mantenere l’ordine fisico, alla cui opera concorrono ciecamente gli esseri inanimati e gli animali bruti, il Signore stabilì delle leggi consentanee alla loro natura di animali bruti e di esseri inanimati, chi mai avrà il coraggio di dire che, trattandosi di un ordine senza paragone più eccelso, qual è l’ordine morale, il Signore non si sia curato di stabilire per l’uomo, che è il principe del creato, delle altre leggi consentanee alla sua natura di uomo?».
Domanda questa che «prima di questi ultimi anni, nessuno avrebbe osato fare, perché in tutti i tempi, in tutti i luoghi e da tutti i popoli della terra si credette e si affermò sempre esservi nella mente dell’uomo un lume di natura che gli fa discernere il bene dal male, e nel suo cuore una voce imperiosa, la quale, indipendentemente da lui e non rare volte contrariamente alla sua volontà, gli comanda di astenersi da certe azioni e di adempierne alcune altre, pronta a roderlo coi suoi rimorsi, se le si ribella e disobbedisce».
Purtroppo, soprattutto oggi, questa verità viene pervicacemente negata. Si afferma l’eresia che l’uomo è «un essere indipendente da ogni autorità divina ed umana, padrone assoluto di se medesimo, arbitro supremo delle proprie azioni, autore e giudice della propria coscienza: eresia che non accetta altri doveri che quello di obbedire ai propri bisogni, di seguire i propri sentimenti e di crearsi un codice a suo piacimento: eresia che si studia in tutti i modi di spegnere la fede nel cuore della cristianità per elaborarsi un nuovo sistema di religione, senza la noia di un Credo qualsiasi e senza la seccatura d’un qualunque Decalogo: eresia che si professa agnostica, ossia ignorante, e intanto si rizza contro la Chiesa in nome della scienza, che si basa sull’immanenza, ossia sopra qualche cosa di stabile, e intanto è sempre in moto per cercare la verità, confessando nel tempo stesso l’impossibilità di trovarla».
In tal modo, «si ammettono nella materia bruta le leggi fisiche, ma non si ammette nella natura ragionevole alcuna legge morale. Ha le sue leggi di natura l’astronomia, ha le sue la geologia, ha le sue la botanica, ha le sue il regno animale. Ma l’uomo no. L’uomo si trae la propria legge dalle sue viscere, come i bachi da seta si traggono dalle viscere il filo per intessersi il bozzolo e chiudervisi dentro come in un carcere» (p. 11).
In effetti, «il non ammettere, insita e stampata nel nostro cuore da Dio la legge di natura, sarebbe lo stesso che distruggere tutto ciò che sa di giustizia e di diritto». Ognuno di noi, a partire dalla più tenera età, inizia a discernere il bene e il male grazie alla voce della coscienza. Mons. Scotton, fa l’esempio dei bambini che, per rubare un dolce, aspettano di essere soli affinché nessuno li veda. Se poi vengono scoperti, se ne vergognano e usano la bugia per discolparsi. Ecco, infatti, i barlumi della ragione che fanno loro apprendere, tramite la voce della coscienza, il piccolo furto sotto forma di male. Non è altro che la legge di natura che incomincia a farsi viva. Come mai anche il ladro, l’assassino «per trovare un lenimento ai suoi rimorsi o si affoga nel vino, o va in cerca di altri delitti, o si abbandona da sé medesimo in mano della pubblica forza, e non di rado ricorre perfino al suicidio? È la legge naturale che lo perseguita senza dargli un momento di pace» (p. 12). Il mondo fisico osserva la legge di natura ciecamente, mentre gli esseri razionali sono liberi di osservarla o trasgredirla sotto la sanzione però del premio o del castigo.
La fecondazione artificiale non si sottrae a queste logiche. Quello che viene definito “errore umano”, come se fosse qualcosa di accidentale e arginabile tramite rigidissimi protocolli, altro non è che una manifestazione della trasgressione della legge morale naturale. Si tratta di un recinto, al di là del quale c’è uno strapiombo: possiamo, col libero arbitrio, valicare tale recinto, senza però stupirci se poi cadiamo rovinosamente nel vuoto. È questo il destino dell’umanità se non tornerà in sé stessa e si ostinerà a voler vivere secondo le proprie leggi e non secondo la santa Legge di Dio.
Fonte: CR
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