Pensierini...
Feb 05, 2024di Giglio Reduzzi
I costi indiretti dell’immigrazione
Chissà se vengono conteggiati.
Eppure si tratta di cifre ingenti.
Basti pensare che coloro che entrano in Italia essendo partiti con i barconi (ed indipendentemente dal fatto che ad un certo punto siano intervenute le “generose” navi ONG a trasbordarli) ci arrivano privi di tutto ed in cerca di tutto: casa, lavoro, assistenza sanitaria, ecc.
Spesso senza uno straccio di documento che permetta di identificarli.
Quindi il nostro governo deve provvedere, per prima cosa, a rifocillarli, verificare che siano sani, giudicare (ad occhio) se siano di minore età, soli od accompagnati ed avviarli ai Centri di Prima Accoglienza.
Il che spesso comporta anche l’uso, a titolo oneroso, di navi passeggeri.
E’ quanto succede ogni volta che i migranti sbarcano a Lampedusa.
Giunti a questi Centri, i responsabili provvederanno, con molta calma, ad esaminarli uno per uno per sapere se hanno le caratteristiche giuste per ottenere il diritto d’asilo.
In Italia, chissà perché, questi Centri hanno sempre avuto le porte girevoli, per cui la maggior parte dei migranti erano liberi di uscire ed andare ovunque, anche all’estero.
Forse era proprio questo che si voleva.
(Ricordo che qualche anno fa, allorché la CEI decise di provvedere in proprio ad ospitare una ventina di immigrati “irregolari”, la persona incaricata di curarsi di loro rimase molto male quando, il giorno successivo all’arrivo, aprendo la porta della camerata scoprì che c’erano solo letti vuoti, perché gli occupanti erano tutti scappati.)
I maligni pensano che, in questi Centri, i richiedenti asilo venissero contati solo al momento di entrare, non a quello di uscire, perché è all’entrata che viene stabilito l’ammontare dei fondi stanziati dallo Stato.
Non so se questa procedura è ancora in atto o se il solerte governo Meloni ci abbia messo una pezza.
Ma nel frattempo ho appreso una cosa ancora più grave:
che alcuni funzionari delle nostre rappresentanze istituzionali all’estero (Consolati ed Ambasciate) sono accusati di aver venduto a caro prezzo i Visti necessari per entrare regolarmente nel nostro Paese.
Purtroppo non sapremo mai, o lo sapremo solo tra molti anni, se queste accuse sono veritiere.
(L’esperienza ci insegna che le nostre Istituzioni sono bravissime a difendere sino all’ultimo la loro immagine.)
Però abbiamo capito una cosa: che essere entrati in modo regolare nel nostro Paese non è più quella garanzia di regolarità che credevamo fosse.
(Del resto pare che il padre di Saman sia entrato ed uscito dal Pakistan con tanto di Visto consolare.)
Ma torniamo al tema dei costi.
E’ chiaro che chi entra in Italia senza documenti (ed anche molti di quelli che vi entrano per via aerea con le carte apparentemente “in ordine”) non hanno né casa, né lavoro, né assistenza sanitaria.
Nessuna meraviglia dunque se assistiamo ad un crescendo continuo, specie nelle grosse città, di case abusivamente occupate, gente che quando non delinque bighellona, ospedali sovraffollati, ecc. ecc.
E’ chiaro che il fenomeno non è dovuto esclusivamente all’immigrazione selvaggia, ma è altrettanto chiaro che essa ci ha messo abbondantemente del suo.
Prendiamo il Pronto Soccorso di un qualsiasi ospedale.
Se uno è costretto ad aspettare ore ed ore per ricevere le cure di cui necessita è anche perché, prima di lui, è entrato un immigrato privo di quel medico di famiglia che lo Stato giustamente assegna ai soli cittadini italiani.
Non è un caso che, stanchi della lunga attesa, molti pazienti perdano la pazienza e prendano a schiaffi i medici del Pronto Soccorso.
Non è neppure un caso che molti giovani italiani, per converso, lascino l’Italia per cercare fortuna all’estero.
Purtroppo i due flussi migratori non si annullano l’un l’altro, lasciando il saldo invariato, perché quelli che escono sono quasi tutti laureati, mentre quelli che entrano sono poveracci bisognosi di tutto.
Dunque il saldo è negativo ed i cittadini italiani che rimangono in Italia si trovano ad affrontare una situazione decisamente peggiorata.
L’esempio del Pronto Soccorso degli ospedali è proprio uno dei casi che volevo citare sin dall’inizio quando mi riferivo ai costi indiretti del fenomeno migratorio.
Dubito infatti che, quando si stanziano fondi a favore dell’immigrazione, si tenga conto anche del disagio che essa causa ai cittadini residenti ed alla conseguente necessità di prevenirlo con ulteriori adeguati stanziamenti.
Ma ho un caso ancora più clamoroso di costo indiretto da citare.
In uno dei miei ultimi viaggi al paese d’origine, una borgata sita a soli sei chilometri da Bergamo, essendo privo della mia solita auto, decisi di andare in centro con l’autobus.
Anche per una questione sentimentale: quell’autobus sostituiva il tram che prendevo da ragazzo per andare a scuola.
Com’è noto, quella di Bergamo passa per essere una delle provincie più ricche d’Italia.
E difatti essa contende a Brescia il primato della ricchezza in Lombardia, che a sua volta contende il medesimo primato al Veneto.
Ciò spiega perché in quelle provincie ci siano tanti immigrati:
perché cercare fortuna nella fredda Scandinavia quando puoi trovarla nel calduccio del Bel Paese?
E’ evidente che la ricchezza attira i migranti come il miele attira le api.
Sono così tanti in provincia di Bergamo che alcuni di loro vanno in giro con gli stessi coloratissimi abiti che mettevano, ed avrebbero continuato a mettere, al loro paese.
Morale della favola: appena messo piede su quell’autobus mi sono reso conto che esso era mezzo vuoto e che le poche persone su quel bus erano tutte di origine africana.
Io ero l’unico bianco a bordo e mi sentivo a disagio.
Era evidente che quella linea di autobus veniva tenuta in vita solo per la massiccia presenza di immigrati in zona.
Nessuno dei miei vecchi compaesani usa il mezzo pubblico per andare in città.
Ci vanno tutti in macchina.
Giusto o sbagliato che sia, andarci con l’autobus sarebbe un indice di fallimento professionale.
Personalmente ritengo che sbaglino, ma è pacifico che il costo di quella linea faccia parte integrante di quei costi indiretti dell’emigrazione cui nessuno sembra far caso.
Benchè potremmo continuare con molti ulteriori esempi, restiamo al nord e passiamo da Bergamo a Monfalcone (Friuli).
Qui una maestra si è vista costretta a rallentare l’applicazione del programma didattico per la presenza in classe di più ragazzi immigrati che friulani.
Peraltro ragazzi provenienti da Paesi extra-europei, quindi con stili di vita completamente diversi dai nostri e che semai avrebbero avuto bisogno di insegnamenti aggiuntivi, a partire dall’illustrazione (non dico imposizione) dei nostri valori tradizionali.
Ancora più significativo è il mantenimento in vita, non solo al nord, di istituti scolastici che, data la denatalità nostrana, andrebbero soppressi ma che, proprio come avviene per alcuni autobus di linea, vengono tenuti aperti ad esclusivo vantaggio dei figli di immigrati.
Siamo sicuri che questi oneri aggiuntivi siano conteggiati quando si fa la somma di tutti i costi dell’immigrazione?
Ed anche ammesso che lo siano, è giusto che i cittadini residenti debbano sopportare i disagi che il fenomeno comporta: ospedali affollati, criminalità in aumento, insegnamento scolastico impoverito, ecc. ecc.?
Ci siamo dati tanto da fare perché i nostri figli avessero un destino migliore, ma ora ci accorgiamo che il nostro stile di vita è di fatto peggiorato e che una delle cause è proprio l’immigrazione selvaggia.
Personalmente sono stato derubato due volte per strada ed in entrambi i casi l’autore del furto era un immigrato.
E’ sin troppo evidente che la missione di ogni Stato, anche il meno democratico, è quello di migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini, non di peggiorarle.
Aprire la porta al forestiero è un’opera di carità che, come ogni altra virtù, non può essere imposta dallo Stato.
Se lo è, perde automaticamente il carattere di virtù.
Come ho già sostenuto in una precedente occasione, neppure i frati conventuali accettano di far entrare chiunque bussi alla loro porta.
Né, comprensibilmente, lo fanno gli Stati (leggi Vaticano) che hanno la carità cristiana come principio fondativo.
Pensiamoci su, come direbbe il presidente Zaia.
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