I vecchi non devono votare. Parola di influencer
Oct 15, 2022di Roberto Pecchioli
E lasciatemi divertire, chiese una volta il poeta Aldo Palazzeschi. Una volta tanto vogliamo scrivere in tomo scherzoso, o semiserio, per dire sorridendo quella che ci sembra la verità. “I vecchi non devono votare, non sanno nemmeno quello che fanno. In casa devono stare, fermi, completamente immobili”. Così si è espressa una giovane italiana, G., in un messaggio postato sulle reti sociali.
Alla ragazza – che non è più tale, poiché naviga attorno ai trentacinque – non è andato giù il risultato elettorale del 25 settembre e non ha trovato di meglio che attribuire la colpa agli anziani. Anche chi scrive non è soddisfatto del responso delle urne – ha votato per una lista esclusa dal parlamento- ma non si sogna di maledire gli elettori.
Va però lodata la franchezza della “influencer”, attività che consiste, secondo i vocabolari, nel condizionare qualcuno nel comportamento, nell’atteggiamento o nella decisione; una brutta cosa, ai limiti dell’imbroglio. Ma è un’opinione da vecchi, dunque destituita di valore. Perché non ci limitiamo a tacere, stare fermi, immobili, tutt’al più a passare ore davanti ai cantieri stradali della città? La giovane, rivela il suo sito Internet (chi non ne ha uno non conta nulla oppure è entrato in senilità) esercita la professione di closet organizer. Alzi la mano chi sa in che consista tale preziosa attività. Ignoranti, vecchi, arretrati: riconsegnate la tessera elettorale, il green pass e trascinatevi tossicchiando alla bocciofila.
Il blog e i profili della piacente influencer (duecentomila followers, wow!) sono pieni di espressioni in simil amerikano, relative a un mondo, uno stile e un linguaggio per noi incomprensibile. Una specie di Tri tri tri, fru fru fru come nei versi di Palazzeschi, E’ l’età, vecchio mio, ritirati!
Purtroppo, poiché par di capire che le fortune economiche della “closet organizer” dipendano dal gradimento della spettabile clientela, ha dovuto goffamente ritrattare quanto prima affermato. É un vero peccato, giacché, inconsapevolmente, aveva toccato senza ipocrisia un paio di nervi scoperti della nostra società. Non la polemica tra giovani e anziani- costante di ogni generazione- ma temi assai più complessi. Il valore del voto, ad esempio, in un tempo in cui potere e sovranità stanno altrove; e poi l’assenza di un codice comune nella società che rende difficile, irritante la casuale convivenza tra persone, età, stili di vita incomunicabili, destinati a non incontrarsi, quindi a non capirsi. Che c’azzecchiamo noi, direbbe Di Pietro, con gli influencer, i closet organizer e con il “decluttering”, misteriosa, arcana attività in cui la giovin signora è in grado di assisterci con emissione di fattura gravata di Iva relativa?
Diceva Oscar Wilde- che oggi sarebbe un eroe- di essere disposto a privarsi di tutto tranne del superfluo. Viviamo nella società del superfluo, in cui non manca mai il denaro per tatuaggi, sballo e smartphone. Peccato siano superflui anche i “diversamente giovani” (politicamente corretto, lasciateci divertire) se non quando aprono il portafogli ad ogni esigenza dei discendenti, si prendono cura dei nipoti al posto di genitori occupati ad avere successo o guadagnarsi il tattoo, l’abitino o l’acconciatura per cambiare outfit. Che cos’è, biascica qualche senior? Arrangiatevi e cercate in rete!
Tanto, come noi, siete vecchi e non capite; tacere e abbozzare. Meglio se, al momento giusto, ci leviamo di torno con una punturina, non prima di aver organizzato e saldato il funerale. Girano messaggi pubblicitari di vecchi ben curati (l’outfit…) dall’ aria felice e sollevata che si vantano di aver provveduto in anticipo alle esequie. “Per non dare fastidio”. Chissà che, accanto alle agenzie funebri, non prosperi anche l’allegro mestiere di death planner, l’organizzatore della morte, tempi e modalità, cerimonia e spargimento delle ceneri secondo volontà del de cuius. Un’occupazione redditizia, con profilo Instagram, bacheca su Facebook e like a dito alzato.
Il padre del vostro scrivano usava dire, tra il serio e il faceto, che nella sua giovinezza comandavano gli anziani; diventato maturo (vecchio, purtroppo, non poté diventarlo) si lamentava perché “adesso comandano i giovani. A me non tocca mai”. Infatti la giovinezza è diventata una condizione a parte, quasi un’ideologia o una categoria dello spirito, da fase transitoria della vita che era, preparazione all’età adulta, alle sue responsabilità e ai suoi doveri. Ahi, ahi, che brutta parola: pronunciarla inonda di “non mi piace” il malcapitato e fa perdere followers”, i seguaci. La giovinezza conferisce diritti e persino autorevolezza. Anche il voto dovrebbe valere doppio, triplo se a esprimerlo è un soggetto laureato e “masterizzato”.
Le parole della (semi)giovane influencer non sono una voce dal sen fuggita, ma il sintomo di un clima, di un diffuso “sentiment”, come forse direbbe lei, infarcita di termini cosmopolitan, il grugnito che piace alla gente che piace. É giusto: i vecchi devono tacere. Innanzitutto perché colpevoli. Se il mondo va come va e ogni generazione è più ignorante, sciocca, presuntuosa delle precedenti è colpa nostra.
Chi ha diseducato figli e nipoti, se non noi? Chi ha rovesciato senso e significato di tutto? Seminato vento, raccogliamo tempesta. Chi ha lasciato che la libertà venisse fata a pezzi nell’essenziale e allargata a diritti che sono capricci, bizzarrie e talora autentiche bestialità? Chi ha fatto in modo che la libertà dei moderni dilagasse in indifferenza, egoismo e riflusso nei cavoli propri?
La libertà degli antichi era innanzitutto volontà di partecipazione. La definizione di democrazia che ci piace (like, in alto il pollice) è di un rivoluzionario-conservatore, Arthur Moeller Van den Bruck: partecipazione di un popolo al proprio destino. Incauto, immaginava il popolo come una sequenza di generazioni che si passano il testimone, vivono insieme nel medesimo spazio con principi simili.
Basta ciance. I vecchi- la statistica sociologica fissa la barriera a 65 anni – devono tacere, stare immobili, tanto non sanno quel che fanno. La disgrazia è che G. ha ragione, ma l’accusa riguarda anche i giovani. Soprattutto in quanto docili, conformisti, il contrario dei figli delle altre generazioni. Oltretutto, la percentuale più elevata di non votanti è tra chi ha meno di trent’anni. Chi è causa del suo mal (la vittoria di forze politiche sgradite alla closet organizer) pianga se stesso. Un altro proverbio, fatua saggezza senile.
Giovanni Agnelli, che comandò da giovane e da vecchio ed era tutt’altro che immobile, usava dire che i voti si dovrebbero pesare, come nelle società per azioni, e non contare. La nostra gentildonna non sa di avere espresso un’opinione reazionaria ed elitaria. É “venuta nel nostro vicolo”, diciamo dalle nostre parti. Neanche noi amiamo la contabilità in cui uno vale uno. Per quale motivo, la somma di un esercito di sciocchi vale più del manipolo esiguo di saggi? Amintore Fanfani diceva che un bischero è tale a venti come a ottant’anni. Meditate, influencer, meditate.
Un uomo politico come Luigi Einaudi esigeva cultura: conoscere per deliberare. Dunque, cara closet organizer, è probabile che ne sappia di più chi più a lungo ha vissuto. Ah, no: è il tempo della cancellazione, il passato è un ammasso di ferraglia inservibile. Il progresso esige il decluttering, l’eliminazione degli oggetti superflui, specialità in cui eccelle la signorina G.
Anche Tocqueville – a beneficio del colto e dell’inclita: pensatore e ministro francese del XIX secolo, autore di fondamentali testi di filosofia politica e sociologia- era assai sospettoso di una democrazia ridotta a pubblicità, conformismo; il senno dei più. Ma il conte normanno non si azzardò mai a dividere gli uomini per fasce di età. Altri tempi, ma adesso la nostra influencer ci rammenta che gli esseri umani sono diversi e l’uguaglianza non è poi un gran principio, se possiamo negare l’urna elettorale agli ex giovani. Benvenuta, anche se noi preferiremmo escludere i bischeri di ogni età.
Lanciamo un’idea: eliminiamo in anticipo, sulla base delle informazioni incautamente disseminate sui “social” – si dice così, si fa prima – coloro le cui idee fanno presumere un comportamento elettorale sgradito a chi può muoversi, uscire di casa e parlare, azioni negate ai vecchi da chi possiede una superiore sapienza acquisita su Facebook, Twitter eccetera. I diritti, a che pro riconoscerli a chi non può goderli? Inutile osservare – sommessamente, chiaro- che pochissimi sanno fornire una definizione di diritto e di diritti.
Colpa nostra. Siamo stati noi ad abolire le cattedre e affermare l’uguaglianza tra maestri e allievi. Un ateniese antico, un certo Socrate che finì male, in galera e poi suicida, si riteneva sapiente poiché sapeva di non sapere. Oggi vige la presunzione di conoscenza: “noi” sappiamo tutto per diritto anagrafico, quindi siamo in diritto (sempre “diritti”) di negare la patente di elettore e richiedere gli arresti domiciliari in base alla carta d’identità. Già fatto durante la reclusione pandemica, anzi lockdown: siamo global anglofoni. Green pass unica modalità per muoversi nel Brave new world affollato di like, wedding planner, dealer (gli addetti alla vendita, ma commesso è brutto, sa di piccolo mondo antico) gender-fluid e drag queen.
Non è segno di buona salute mentale essere bene adattati a una società malata, osservava Krishnamurti (“filosofo apolide di etnia indiana. Dopo la gioventù passata negli ambienti della teosofia, non volle più appartenere a nessuna organizzazione, nazionalità o religione, per cui nel 1948 non prese la cittadinanza dell’India.”). Fonte Wikipedia, il Manuale online delle Giovani Marmotte.
Società malata? Perché, se pullula di influencer e closet organizers? Tutto andrebbe per il meglio, se non fosse per i vecchioni che non si tolgono di mezzo. Già, gli anziani sono resilienti, una parola diventata popolare: ne hanno viste e subite tante, quindi resistono e tornano al loro posto, come un pupazzo della nostra remota giovinezza, Ercolino Sempreinpiedi.
Forse i capricci della signorinella sono soltanto il lamento del bambino che, persa la partita, piagnucola “non gioco più” e porta via il pallone. Ma la palla non è dei giovani o dei vecchi, è di chi vive e veste panni, di chi sa che l’esistenza è lotta e partecipazione. Le parole – perfino quelle affidate all’universo virtuale – sono come i cerchi nell’acqua: si allargano per un po’, ma alla fine spariscono.
Non abbiamo saputo organizzare la nostra, di vita, non siamo in grado di dare consigli a eminenti blogger, influencer attivi sui social. Ma una cosa ci sentiamo di dirla, signorina G.: nella vita si vince e si perde, e nessuno è padrone della verità. La vecchiaia è una malattia che può essere evitata in un unico modo, morendo in anticipo. Presto sarà alla portata di tutti, con l’eutanasia legale: un grande passo avanti, un avanzamento di civiltà. Così dice chi- immaginiamo – la pensa come lei. Vede, le diamo del lei, all’antica…
Tuttavia, non le daremo la soddisfazione di tacere, di non uscire di casa, di restare immobili e di non votare. Anzi, ci faccia sapere chi ha votato lei, giusto per fare l’esatto contrario. Si vince e si perde; nei bui tempi antichi, questo era il motto degli hidalgos spagnoli, la nobiltà povera costretta, in assenza di social media, a guadagnarsi la vita con le armi: la sconfitta è il blasone dell’anima bennata. Ci pensi.
Si rassicuri, ci saranno altre elezioni, avrà nuovi clienti e altri followers. Domani è un altro giorno, disse Rossella O’Hara in Via col vento, una influencer della guerra di secessione americana. Anche lei si trovò dalla parte perdente.
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