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TRUTH

Il capovolgimento storico-dottrinale di E. Buonaiuti

francesco lamendola Jul 16, 2022

di Francesco Lamendola

Quando il cattolicesimo ha incominciato a uscire dai binari e si è messo sulla strada dell’infedeltà alla propria tradizione? Quando ha iniziato a deragliare e a scivolare verso la massima sciagura che possa colpire una fede religiosa, l’apostasia della fede? Per i cattolici che oggi vengono chiamati, non senza una sfumatura di disprezzo,”tradizionalisti”, non c’è alcun dubbio che tale evento nefasto viene anticipato dal modernismo della fine del 1800 e dei primi anni del 1900, per venire poi allo scoperto, clamorosamente, se pure, da principio, con una certa qual capacità di dissimulazione, con il Concilio Vaticano II e con l’azione dei pontefici successivi, sempre più difforme dalla dottrina e quindi dal Magistero perenne.

Per i modernisti, al contrario, e per quelli che oggi hanno preso il sopravvento nella cattolicità, sia dentro che fuori la Chiesa, e che non hanno bisogno di chiamarsi modernisti, perché lo sono, ma al tempo stesso sono divenuti la “nuova maggioranza” (come se la fedeltà alla religione si potesse misurare in termini quantitativi!), senza contare che il modernismo è stato solennemente condannato da documenti ufficiali pontifici, come Lamentabili sane exitu e Pascendi Dominici gregis, e quindi è un’eresia conclamata e bollata come tale, il fatale deragliamento dai binari del “vero” cattolicesimo si colloca cinque secoli fa, in particolare con la cosiddetta Controriforma e con il Concilio di Trento. È allora, secondo costoro, che si è consumata l’infedeltà fatale verso la tradizione cattolica; è allora che preoccupazioni, di per sé legittime in quel particolare momento storico, prendono il sopravvento sullo spirito originale del cristianesimo e da cristocentrico lo fanno ecclesiocentrico.

In confronto, alla maggior parte di essi sembra che più vicini a tale supposto ”spirito originale” siano stati i protestanti: glissando sui gravissimi errori teologici di Lutero, si compiacciono di porre in evidenza la sincerità e la spiritualità della sua protesta, e alla fine si trovano a dargli ragione anche sul terreno teologico, ossia a negare il libro arbitrio, l’efficacia delle opere per la salvezza finale, la validità del culto di Maria Vergine e dei Santi, e soprattutto il mistero della Presenza Reale di Gesù Cristo nel Sacrificio eucaristico: espressione, quest’ultima, che essi evitano di adoperare, non per altra ragione che per insofferenza verso tale verità di fede. Perciò, sorpresa!, sono i modernisti e i neomodernisti non dichiarati, ma effettivi, a rivendicare la fedeltà alla tradizione; sono essi ad accusare la Chiesa di aver abbandonato, con il Concilio di Trento, la vera tradizione apostolica, per costruire un edificio artificioso e legalistico, come novelli scribi e farisei, tradendo l’autentico messaggio evangelico.

Dunque, se avessero ragione entrambi, sia i cattolici che i modernisti – ammettiamolo per pura ipotesi, anche se palesemente assurda – nella storia del cattolicesimo vi sarebbero due grosse cesure: una nel XVI secolo, dovuta a un irrigidimento e ad una sorta di ripiegamento della Chiesa su se stessa; e una nel XX secolo, dovuta a una “fuga in avanti” della Chiesa, la quale, per paura di restare tagliata fuori dal circuito del mondo moderno, si sarebbe adattata a svolgere un ruolo culturalmente e spiritualmente subalterno, rinunciando a quanto in lei vi è di specifico, ed enfatizzando gli aspetti generici, dialoganti e “buonisti” della dottrina. La cosa interessante è che, in entrambi i casi, i registi di tali operazione sono stati gli stessi: i gesuiti. Ai tempi di Ignazio di Loyola essi erano le truppe scelte del papa; ai tempi di Bergoglio sono ancora le truppe scelte del papa, anzi hanno fatto in modo che ad essere eletto papa fosse uno dei loro (cosa espressamente vietata dal loro statuto).

Cosa è cambiato, dunque, fra il primo e il secondo tempo? In sostanza nulla, sul piano della vera dottrina: che è solo quella e non cambia, anche se lo slogan preferito dei modernisti è che nei tempi storici può e deve cambiare il modo di predicarla (un cavallo di Troia per creare le condizioni che rendano inevitabile un cambiamento dottrinale, ma per carità, senza mai ammetterlo apertis verbis). Semplicemente, la via imboccata dal Concilio di Trento – che è, dottrinalmente, del tutto in linea con il Magistero perenne - ha accentuato, col passare del tempo, l’incompatibilità di fondo tra cattolicesimo e modernità: è la modernità infatti che, nel corso degli ultimi secoli, ha mostrato in modo sempre più esplicito il suo vero volto, anticristiano e antiumano, facendo venire al pettine il nodo dell’atteggiamento che la Chiesa deve tenere verso di essa. I modernisti pensano: non si può, non si deve andare contro il mondo; la Chiesa è stata istituita da Gesù per la salvezza del mondo: perciò bisogna dialogare con il mondo, accettare se necessario anche le sue aberrazioni (aborto, eutanasia, ecc.) perché se si spezza il filo del dialogo, la Chiesa non potrà più salvare le anime e in tal modo verrà meno alla sua ragion d’essere. Una specie di ricatto, insomma, che ha come effetto la paralisi del bene.

Naturalmente si tratta di un sofisma, perché Gesù non ha mai insegnato di scendere a compromessi e di accettare ciò che è moralmente inaccettabile (se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo; se la tua mano ti dà scandalo, tagliatela), e meno ancora ad annacquare la sua dottrina, pur di non interrompere il dialogo col mondo; anzi, diciamola tutta, non è mai stato un fautore del dialogo. Gesù insegnava, non dialogava: mai lo vediamo, nei Vangeli, dialogare con chi rifiuta il Vangelo e si oppone ad esso. Scuotete la polvere dai vostri calzari e andatevene in un altro luogo, raccomanda ai suoi discepoli, allorché si trovassero di fronte all’ostilità e al rifiuto della loro predicazione. Inoltre non è vero che Gesù considera la salvezza del mondo una priorità assoluta e incondizionata: non a discapito della verità. Gesù vorrebbe salvare il mondo, ma è necessario che il mondo si converta: la salvezza viene da un atto di conversione, non è distribuita gratuitamente come cosa, in fin dei conti, dovuta. Niente affatto: la luce è venuta nel mondo, ma il mondo ha preferito le tenebre alla luce. Questo sta scritto nel Vangelo di Giovanni: e chi la pensa altrimenti non è fedele al messaggio di Cristo. Il quale dice di sé: Io sono la via, la verità e la vita; e nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Gesù Cristo non dice: io sono una delle vie, una delle verità; e non dice neppure: si può venire al Padre anche per mezzo di qualcun altro. Questo dovrebbero ricordare i fautori del cosiddetto dialogo interreligioso; e, a maggior ragione, gli adoratori idolatri della Pachamama.

Ecco in proposito una pagina estremamente significativa del capofila dei modernisti italiani (da: Ernesto Buonaiuti, Il modernismo cattolico, Modena, Guanda Editore, 1943; cit. in: Guido Davico Bonino [a cura di], Lunario dei giorni di quiete. 365 giorni di letture esemplari, Torino, Einaudi, 1997, pp. 127-128):

È col Concilio di Trento che la cristianità cattolica  moderna ha preso risolutamente e funestamente congedo dalle forme mentali, dalla gerarchia dei valori dalla raffigurazione della vita che avevamo costituito  in antico, prima la linfa della primitiva propaganda evangelica, poi la grande creazione sociale del Cristianesimo, il medioevo.

L’antitesi fra cristianità tradizionale e  modernità  spirituale, di lì, dal Concilio di Trento, ha preso origine.

Per un complesso di ragioni che non è qui il caso di indagare e di chiarire, e la cui azione risaliva ai primi albori della rinascita europea dopo il Mille, la cristianità cattolica moderna, alla metà del secolo decimo sesto rappresentata soprattutto dallo spirito e dalla disciplina della Compagnia di Gesù, credette di dover legiferare in materia di dogmi antropologici e soteriologici, in materia sostanzialmente difforme da quella che era stata la norma e la condizione della vita cristiana per quindici secoli. Nulla di più fatuo che giudicare la storia. Qui forse la principale pecca dei movimenti “modernisti”. La chiesa non avrebbe potuto non fare quello che ha fatto. Era nella dialettica del suo sviluppo, trincerarsi, agli albori della modernità, su certe posizioni dogmatico-disciplinari che, mirando a reagire al pulviscolare individualismo della giustificazione per fede, affidavano in pari tempo la dimostrazione dei preamboli della fede alla ragione e l’amministrazione integrale della vita carismatica alla burocrazia delle Congregazioni romane. Ma era altrettanto nella dialettica di sviluppo della tradizione cristiana che, a un determinato momento, le forze immanenti e profonde dello spirito evangelico tentassero di aprirsi il varco di contro alla rigidezza della canonizzata disciplina cattolica, per fare circolare nell’organismo calcificato della chiesa il sangue vivo e pulsante dei valori originali del messaggio cristiano. Ma questi valori sono vecchi di venti secoli. Sono nella predicazione di Gesù, nel formidabile insegnamento di Paolo, nella esperienza delle comunità sub-apostoliche, nel fervore mistico dei primi apologisti greci e latini.

È in nome di quell’arcaica letteratura che il “modernismo” ingaggiava la sua sfortunata campagna. “Arcaismo” lo si sarebbe dovuto battezzare. Averlo designato col nome nettamente antitetico fu raffinato accorgimento polemico e furbissima arma di battaglia. Probabilmente i modernisti stessi non avvertirono di colpo l’insidia celata nel nome col quale venivano appellati dagli avversari. Fu, qualcuno di essi, sollecitato da un appellativo che sembrava potesse dare la lusingante sollecitazione di un perfetto unisono con la cultura contemporanea? Fu una lusinga di cui i modernisti dovettero fare la più amara delle espiazioni.

La cosa che più ci colpisce, in questa greve e involuta pagina di prosa, non è tanto il completo rovesciamento della prospettiva storica e teologica, per cui l’eresia diventa la “vera” fede e la vera fede diventa un residuo di mentalità passate (guai a coloro che cambiano il bene in male e il male in bene, ammonisce Isaia, 5,20), il che presuppone un’ottica radicalmente immanentista, che non può essere quella di un autentico cristiano; quanto lo storicismo assoluto, degno di un Hegel o di un Croce, che la pervade dalla prima all’ultima riga. Una frase come questa: La chiesa non avrebbe potuto non fare quello che ha fatto. Era nella dialettica del suo sviluppo, trincerarsi, agli albori della modernità, su certe posizioni dogmatico-disciplinari che, mirando a reagire al pulviscolare individualismo della giustificazione per fede, affidavano in pari tempo la dimostrazione dei preamboli della fede alla ragione e l’amministrazione integrale della vita carismatica alla burocrazia delle Congregazioni romane esprime una visione così totalmente, così ineluttabilmente storicista, che sarebbe piaciuta agli idealisti persuasi che tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale. Come dire: la storia è la regina assoluta, l’inizio e la fine del divenire umano: quando vi sono le condizioni affinché un determinato processo s’inneschi, esso s’innesca, non c’è niente da fare. E stiamo parlano della storia della Chiesa; e ne sta parlando un sacerdote (benché solennemente scomunicato!) e un professore di storia del cristianesimo. Qual è dunque la differenza fra la lettura della storia di un Fichte, di un Hegel, di un Marx, e quella diel Buonaiuti? Sostanzialmente, nessuna differenza. Le cose accadono quando devono accadere, perché la storia ha in se stessa le ragioni del proprio divenire. Inutile dire che in tal modo si assolutizza e infine si divinizza la storia e si rende inutile l’opera della divina Provvidenza. Ma il cristiano che abbia studiato con sufficiente penetrazione la storia della Chiesa non ha potuto ignorare la presenza costante di un fattore sovra-storico e meta-storico, che si affianca ai fattori umani e si serve talvolta di essi per volgere le cose nel senso profetizzato da Gesù Cristo: questa è la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno su di essa. È impossibile, per il cristiano, studiare la storia della Chiesa e non riconoscere il filo rosso soprannaturale che, pur in mezzo a tante umane miserie, nondimeno ne accompagna le vicende e la protegge dal male più grande: che non è quello delle persecuzioni, ma dell’apostasia della vera dottrina. Perché su questo punto bisogna essere chiari: è il tradimento del Vangelo il male assoluto per i cristiani; non le persecuzioni e neppure la morte. Gesù ha dato l’esempio: si può affrontare la morte ma non si può, non si deve mai tradire la verità. Tu l’hai detto, dice Egli a Pilato, pur sapendo che quelle parole gli sarebbero costate la vita: per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità. Come aveva pregato nel momento più intenso e toccante della preghiera sacerdotale in Gv 17, 17-21:

17 Santificali nella tua verità; la tua parola è verità. 18 Come tu hai mandato me nel mondo, così ho mandato loro nel mondo. 19 E per loro santifico me stesso, affinché essi pure siano santificati in verità. 20 Or io non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro parola, 21 affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te; siano anch'essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.

 

 

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