Il futuro verde è nero
Oct 30, 2021Lasciatemi partire da tre fatterelli. Il primo: secondo l’attore Brad Pitt, ecologista fanatico, le tossine contenute nei saponi danneggerebbero il pianeta. Pertanto si sottopone ad abluzioni molto limitate, con prodotti “alternativi” (?) al sapone. Questa nuova moda a favore della libertà di olezzo è condivisa anche da altre star hollywoodiane, come Cameron Diaz. D’altronde l’avversione alla pulizia personale ha un precedente illustre nel mondo dell’ecologia: Fulco Pratesi, il fondatore del WWF Italia, che ha serenamente ammesso di non farsi una doccia da anni, perché non serve consumare tanta acqua. Pratesi si è anche orgogliosamente e significativamente definito “radical chic”, fornendoci un ulteriore buon motivo per tenerci ben distanziati da questa sciagurata categoria politico-sociale.
Secondo fatterello: in Gran Bretagna l’Università di Winchester ha deciso di spendere 24 mila sterline per una statua a Greta Thunberg, l’attivista inventata dalle lobby che il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha definito, con qualche ragione, “una mocciosa”, anche per le falsità che costei diffonde impunemente sull’Amazzonia. A questo monumento a Greta dedichiamo, come memento ma ancor più come augurio, questa citazione di Sándor Márai, scrittore ungherese: “Il destino comune di ogni monumento è che i cani finiscono per pisciare sul piedistallo”.
Terzo fatterello: l’aeroporto di Bolzano ha dato il via a dei lavori per l’allungamento della pista di atterraggio, necessari per favorire il crescente traffico turistico internazionale diretto alla zona dolomitica, altrimenti costretto ad usufruire di aeroporti più distanti come quello di Verona o di Innsbruck. Ma i Verdi stanno facendo di tutto per bloccare i lavori. Il motivo: l’allungamento della pista potrebbe danneggiare alcuni fossati, che risulterebbero essere l’habitat di anfibi quali il rospo smeraldino e l’ululone dal ventre giallo (che tra l’altro è velenoso). Così l’Alto Adige – Südtirol rischia di dover rinunciare a quote di visite turistiche. Ma, grazie ai Verdi, alcune decine di rospi smeraldini e di ululoni dal ventre giallo saranno salvi.
Abbiamo riportato queste notiziole, apparentemente minori, per denunciare con alcuni esempi come l’ideologia ambientalista sia ormai diventata un dogma non discutibile, un mostro alieno che, come nei film di fantascienza, si è impadronito delle intelligenze, definiamole così, delle élite. Quelle che Riccardo Cascioli e Antonio Gasparri avevano definito, nel titolo di un ben documentato libro, Le bugie degli ambientalisti, sono state ormai imposte come verità, si sono insinuate nel sentire comune, vengono acriticamente accettate. L’esistenza di una “crisi climatica”, già “cambiamento climatico”, già “riscaldamento globale” – ed è significativo il continuo cambio di nome del presunto cataclisma in corso (ma negli anni ’70 i catastrofisti giuravano sull’esaurimento delle materie prime e sul ritorno dell’era glaciale) – è un credo sociale non più negoziabile, pena l’accusa di “negazionismo”. É lo stesso miserabile vocabolo usato come una clava contro coloro che non cantano le lodi del green pass o dell’obbligatorietà vaccinale. Sono i comandamenti del nuovo decalogo laico.
Non importa che scienziati seri abbiano sempre contestato il dogma del riscaldamento globale “antropico”. Il premio Nobel Carlo Rubbia l’ha definito “la bufala del secolo”, Antonino Zichichi ha chiamato “divinazioni” le “previsioni” dei catastrofisti. Recentemente, Franco Prodi ci ha ammonito: “non possiamo prendere decisioni basate sul catastrofismo, sarebbero sbagliate”. Franco Battaglia, docente di Chimica Fisica all’Università di Modena, storico critico delle bufale climatiche, ha recentemente pubblicato un libro dal titolo assai eloquente: “Non esiste alcuna emergenza climatica” e in una serie di documentatissimi articoli su LaVerità ha smontato pezzo per pezzo la teoria del global warming. Ecco l’incipit dell’articolo di apertura: “Da alcuni lustri il mondo intero è allarmato da uno dei più colossali falsi della Storia: si tratta di ciò che oggi viene chiamata crisi climatica”.
Ma i sacerdoti della nuova religione climatica, a cui persino la neo-chiesa bergogliona ha impartito la propria apostatica benedizione, ha proseguito nella propria opera di falsificazione, di costruzione di allarmi sociali e di provvedimenti volti a colpire l’emissione di CO2, il nuovo Nemico Metafisico del mondialismo, di molestare le popolazioni con nuove tasse, nuovi divieti, nuove limitazioni, nuove minacce di una sciagurata “decrescita felice” che in realtà significa solo un barbarico processo di “decivilizzazione”, di impoverimento, di austerità, di rinuncia, di pauperismo in nome di Gaia-Pachamama.
Questa “dittatura ambientalista” si è manifestata con una serie di provvedimenti dell’Unione Europea, ormai il più bieco braccio armato dell’ideologia ecologista. Provvedimenti che spesso non sono noti al grande pubblico, ma che modificheranno i nostri stili di vita e colpiranno i nostri portafogli. Tralasciamo la plastic-tax che dal 1° gennaio del 2022 graverà sulle nostre tasche in nome del trionfante isterismo plasticofobico. Al fine di “decarbonizzare” il sistema produttivo, in sostanza per deindustrializzare, l’Unione Europea ha iniziato ad aumentare i prezzi dei malefici “permessi di emissione di CO2”, cioè quella tassa ecologica che le aziende devono pagare per avere il “permesso” di continuare a produrre e ciò si è già riflesso sulle bollette: entro la fine del 2021, senza provvedimenti che disinneschino questo perverso meccanismo, le bollette del gas e della luce cresceranno tra il 40 e il 60%. L’emissione di una tonnellata di anidride carbonico costava ad inizio anno 33 euri, ad oggi 61 e si prevede che a fine anno il prezzo sarà di circa 90 euri. Tutto ciò perché, nel silenzio dei governi e all’oscuro dei popoli, la Commissione, invasata di furia ecologista, Europea ha deciso di ridurre l’emissione di CO2 in Europa del 55% entro il 2030 e di azzerarla entro il 2050.
Non è finita: questo dissennato sistema delle “quote di emissione” verrà esteso anche ai trasporti marittimi. Saranno diminuite le emissioni ora consentite per molti settori economici. Verranno azzerati i permessi di emissione gratuiti per il trasporto aereo e imposti minimi obbligatori nell’utilizzo di carburanti cosiddetti “sostenibili”. I consumatori verranno colpiti anche da limiti di emissione per i trasporti privati e per il riscaldamento, il cui costo aumenterà notevolmente. In sostanza i fornitori di energia saranno costretti a versare, direttamente alla Unione Europea (un altro pezzo di sovranità sottrattoci) una sorta di carbon tax. Tutti questi provvedimenti porteranno inevitabilmente a quell’aumento generalizzato dei prezzi di cui abbiamo accennato. Ma non basta: una direttiva dell’Unione Europea impone la revisione degli attuali trattamenti fiscali sui prodotti energetici, eliminando eventuali, presunti “favoritismi” nei confronti dei combustibili fossili.
Si prevedono anche muove tasse “ecologiche”. I viaggi, non solo quelli aerei, diventeranno molto più costosi, perché i talebani dell’ambientalismo ritengono gli aerei e le navi mezzi “inquinanti” il cui uso sia da disincentivare con nuovi, pesanti balzelli. D’altronde non c’è solo l’Unione Europea a promuovere l’eco-catastrofismo e a imporre misure draconiane contro il presunto riscaldamento globale. C’è anche l’ONU, con la sua “Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, che prevede altrettanti vincoli e restrittive politiche antiproduttive.
Ma l’attacco di quell’onnipresente monstrum rappresentato dall’ideologia, dalla propaganda e dai diktat totalitari del regime ecologista contro la mobilità dei cittadini e la libertà di movimento si sviluppa soprattutto contro il trasporto privato, le auto. In uno delle innumerevoli normative dell’Unione Europea si intima ai Paesi membri di far cessare la produzione di auto diesel o a benzina entro il 2035. Si potranno acquistare solo auto elettriche o a idrogeno. Allo stato attuale, tuttavia, i costi elevati delle auto elettriche, assolutamente non competitivi con quelli dei mezzi a combustione interna, sono in parte abbattuti da agevolazioni statali, pagate da tutti noi. Inoltre non è vero che le auto elettriche sono meno inquinanti: se si considera l’intero ciclo di vita di un’auto elettrica rispetto a una tradizionale, scopriamo che è molto più inquinante, soprattutto per i “costi ecologici” per la fabbricazione e poi lo smaltimento “pulito” delle batterie. Sergio Barlocchetti su LaVerità ha documentato con un’impressionante mole di dati che, per essere meno inquinante di un’auto diesel, un’auto elettrica deve percorrete almeno 150.000 chilometri e restare in vita per almeno 15 anni. D’altronde è sotto gli occhi di tutti la lotta feroce delle amministrazioni di sinistra contro i mezzi privati, anche perché, appunto, “privati” e strumento di libertà di movimento. Riflessi atavici veterocomunisti.
La cosiddetta “transizione ecologica”, qualsiasi cosa voglia dire, pone anche severi problemi geo-politici: il passaggio dal petrolio all’elettrico comporterà una dipendenza dal litio e metalli rari, prodotti principalmente in Cina, indispensabili per la produzione di pale eoliche, pannelli solari e soprattutto batterie. Particolarmente inquietante è che sia l’Afghanistan uno dei paesi con le maggiori riserve di litio, anche se non ha competenze tecnologiche per l’estrazione e quindi dovrà rivolgersi a chi queste competenze le possiede: la Cina, appunto.
Il maggior strumento di coercizione dell’Unione Europea per obbligare gli Stati membri a “convertirsi” al nuovo credo del “Green Deal” rimane tuttavia il cosiddetto Next Generation EU, meglio conosciuto come Recovery Fund. Il ricatto dell’UE prevede che il 38% delle somme “erogate” (sono pur sempre in gran parte soldi nostri) venga destinato alla transizione ecologica. Ma poiché l’Italia vuole sempre strafare in europeismo, ecco che il nostro “Piano nazionale di ripresa e resilienza” allargato a fondi nazionali e complementari prevede che ben il 42% di queste somme venga destinato a presunti “investimenti ambientali”. Ovviamente ci saranno delle pesanti ricadute paesaggistiche: vedremo i nostri bei paesaggi rovinati da orribili pale eoliche inquinanti esteticamente ed acusticamente. Ettari ed ettari di campi verranno sottratti all’agricoltura di qualità, qual è quella del nostro paese, per essere riconvertiti in “campi” di impianti fotovoltaici.
In Sicilia molti degli incendi estivi pare che siano provocati dalla mafia, attratta dal business del fotovoltaico, per appropriarsi dei necessari terreni. Anziché campi di grano, uliveti, agrumeti, avremo devastanti “parchi” eolici e fotovoltaici, finanziati dalle nostre tasse. L’agricoltura europea dovrà comunque rinunciare a diversi tipi di tecniche di coltivazione e di allevamento, considerate inquinanti. Anche gli allevamenti intensivi di bovini, nei deliri ambientalisti, sono dannosi per via dei peti rilasciati dai simpatici membri di questa specie. I prezzi dei prodotti agricoli e della carne aumenteranno. Però l’Unione Europea, previdente, ha dichiarato la commestibilità di molti tipi di insetti. Quindi sostituiremo la fiorentina con un bel piatto di cavallette fritte. Ce lo chiede l’Europa.
A proposito di tasse e di costi Carlo Cambi su Panorama ci informa del conto finale del Green Deal: “Tra rincari di energia, tasse palesi e occulte, case da adeguare e automobili da buttare circa mille euro all’anno a testa”. Ed è un calcolo per difetto, e molto. Poi vi sono da considerare la perdita le centinaia di migliaia di posti di lavoro, ad esempio nel settore dell’automotive. E le nostre eccellenze motoristiche? Che fine faranno la Ferrari, la Maserati e tutte le altre aziende del distretto della Motor Valley emiliana con il relativo indotto e le elevatissime competenze?
Il Ministro della “transizione ecologica” (hanno cambiato persino il nome al Ministero dell’Ambiente per ricordarci la nostra sottomissione ai diktat dell’Unione), Roberto Cingolani, è un fisico ed ex-manager della Leonardo e non ha ancora acquisito la necessaria ipocrisia necessaria al ruolo. Così, in un impeto di sincerità, ha testualmente dichiarato che “sarà un bagno di sangue” e che “la transizione ecologica non sarà un pranzo di gala”. Minacciosa citazione quasi letterale di Mao Tsé-Tung: “La rivoluzione non è un pranzo di gala”, tratta dal famigerato Libretto Rosso. Facciamo gli scongiuri: la rivoluzione comunista cinese ha sulla coscienza milioni di morti.
Persino nella verdissima Germania, ove il partito dei Grünen, espressione del più fanatico estremismo ecologista, ha un forte peso politico, i costi della “transizione ecologica” stanno entrando nel dibattito politico elettorale. Le persone chiedono ai politici: “potrò ancora riscaldare la mia casa?”, “potrò ancora possedere un auto”? “avrò ancora un posto di lavoro?”
Qualche domanda se la stanno ponendo anche i boss della cupola europoide. Frans Timmermans, vice-presidente esecutivo della Commissione per il Green Deel, nel tentativo maldestro di minimizzare il peso degli incrementi del costo dei “diritti di emissione di CO2” della UE sugli abnormi aumenti delle bollette, ha lanciato un grido di allarme sulle possibili conseguenze “sociali” di questi aumenti. E’ ovvio che nelle élite europee serpeggia il timore un movimenti di gilet jaune estesi a tutta Europa. Ma al contempo, nessuna marcia indietro, anzi, un minaccioso “invito”: “Non dobbiamo essere paralizzati dall’aumento dei prezzi dell’energia e rallentare la transizione, ma anzi dobbiamo accelerare per far sì che l’energia da fonti rinnovabili sia disponibile a tutti”. Tuttavia, contro il pericolo di una “rivolta dei popoli” contro la “transazione ecologica”, si sono già mosse di divisioni di Greta. Draghi ha già ammonito che il Trattato di Parigi, la premessa per le imposizioni verdi dell’Unione, va rispettato a qualsiasi costo.
Già, perché chi ha deciso questo Green Deal? Un referendum popolare? I parlamenti nazionali? É stata una decisione “democratica”? Per nulla. Lo ha deciso la Commissione Europea e lo imposto con una raffica di Direttive all’insaputa dell’opinione pubblica europea, rincretinita dal terrorismo propagandistico degli ecologisti su un disastro prossimo venturo a causa di un assai dubbio “riscaldamento globale antropico”, cioè causato dall’uomo, dalle sue attività e dai peti delle sue vacche. Michael Shellenberger, scienziato e per anni esponente ecologista, proclamato “eroe dell’ambiente” dalla rivista Time nel 2008, si è recentemente scusato per l’allarmismo climatico da lui alimentato negli ultimi trent’anni facendo uso di menzogne: “sento l’obbligo di scusarmi per come noi ambientalisti abbiamo fuorviato il pubblico”.
Particolarmente inquietante, a proposito dell’accettazione sociale del “bagno di sangue” che comporterà la “transizione ecologica”, è l’informata opinione di Eric Heymann, Senior Economist presso la Research della Deutsche Bank a Francoforte, responsabile per il settore dei trasporti, dell’automotive, per i problemi ambientali e i beni di consumo. Uno che se ne intende, dunque. Secondo Heymann, ci stiamo necessariamente avviando verso una “eco-dittatura” senza cui sarebbe “impossibile convincere la gente a perdere il lavoro, vivere in case fredde, pagare più tasse con l’obiettivo astratto di salvare il pianeta.” D’altronde il profeta della “decrescita”, Serge Latouche, specialista in ossimori (“decrescita serena”, “abbondanza frugale”), sostenitore dell’auto-produzione, dell’auto-consumo, della “equità tra umani e animali” parla apertamente della necessità di imporre un “eco-socialismo”.
Così l’Unione Europea, il potente mondo ambientalista, gli apologeti della “decrescita felice”, gli organi dell’Informazione Unica ci stanno portando, come pifferai di Hamelin, verso un mondo forse “decarbonizzato”, ma ridotto in miseria e decivilizzato, in nome di una nuova religione secolare, quella “Eco-latria” che Guido Vignelli, nel suo libro Da Dio al Bio così descrive: “Essa agisce mediante (falsi) predicatori, profeti, santi martiri – e ormai anche inquisitori, ahinoi – che celebrano riti, proclamano dogmi, impongono codici morali, varano leggi, emettono sentenze, promuovono intese e protocolli internazionali a danno del vero bene comune sia dei popoli che dell’umanità”.
Antonio de Felip
https://www.ricognizioni.it/il-futuro-verde-e-nero/
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