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Il paradosso dei regimi liberali repressivi – prima parte

il blog di sabino paciolla roberto allieri Aug 26, 2024

di Roberto Allieri

Il liberalismo, dalla Rivoluzione Francese ad oggi, ha sempre avuto il vantaggio di una benevola quanto abusiva considerazione, che si basa prima di tutto su un inganno lessicale.

La parola libero, libertà e altre derivate hanno infatti precise connotazioni che rinviano ad accezioni di significato sempre positive. Ad esempio, una persona liberale, al di là del rimando politico, è qualcuno che manifesta generosità, apertura al prossimo e al mondo. Ovvero una persona di larghe vedute. Insomma, tutti amano la libertà e quindi riuscire ad appropriarsi, ideologicamente, di questo patrimonio semantico e cucirselo addosso vuol dire porsi su un piedestallo e farsi guardare con rispetto.

Lo stesso potremmo dire per tante altre parole totem ma anche per etichette che si pretende che diventino nobilitanti se caratterizzate da un prefisso ‘anti’ posto prima di un concetto fatto passare per spregevole: fascista, patriarcale, razzista, discriminatorio, omofobo, etc.

Il buonista neo-giacobino in questo pantano semantico pieno di fango e diamanti ci sguazza felice. Lui è colui che si arroga di un diritto manicheo di essere sempre dalla parte giusta con il privilegio di poter imporre un lessico adulatore per lui e ostile a chi sta dalla parte sbagliata.

Accade quindi che chi non sta nello schieramento politicamente corretto si ritrova in ogni dibattito pubblico con un handicap da superare. Che è lo stigma lessicale che gli viene appiccicato addosso che diventa anche un vantaggio per i suoi avversari o interlocutori di diverso orientamento.

Per superare queste discriminazioni, spesso promosse da chi si professa liberale, aperto al dialogo e contro le discriminazioni, sarebbe opportuno ingaggiare una controffensiva culturale. Si dovrebbe infatti cominciare ad emanciparsi dalle dittature lessicali e contrastarle smascherando ciò che nascondono. E magari passare all’attacco senza però usare altri epiteti squalificanti, volti a distruggere l’avversario. In molte situazioni è molto meglio utilizzare l’ironia: per esempio qualificare l’interlocutore come buono (buonista) o corretto (politicamente) o devastatore non violento o ‘pacifinto’ non può essere considerato volgare od offensivo. Riesce elegantemente a richiamare tanta ipocrisia senza scendere nello stile di chi lancia grevi insulti carichi d’odio.

C’è dunque una battaglia sul piano culturale che merita di essere affrontata, con qualche buona chance. Si pensi all’epiteto ‘fascista’: anche se non viene ammesso da chi continua ad abusarne, sta perdendo molta della sua virulenza dal momento che sta sbracando in modo ridicolmente incontrollato. Oggi non colpisce specificamente i sempre più sparuti nostalgici del Duce e del ventennio (percentualmente lo zerovirgola) bensì tutti quelli che non sono allineati al mainstream. Per qualcuno l’appellativo fascista finisce così per abbattersi con cieco furore ideologico su tutte le convinzioni etiche e politiche che a lui non piacciono. E quindi, a detta dei guardiani dell’antifascismo, il nostro Paese pullulerebbe di fascisti. Anzi di patriarchi fascisti perché, si sa, i fascisti vanno a braccetto con le torme di patriarchi che stanno accerchiandoci da tutte le parti. I fascio-patriarchi, secondo certa narrativa, costituiscono una vera emergenza. Si annidano minacciosi dietro ogni angolo e dettano legge nelle scuole, nei tribunali e in tutte le istituzioni. Per non parlare dei maggiori quotidiani e delle più diffuse reti televisive. Abbiamo visto, recentemente il loro strapotere abbattersi sulle vittime nelle ultime olimpiadi, nell’Eurofestival della canzone e al Festival di Sanremo. O no?  

Direi proprio di no. Dopo tanto ossessivo quanto falso allarmismo il velo, anzi la spessa coltre di ipocrisia è caduta. Ormai il cittadino medio ha mangiato la foglia e non crede più a questa narrazione: la retorica dell’antifascismo non è più un’arma per tacitare il pensiero sgradito. È logora e ha perso il suo appeal di demonizzazione dell’avversario. Il governo Meloni, che regge senza violenze squadriste e marce su Roma, le ha dato il colpo di grazia, in Italia. E poi, se tutto è fascismo alla fine niente è più fascismo. Rimane invece ancora gettonata la retorica dell’emergenza contro il maschio tossico che va individuato, umiliato e rieducato.

Detto questo, sarebbe anche ora di smontare altri tipi di linguaggio o retoriche promossi dall’ideologia liberal, cosiddetta ‘radical chic’. Il discorso qui andrebbe ampliato lungamente perché ogni etichetta premiante o infamante sarebbe da analizzare singolarmente a fondo. Accenno solo all’invito a scoprire, quando qualcuno si professa paladino di qualche principio, il suo reale intento che spesso è del tutto opposto ai proclami. Mi spiego meglio: è una tattica consolidata per chi vuole reprimere o colpire un certo tipo di libertà farsi passare per promotore di quella libertà.

Facciamo qualche esempio. La ‘lotta alle discriminazioni’ è il pretesto per poter discriminare e punire chi dissente dai propri obiettivi (vedi agenda gender e femminista). E così, il contrasto agli stereotipi diventa il via libera per introdurre i propri (falsi) stereotipi e la guerra contro la virilità tossica un bel paravento (per chi ci crede) per portare avanti un femminismo ben più tossico.

La legge 194 che reca nel titolo l’obiettivo di tutela della maternità contiene disposizioni che permettono l’aborto, che è l’esatto contrario, cioè la negazione della maternità.

Vogliamo citare altre battaglie ipocrite di civiltà? L’inoculazione forzata di vaccini durante la pandemia, sotto ricatto della perdita di buona parte dei diritti personali garantiti dalla Costituzione, è stata definita atto d’amore e scelta di libertà. Inorridisco e non dico altro.

Dico invece qualcosa di più su un certo tipo di fariseismo perbenista di carattere politico. La qualifica di Democratico nello schieramento politico statunitense (ma anche per vari aspetti in Italia) si traduce nei fatti in metodi che ripugnano ai concetti più basilari di democrazia. Non si capisce infatti come possa qualificarsi democratico un partito che, per impedire a tutti i costi che la volontà popolare si esprima con risultati sgraditi, avalla o promuove qualunque metodo: e quindi via libera a brogli elettorali, strumentalizzazioni giudiziarie di carattere ideologico, voto a decine di milioni di immigrati irregolari per falsare il risultato delle elezioni, tentativi del deep state, fortemente colluso, di far fuori con tutti i mezzi chi non deve vincere o chi non deve partecipare al confronto democratico elettorale, controllo dell’informazione e censura su tutti i social, etc.

Infine, un commento sui cacciatori di bufale. La maschera di ‘fact checker’ di chi si assume il compito di lottare contro le fake news per garantire una informazione libera da manipolazioni cela il suo proposito opposto di controllare, selezionare e manipolare a suo vantaggio le informazioni. Ma ormai sempre di meno credono in questo inganno. ‘Sincero come un fact checker’ diventerà forse un’espressione proverbiale per dare del ‘pataccaro’ o screditare un prezzolato spacciatore di verità mentre ‘indipendente come un fact checker’ sarà un modo ironico per burlarsi di un sedicente arbitro fazioso o corrotto.

Insomma, il buon vino non è tale perché nobilitato da una bella etichetta. È il contenuto della bottiglia ciò che definisce la qualità del vino. Fuor di metafora, i fatti oggettivi definiscono la realtà non la loro qualifica soggettiva e mistificante.

Quando la libertà diventa tossica

E torniamo alla questione, oggetto di questa ricerca, della vera natura del liberalismo e delle sue degenerazioni. È tempo che si sveli l’inganno semantico e di aprire gli occhi di fronte a certe derive sempre più repressive.

Sebbene sembri un ossimoro, il concetto di dittatura o repressione liberale sta realizzandosi compiutamente in molte parti del mondo. È una realtà che si verifica quando la libertà diventa obbligatoria, perlomeno quella che hanno in mente i detentori del potere.

Le situazioni di liberalismo repressivo sono sotto gli occhi di tutti.

Per esempio, la cultura woke, nata e sviluppatasi negli Stati Uniti avendo come brodo di cultura ambienti liberal e radicali (cioè libertari) è paradigmatica dell’evoluzione dei principi di libertà quando questi diventano vincolanti e asfissiantemente applicati. La libertà dispotica imposta da una ristretta élite, ha infettato nel suolo americano ogni campus universitario ed è penetrata in ogni ganglio di potere, con sistemi coercitivi. È diventata una libertà tossica. Di ciò abbiamo un riflesso anche da noi in quel linguaggio ridicolo che pretende di piegare il lessico e inquinarlo, per cancellare la cultura dei popoli.

Difendiamoci da questi soprusi rispedendo al mittente asterischi, schwa e ogni arbitrario revisionismo lessicale! Possibilmente, con qualche beffa a scorno di chi li sostiene: a chi pretende di essere definita assessora o consigliera o presidenta, rifiutando persino i corretti appellativi di genere neutro, opponiamo con la stessa faccia tosta gli equivalenti appellativi maschili assessoro consigliero e presidento. E, perché no, allarghiamo lo sfottò a termini come autisto, giornalisto, geometro e magari femministo.

Altri laboratori del pensiero liberale sono quelle oligarchie in cui si concentra il potere decisionale irradiato sui governi occidentali: in primis il World Economic Forum, che riunisce più di mille multinazionali leader di settore con un fatturato superiore a cinque miliardi di euro; quintessenza del liberalismo che vuole trainare tutte le scelte globaliste con le agende scellerate che ben conosciamo. La distinzione rispetto al temibile e famigerato club di Bilderberg o alla Fabian Society è che opera con maggior trasparenza. Questo va loro riconosciuto: ormai sono talmente spudorati che non nascondono più la loro follia e a Davos le teorie e indirizzi etici e politici propalati hanno addirittura una cassa di risonanza mondiale, senza censure. Lo stile nascosto e maggiormente esclusivo di Bilderberg fa invece pensare a collusioni massoniche e a progetti ancora più indicibili. In questi templi dove si definisce il programma di dominio planetario si conferma, una volta di più, che il globalismo è liberal ma non è per uomini liberi. Non c’è corrispondenza tra la concezione di libertà e quella di liberal.

La libertà a senso unico che esige obblighi e punisce i disobbedienti è oppressiva

Ma un esempio tra i più drammatici del totalitarismo liberale lo abbiamo in quei Paesi europei ed extra-europei come Canada, Australia e Stati Uniti dove è politicamente al potere. In questo blog sarei imbarazzato nella scelta tra miriadi di articoli di denuncia. Per cui mi limito a segnalare emblematicamente, uno per tutti, il regime canadese guidato da Trudeau capace, in ossequio ai principi liberal, di sanzionare le pacifiche proteste dei camionisti all’epoca della pandemia bloccandogli carte di credito; o di obbligare istituzioni cattoliche a rispettare i suoi dogmi sul gender, contravvenendo le proprie convinzioni religiose; o di sbattere in prigione il genitore che si ostina a non usare l’appellativo corretto per il figlio che è stato plagiato per cambiare l’assegnazione di sesso. Insomma, in Canada la libertà di pensiero è subordinata alla conformità al pensiero corretto, a pena di sanzioni esemplari. È la libertà di muoversi dentro una gabbia sempre più stretta.

Questo è purtroppo il liberalismo che oggi sta prendendo piede. Rimane da capire se ciò avviene per un processo di deterioramento o no. Lo stesso quesito che in passato fu discusso in relazione al comunismo. Il comunismo di per sé è buono, diceva qualcuno; la sua degenerazione deriva da una sua applicazione sbagliata. Eppure, l’esito della totalità delle molte decine di regimi comunisti che abbiamo sperimentato nell’ultimo secolo ha sempre inevitabilmente condotto a quelle ‘degenerazioni’ e compressioni di libertà e dignità: il che è indice di un carattere disumano che è connaturato al comunismo.

E per il liberalismo, che possiamo dire? Ci sarebbero molti distinguo da fare prima di rispondere al quesito. Ci sarebbe da capire come è nato e come si è sviluppato il liberalismo dal medioevo ad oggi. O perlomeno occorrerebbe focalizzare su alcune tappe rilevanti degli ultimi due secoli.

Ma ciò sarà oggetto della continuazione di questa indagine.

FONTE : Il Blog di Sabino Paciolla

 

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