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Il Sinodo dei lupi? Intervista ad Aldo Maria Valli

aldo maria valli paolo gulisano sinodo dei vescovi Oct 04, 2023

di Paolo Gulisano

Alla vigilia dell’inizio del Sinodo sulla sinodalità, abbiamo voluto intervistare Aldo Maria Valli. Per anni vaticanista Rai, uno dei più acuti osservatori della vita della Chiesa, Valli prosegue il suo impegno nel campo dell’informazione con un seguitissimo blog, Duc in altum, e con la pubblicazione di libri. Il più recente è Il pastore e i lupi, un ricordo di Benedetto XVI e un’opera di giustizia verso uno dei papi più avversati della storia, ma anche una lettura analitica e attenta del suo pontificato, del suo magistero, così come delle sue idee e delle sue scelte. Valli scrive con sincerità di non aver mai condiviso la scelta della rinuncia al pontificato, ma prende le distanze da interpretazioni complottistiche e fantasiose (mafia di San Gallo, codice Ratzinger) e dichiara, fatti alla mano, che la causa della rinuncia fu la stanchezza fisica e morale del papa. Al termine, il libro propone una lettura dei dieci anni di papato emerito che certamente farà discutere, perché illumina di luce nuova, e drammatica, l’intera parabola umana e intellettuale di Ratzinger. Secondo l’autore, quel decennio non fu, come venne dipinto, un periodo di serena preghiera nel raccoglimento: furono un tormento, perché Ratzinger misurò l’abisso nel quale la Chiesa stava e sta sprofondando. Il dramma di Ratzinger fu che da papa emerito – e proprio a causa della sua rinuncia, che Valli giudica un atto consono al Modernismo in cui Ratzinger era cresciuto e di cui era stato esponente al Concilio, anche se poi intraprese una via “moderata” – poté toccare con mano il frutto ultimo della deriva modernista: il pontificato di Francesco.

Aldo Maria Valli, sta per iniziare un Sinodo dei vescovi (che tra l’altro vede la presenza di moltissimi “esperti” non vescovi chiamati a parteciparvi) che potrebbe cambiare drasticamente il volto della Chiesa. Che cosa ci dobbiamo aspettare?

Io questo lo chiamo il sinodo truffa. Si è fatto credere che dal “popolo di Dio” stia salendo una richiesta di cambiamento in molti campi (morale sessuale, ruolo delle donne nella Chiesa, democrazia partecipativa) quando non è così. In realtà si tratta dei soliti, vecchi e logori cavalli di battaglia del modernismo postconciliare, e non è il “popolo” che li mette al centro dell’attenzione: è una burocrazia ecclesiale sclerotizzata. La fase preparatoria, tanto decantata, è stata un fallimento: dalle diocesi è arrivato per lo più un chiaro disinteresse. Ma la narrazione ufficiale insiste sulla partecipazione. Quindi abbiamo una truffa nella truffa. Si getta il sasso e si nasconde la mano. Si fa in modo che i cambiamenti vengano introdotti al grido “è il popolo che lo vuole”. Questi gerarchi sono lontanissimi dalla realtà e continuano a rincorrere il loro sogno ideologico.

Fin da quando apparve l’Instrumentum laboris del Sinodo, il documento programmatico dell’assemblea che va a iniziare, tu parlasti di una versione remixata di tutte le iniziative del pontificato bergogliano. I discorsi ormai stucchevoli e sentimentali sugli omosessuali che desiderano amarsi, i divorziati che vogliono risposarsi, i preti che vogliono sposarsi anche loro, il tentativo sempre più esplicito di abrogare il sesto comandamento, le donne che vogliono essere ordinate sacerdotesse, la Madre Terra che non vuole essere violentata. Ma il fulcro del discorso sembra ora un altro: la cosa più importante del sinodo è la sinodalità stessa. È il camminare per il gusto di camminare, senza pensare a dove ci porta il cammino.

Questo è l’aspetto più grottesco e rivelatore. Questi gerarchi che non hanno nulla da dire, e hanno palesemente perso la fede, si trincerano nell’ultima casamatta: la sinodalità. Così quello che era il metodo (Paolo VI volle il sinodo dei vescovi per dare continuità al metodo di lavoro conciliare) è diventato il contenuto. Si sono avvitati su loro stessi e pretendono pure che il “popolo”, da loro utilizzato in modo strumentale, li segua. In realtà al fedele comune della sinodalità non importa un fico secco, come appunto si è visto nella fase preparatoria. Come si fa a entusiasmarsi per un simile argomento? Questi neo-modernisti tuonano contro il clericalismo e poi si rivelano i più clericali di tutti. Hanno perso completamente il senso della realtà. E non si accorgono che nel loro disperato bisogno di inseguire il mondo diventano perfino ridicoli, come quando hanno annunciato in pompa magna che il sinodo prenderà iniziative per compensare le emissioni di CO2 causate dai lavori. Poiché non credono più in Dio, credono a tutti i miti e a tutti i dogmi del mondo. E se ne fanno paladini.

Tu scrivi che Benedetto XVI va ricordato per la proposta audace che fece al mondo contemporaneo: recuperare l’idea di verità, messa in un angolo dal pensiero di matrice illuminista. Questo Sinodo potrebbe decisamente voltare pagina rispetto alla missione che Ratzinger si era assunta?

Tutto il pontificato di Bergoglio è una tremenda spallata a ciò che Benedetto XVI aveva faticosamente cercato di costruire e ricostruire, sia all’interno della Chiesa sia nei rapporti tra la Chiesa e il mondo. Il Sinodo è solo l’ultimo tassello che va a inserirsi in un quadro devastante. Il papa è diventato il cappellano dell’Onu, e di tutti gli organismi mondialisti, là dove Ratzinger aveva introdotto i “principi non negoziabili”. L’ambiguità e la doppiezza sono i vessilli di questo pontificato, là dove Ratzinger aveva cercato di tornare al “sì sì, no no” che deve caratterizzare il pensiero e il discorso del cattolico. L’espressione “voltare pagina” non rende l’idea. Qui si vuol fare terra bruciata di ogni residuo elemento veramente cattolico. Si vuole arrivare a una Chiesa liquida che non ha più nulla da dire ma sposa le idee e le narrative del mondo. La stessa strada già percorsa dai protestanti, che infatti si sono totalmente annullati e hanno raggiunto l’irrilevanza. Ecco l’obiettivo.

Questo Sinodo potrebbe anche rappresentare il canto del cigno di papa Francesco, che dieci anni fa era arrivato presentandosi come il papa venuto a rinnovare la Chiesa e a incarnare la leadership del progressismo nel mondo?

Un canto del cigno velenoso e avvelenato. Perché vorrà essere l’ultima picconata da parte di un distruttore seriale. Ma la credibilità di questo papa è ormai ai minimi storici. Nei sacri palazzi non lo sopportano più e non vedono l’ora che il despota esca di scena. Nello stesso tempo però ne hanno paura, perché il dittatore te la fa pagare.  Quanto ai cattolici, le udienze del mercoledì in piazza San Pietro parlano chiaro: la piazza è vuota. Dal papa non arrivano che ripetizioni degli stessi concetti. Il “papa della misericordia” è attentissimo ad apparire misericordioso con i lontani (si veda l’omaggio a Napolitano), ma non esercita l’unica forma di misericordia che compete al successore di Pietro: confermare i fratelli nella fede. Il gregge è disperso, le divisioni si moltiplicano, la confusione dilaga a ogni livello. A capo del dicastero per la Dottrina della fede abbiamo uno come Tucho Fernández, noto come l’esperto dell’arte di baciare. Se il progetto di Bergoglio, e delle élite mondialiste che l’hanno sostenuto, era quello di fare tabula rasa della cattolicità, già oggi questi signori possono dire: missione compiuta. Il Sinodo, come detto, avrà lo scopo di certificare il tutto sostenendo che è “volontà del popolo”. Truffa e mistificazione.

Qualche commentatore ha osservato che questo Sinodo potrebbe affrettare il passaggio della Chiesa verso la sua definitiva dissoluzione. I lupi di cui parlava il cardinale Ratzinger poco prima di diventare il successore di Pietro si scateneranno?

C’è poco da affrettare. L’autodissoluzione è in pieno svolgimento. Il gregge è disperso. I lupi travestiti da pastori sono riusciti a confonderlo. Le divisioni aumentano di giorno in giorno e le pecore, del tutto disorientate, litigano tra loro. Vedo il sinodo non tanto come un’occasione in cui i lupi si scateneranno, quanto piuttosto il palcoscenico sul quale saliranno per proclamare, con tono mellifluo tipicamente clericale e caramelloso linguaggio: “Vedete? Il popolo ci chiede questi cambiamenti e noi, nel nome dell’inclusività e della misericordia, andiamo incontro alle richieste”. Tutto rigorosamente falso. Perché il popolo, o per lo meno quella parte di fedeli che non sono ancora stati cloroformizzati, chiede esattamente il contrario, cioè di tornare a una fede certa, a una retta dottrina, alla tradizione. Ma il gioco degli ideologi è sempre lo stesso: rifiutare la realtà per quella che è e imporre la loro realtà.

Nel Signore degli anelli di Tolkien, in un momento in cui il male sembra trionfare, Frodo chiede a Sam: ma noi in cosa speriamo? Faccio anche a te questa domanda.

Spero nel buon Dio. Spero nel suo Figlio incarnato e venuto in mezzo a noi per riscattarci dal peccato. Spero nello Spirito Santo, il nostro avvocato difensore. Noi lo sappiamo: Deus non irridetur. Non è possibile prendersi gioco di Dio. Non sappiamo come e quando, ma il Padre, che ora sembra distaccato, ce la farà pagare.

FONTE : INFORMAZIONE CATTOLICA 

 

 

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