L’aborto non serve per salvare la vita della madre
Oct 01, 2022Con il ribaltamento della Roe e l’aborto già illegale, o che sta per diventare tale, in numerosi Stati, non c’è da sorprendersi se gli attivisti e i media pro-aborto abbiano incrementato la propaganda, cercando di far passare il messaggio che l’aborto sia necessario per preservare la vita o la salute della madre.
Le tattiche ormai sono fin troppo note. Gli attivisti pro-aborto evidenziano i casi più rari ed estremi per ottenere il sostegno popolare per la legalizzazione. E anche quando l’aborto fosse legale, volutamente ignorano che più del 99% degli aborti effettuati non hanno nulla a che vedere con i casi estremi che sono stati sfruttati per raggiungere l’obiettivo della legalizzazione.
Invece di utilizzare cinicamente il dolore delle donne in queste situazioni difficili come un grimaldello per raggiungere una trasformazione sociale e culturale, i propagandisti pro-aborto farebbero meglio a perseguire un modello di assistenza sanitaria dove si dà la priorità ad entrambi i pazienti della gravidanza – la madre e il figlio – come i medici pro-life stanno facendo da decenni con enorme successo.
Il fatto è che, come confermato da medici con decenni di esperienza nel settore, l’aborto non è mai medicalmente necessario. E non è assistenza sanitaria.
È vero che durante la gravidanza possono manifestarsi delle complicanze, come ad esempio diabete gestazionale, preeclampsia, problemi alla placenta e problemi cardiaci. Come scritto dal National Catholic Bioethics Center (NCBC): “L’ipertensione polmonare, ad esempio, può essere esacerbata dalla gravidanza: il volume addizionale di sangue dovuto alla gravidanza appesantisce il cuore già indebolito della madre e, in casi estremi, può portare all’infarto e addirittura alla morte sia della madre che del figlio”.
Comunque, in tali circostanze, i medici, che riconoscono e rispettano il valore delle vite sia della madre che del figlio, per prima cosa cercheranno di seguire delle strategie mediche che tengano conto della vita e della salute di entrambi i pazienti, spesso con il risultato che sia la madre che il figlio giungono in piena salute al termine della gravidanza, con grande gioia e soddisfazione di tutte le persone coinvolte.
Nello scorso mese di luglio, si è discusso in merito all’idea che l’aborto legale abbia creato delle strutture legali, sociali ed economiche che incentivano positivamente l’aborto, rendendo tutto più complicato per le madri che vogliono invece dare alla luce i propri figli. Si sarebbero dovute includere anche le strutture “mediche”. Questo perché in una società dove l’aborto è legale, i medici e gli operatori sanitari sono incentivati a seguire la strada “facile” ogni volta che incappano in una situazione difficile, suggerendo immediatamente l’aborto, anche in quei casi dove sarebbe possibile salvare la vita sia della madre che del figlio.
In alcuni casi, la motivazione per consigliare un aborto può essere legata alla preoccupazione per la responsabilità legale. Se i medici dovessero assumersi anche solo un minimo “rischio”, cercando una soluzione per entrambi i pazienti, c’è la preoccupazione che possano essere perseguiti legalmente se qualcosa dovesse andare storto. Comunque, la motivazione può anche derivare dall’incertezza riguardo a come gestire quel caso, a causa di una scarsa formazione o di dati medici affidabili riguardo ai probabili esiti.
In una società sana, l’assistenza sanitaria dovrebbe invece incentivare i medici (e gli operatori sanitari) a sviluppare e seguire soluzioni innovative che portino al miglior risultato possibile per madre e figlio. Invece, troppo spesso si arriva immediatamente all’aborto, togliendo a molte donne la possibilità di partorire in sicurezza, lasciandole per il resto della vita con il rimpianto.
Perfino alcuni medici abortisti ammettono l’infondatezza dell’idea che l’aborto sia necessario per salvare la vita della madre, e che i progressi nei trattamenti sanitari consentano ai medici di prendersi cura della madre e del figlio praticamente in ogni situazione. Come affermato dall’abortista Don Sloan (grassetto nostro ndr.):
“Se una donna con una malattia grave – malattie cardiache, per esempio, o diabete – rimane incinta, la procedura di aborto può essere pericolosa per lei quanto affrontare la gravidanza … con malattie come il lupus, la sclerosi multipla, persino il cancro al seno, la possibilità che la gravidanza porti a un peggioramento della malattia non è maggiore della possibilità che la malattia rimanga uguale o migliori. E la tecnologia medica è avanzata al punto che anche le donne con diabete e malattie renali possono affrontare in sicurezza una gravidanza se seguite da un medico che sa cosa sta facendo. L’idea che l’aborto possa salvare la vita delle madri è qualcosa a cui le persone si aggrappano perché suona nobile e puro, ma dal punto di vista medico probabilmente non esiste. È una vera forzatura del nostro pensiero.”
Indubbiamente, nonostante l’esistenza dell’aborto legale, negli ultimi anni sono stati fatti progressi nell’assistenza sanitaria e ora sappiamo che, in casi per i quali in passato si riteneva necessario l’aborto, è possibile portare felicemente a termine la gravidanza. Un piccolo studio pubblicato nel 2010, ad esempio, ha mostrato come ogni donna coinvolta, affetta da ipertensione polmonare, era riuscita a dare alla luce i propri figli.
Ci sono sempre più casi di donne malate di cancro che riescono a ricevere i trattamenti senza danni per i bambini. Questo grazie agli sforzi di alcuni dottori che si sono rifiutati di accettare il fatto che si debba sacrificare uno dei pazienti per salvare l’altro.
Purtroppo, possono verificarsi delle situazioni dove anche il medico più pro-life non riesce a trovare un modo per salvare la vita e preservare la salute di entrambi i pazienti. In casi come questi, i dottori e i genitori sono chiamati a prendere delle decisioni difficili. In ogni caso esse devono essere guidate da chiari principi morali, tenendo presente che l’uccisione diretta di un innocente non è mai permessa.
Negli USA, la Conferenza dei Vescovi Cattolici ha prodotto un documento intitolato “Direttive etiche e religiose per servizi sanitari cattolici”. Questa pubblicazione fornisce linee guida per gli operatori sanitari cattolici su come orientarsi nelle situazioni mediche difficili in modo da rispettare la legge morale. Viene detto chiaramente al punto 45 di questo documento che “l’aborto (ovvero la diretta e intenzionale terminazione della gravidanza prima della nascita oppure la distruzione diretta e intenzionale di un feto) non è mai permesso. Ogni procedura il cui unico effetto immediato è la terminazione della gravidanza prima della nascita è un aborto, il quale, in questo contesto morale, include l’intervallo tra il concepimento e l’impianto dell’embrione”.
In altre parole, non si può mai, in nessuna circostanza, togliere direttamente la vita a un essere umano innocente.
Questo non significa che i dottori debbano rimanere indifferenti a quei casi in cui, durante la gravidanza, insorgono patologie che mettono a repentaglio la vita della madre. In questi casi si possono seguire strategie che combinino il profondo rispetto per la dignità e il valore della madre e del figlio con una valutazione realistica della situazione.
L’insegnamento cattolico spiega chiaramente come, in alcuni casi, si possa tollerare la perdita indiretta o non intenzionale della vita che può verificarsi quando si affronta una situazione medica critica, come ad esempio una gravidanza ectopica o un cancro all’utero, laddove non vi siano alternative disponibili.
Questo è noto come “principio del doppio effetto”. In generale, tale principio afferma che a volte è possibile compiere un’azione moralmente buona o neutra che porta a un effetto collaterale prevedibile e indesiderato. Forse il caso più emblematico di questo principio è la rimozione della tuba di Falloppio nel caso di una gravidanza ectopica. In tale situazione, la sezione della tuba intorno al bambino è divenuta patologica ed è una minaccia crescente per la madre e per il figlio. Idealmente, l’embrione potrebbe essere rimosso chirurgicamente dalla tuba e trasferito in sicurezza nell’utero, ma quest’opzione non è ancora una strada percorribile. Di conseguenza, la minaccia viene affrontata rimuovendo la tuba con l’effetto collaterale, non desiderato, che il bambino all’interno della tuba non sopravvivrà.
L’intento del chirurgo è diretto a un buon fine (combattere la patologia rimuovendo il tessuto danneggiato per salvare la vita della madre) tollerando l’effetto cattivo, che è la morte indesiderata del bambino. Il chirurgo sta scegliendo di agire direttamente sulla tuba, che è una parte del corpo della madre, piuttosto che direttamente sul bambino. La morte del bambino non è il mezzo attraverso il quale avviene la guarigione della madre; è con l'atto di rimuovere la tuba di Falloppio, non la successiva morte del bambino, che si ottiene il risultato curativo per le condizioni mediche della madre. Sebbene la morte del bambino sia prevedibile, non è l'esito voluto o desiderato dell'intervento medico che salva la vita della madre.
Come affermano le linee guida dei vescovi USA al punto 47: “Operazioni, trattamenti e medicazioni che hanno come scopo diretto la cura di una patologia proporzionatamente grave di una donna in gravidanza sono permessi quando non possono essere posticipati con sicurezza dopo la nascita del bambino, anche se comporteranno la morte di quest’ultimo”.
In alcuni casi, è doveroso sottolinearlo, alcune madri hanno scelto eroicamente di sacrificare la loro vita per far sì che i loro figli vivessero. Si conoscono diversi casi di donne che hanno scelto di posticipare le cure per il cancro, per esempio, dato che il trattamento avrebbe danneggiato gravemente o ucciso i loro bambini. Nel 2004, infatti, Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato Gianna Beretta Molla, medico e madre che rifiutò un aborto e una isterectomia (che le avrebbe salvato la vita) per far vivere suo figlio.
Quest’opzione eroica non viene minimamente considerata dalla cultura abortista. In ogni caso, la speranza è che in una cultura davvero per la vita, si possano raccogliere risorse per trovare trattamenti che permettano di non ricorrere necessariamente ad una scelta del genere.
Nonostante la Chiesa Cattolica e l’etica pro-life abbiano sviluppato principi medici ed etici sofisticati e moralmente validi per gestire i diversi “casi critici”, i media e le organizzazioni pro-aborto continuano a confondere le acque sostenendo la necessità dell’aborto dal punto di vista sanitario, e affermando che, senza aborto legale, le donne morirebbero.
Ad esempio, molti propagandisti pro-aborto continuano a insistere sul fatto che rendere illegale l'aborto renderà illegali anche i trattamenti per condizioni come le gravidanze extrauterine. Tuttavia, come ha sottolineato Jonathan Turley in un articolo per Fox News, non solo questa è una bugia, ma è anche una bugia pericolosa. Come ha osservato, anche negli Stati in cui l'aborto è illegale, sono previste cure per la gravidanza extrauterina, pur comportando la morte del bambino. La legge dell'Oklahoma, ad esempio, afferma chiaramente: "Un atto non è un aborto se è compiuto con lo scopo di... rimuovere una gravidanza extrauterina".
Come la dott.ssa Christina Francis, membro del consiglio dell'American Association of Pro-Life Obstetricians and Gynecologists, ha dichiarato di recente al Catholic Register, “curare una gravidanza extrauterina non è un aborto; è una procedura per salvare la vita di una donna”.
Padre Tad Pacholczyk, direttore dell'istruzione presso il NCBC, ha dichiarato: "È una grande leggenda metropolitana che vietare gli aborti elettivi diminuirà l'accesso a cure adeguate per le madri".
Poiché un ospedale cattolico si prende cura sia della madre che del nascituro, deve impegnarsi a non oltrepassare mai una linea importante: togliere direttamente la vita di un essere umano innocente. Gli ospedali cattolici, tuttavia, sono in grado di fornire cure mediche appropriate che possono comportare la perdita indiretta, ma solo tollerata, del concepito, quando non fossero disponibili altre alternative. Chi è ammesso in istituzioni sanitarie cattoliche è cosciente di un fatto indiscutibile: chiunque sarà trattato utilizzando i più alti standard di assistenza medica e preservato da una diretta aggressione alla propria vita.
In effetti, come cattolici possiamo essere orgogliosi della nostra fedeltà ai principi morali fondamentali che costituiscono una società più umana. Uccidere direttamente un essere umano innocente, anche nella speranza di salvare la madre, significa macchiarsi intenzionalmente di un male intrinseco, anche se può seguire un bene. E come dimostra l'esperienza, non è neanche necessario dal punto di vista medico. Come osserva il NCBC, "Ripugnando sempre l'uccisione diretta di innocenti [...] abbiamo messo in atto il quadro per salvaguardare la dignità umana alla sua radice", nella comprensione che ogni vita ha un valore incomparabile dal momento del concepimento.
Fonte: Human Life International (pubblicato il 18/07/2022)
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