L’unità della coscienza è insidiata dalla disgregazione
Aug 07, 2022di Francesco Lamendola
Che cosa farebbe, su che cosa concentrerebbe i suoi sforzi, un ipotetico gruppo di potere occulto il quale volesse effettuare un radicale esperimento di riassetto mondiale, demografico, economico, politico, culturale e perfino antropologico, qualora fosse così perfido e così astuto da voler rimanere celato nell’ombra, per quanto possibile, e al tempo stesso agire in profondità nei modi di pensare e di sentire di milioni, miliardi di persone, sui loro comportamenti, sulle loro azioni e le loro scelte quotidiane? Vale a dire, se volesse instaurare la più ferrea dittatura, o meglio, imporre il più plumbeo totalitarismo, senza però renderlo esplicito, ma facendo sì che le persone lo accogliessero e lo accettassero in maniera spontanea, sacrificando tutti i loro modi e stili di vita precedenti, modificando i loro valori, capovolgendo la loro prospettiva, insomma ottenendo che gli esseri umani andassero contro i loro stessi istinti, i loro naturali bisogni, il loro più elementare buon senso, e facessero propria una visione del reale lontanissima dal vero, anzi il suo esatto opposto e quindi la sua diabolica contraffazione?
Se un piano così immensamente audace e malvagio – se, badate bene, se - un simile piano esiste, allora la risposta alla domanda: su che cosa concentrerebbe i suoi sforzi, in che modo procederebbe per realizzare i suoi perversi obiettivi, a nostro avviso sarebbe questa: studierebbe molto bene i meccanismi della psiche, così da impadronirsi del segreto di quelle forze che, allo stato potenziale, esistono in essa, ma nell’ordinato svolgimento della vita individuale e collettiva giacciono in ombra, latenti, o se pure si affacciano alla coscienza, non arrivano affatto a turbarla, tranne in rarissimi casi – rarissimi vogliamo dire sul piano statistico, rispetto al totale della popolazione - così da scatenarle e servirsi di esse per gettare le coscienze nella più completa confusione e utilizzarle per raggiungere i suoi fini. Infatti, anche se noi non vi prestiamo attenzione e la maggior parte ne ignora perfino la realtà, la nostra psiche con è per nulla un blocco unitario e monolitico, ma è percorsa e attraversata da forze, da tendenze, a volte contrastanti, che compaiono nella maniera più sconcertante nella sindrome della personalità multipla, ma che sono presenti, in forma meno drammatica, in ciascuno di noi.
Ora, la sorpresa – almeno per il grosso pubblico - che tali studi esistono, che vengono condotti da anni, da decenni, con grande dispiego di mezzi, perché chi li finanzia dispone di risorse pressoché illimitate, e può permettersi di assumere i ricercatori migliori e le tecniche sperimentali più moderne e sofisticate, effettuando in silenzio la campionatura di fasce crescenti di popolazione. E non si tratta affatto di studi e ricerche aventi carattere di sconvolgente novità: si tratta semplicemente di raffinati approfondimenti di studi e ricerche già svolti e messi a punto nell’ambito pubblicitario: perché la pubblicità, quella cosa suscettibile d’influenzare a fondo e di cambiare appunto il odo di sentire e di pensare di milioni e milioni di persone, si basa appunto sull’esistenza di tali forze e tendenze psichiche, di una folla e pluralità di soggetti di quello che solitamente definiamo “io”. Questa semplice e quasi ovvia constatazione ci permette anche di capire che, se un tale gruppo di potere occulto esiste, e se esiste un tale disegno per l’instaurazione d’un totalitarismo mondiale, non occorre immaginare scenari del tutto inediti da romanzo distopico, ma è sufficiente ammettere che qualcuno si dia la pena di prendere in mano, approfondire e perfezionare qualche cosa che già esiste, che già è in atto e che da più di un secolo lavora al livello della nostra psiche per cambiare i nostri comportamenti e i nostri stili; che si serva con moltiplicata spregiudicatezza d’una tecnica di persuasione che già viene applicata, ad esempio, oltre che nell’ambito commerciale, in quello politico. Ed ecco che l’ipotesi iniziale comincia a prendere consistenza, comincia ad apparire qualcosa non solo di possibile e di plausibile, ma dirittura di probabile, se è vero – come è vero – che da sempre l’ebbrezza del potere esercita un’attrattiva pressoché irresistibile sugli animi più avidi ed egoici.
Citiamo dal libro di Claudio Mina Al centro dell’io. Domande allo psicologo (Roma, Città Nuova Editrice, 1974, pp. 30-31):
Bisogna capire che la psiche ha in se stessa ha vera folla di forze dinamiche, di “tendenze”, che la spingono a vivere in varie direzioni. Queste tendenze sono di diverso tipo (istinti, bisogni, esigenze, interessi, aspirazioni, timori, ecc.) ma hanno tutte la caratteristica di premere sul nostro Io, affinché esso le appaghi con un comportamento adeguato.
La maggioranza di esse sono forze fondamentalmente utili, perché ci forniscono energia e slancio, per l’azione e per il nostro sviluppo; eppure tutte presentano contemporaneamente un grado di pericolosità, per il fatto che esse sono dotate di un certo grado di autonomia, di indipendenza. Esse, insomma, possono agire per conto proprio sena che il nostro cervello riesca a dominarle direttamente.
Tali tendenze, quindi, possono da un lato collaborare disciplinatamente e in buona armonia tra loro allo sviluppo della nostra personalità. Ma possono anche mettersi in conflitto l’una contro l’altra: fatto che può accadere facilmente per il preciso motivo che ognuna di esse tende ad accaparrarsi il dominio sul nostro Io. In questo caso si può giungere ad un ero stato di “anarchia psicologica”, in cui le tendenze lottano tra loro nel nostro inconscio, appunto con enorme spreco di energia.
Per evitare questa lotta bisognerebbe dunque riuscire a far sì che le tendenze divengano docili e l‘Io sia libero dalla loro pressione; libero cioè di appagare questa o quella senza che le altre rimangano frustrate, e si agitino a causa della loro mancata soddisfazione, dando luogo a vari disturbi nevrotici. Ma come possiamo fare per raggiungere questo scopo dal momento che la nostra volontà non ha su di esse un potere diretto o ne ignora addirittura l’esistenza, essendo esse nascoste nell’inconscio? (…)
Il modo di ordinarle però c’è ugualmente, anche se esso è più indiretto che diretto. Esso si basa su una grande legge alla quale fortunatamente si assoggettano questi nostri vivaci ospiti interni. È la “legge della canalizzazione delle tendenze”. Essa dice che quando l’individuo appaga per un certo tempo con chiarezza, decisione e costanza, uno o più tendenze principali, le altre pian piano vanno perdendo la loro indipendenza e la loro carica disturbante, fino ad atrofizzarsi indipendenza o porsi al servizio delle tendenze principali che abbiamo scelto. La personalità, allora, invece che risultare “disgregata”(cioè lacerata da contrastanti desideri), appare “unificata”, cioè ben organizzata attorno alle principali linee di sviluppo che l’individuo ha prescelto. E aggiungiamo ancora che mentre la personalità disgregata è fiacca, distornata, e soprattutto insoddisfatta, quella unificata si dimostra contenta di sé, dinamica, serena, ricca di energie.
Teniamo presente che la parola diavolo deriva da un verbo greco che significa dividere, separare e perciò anche accusare, ingannare e seminare inimicizia (diaballein): ora, quale capolavoro più riuscito, per chi sia interessato a creare divisioni, ottenere che le persone siano divise, oltre che le une rispetto alle altre, anche in se medesime? Come ha spiegato con impeccabile chiarezza il divino Maestro (Marco, 3, 24-25): Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una cosa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Dunque se noi siamo divisi in noi stessi; se l’Io non svolge più la sua funzione di direttore d’orchestra, ma viene continuamente soverchiato e mortificato da tanti, piccoli Io, ciascuno dei quali pretende di dettar legge ed imporre la propria volontà a tutti gli altri, allora esistono le condizioni affinché la nostra coscienza, persa la propria unità e il dominio di se stessa divenga facile strumento d’una volontà esterna, più forte e aggressiva, la quale le farà fare qualsiasi cosa e la ridurrà nelle condizioni di uno strumento per realizzare dei fini che non le appartengono né hanno a che fare coi suoi veri bisogni ed il suo vero bene, ma coi fini di quella volontà esterna.
Bisogna anche tener presente che perdere l’unità della propria coscienza, consentire alla sua disgregazione, significa in certo qual modo chiamare o evocare qualcuno o qualcosa, perché la natura odia il vuoto e se invece il vuoto si crea, subito un qualche tipo di forza accorre a riempirlo. Accade un po’ come quando un bravo attore s’immedesima totalmente nel ruolo del personaggio che deve interpretare: a quel punto il suo Io scompare, interamente assorbito dal nuovo venuto. Ma siamo sicuri di sapere chi è il nuovo venuto? E se fosse tutt’altro personaggio da quello che crediamo di conoscere? E se il moltiplicarsi delle personalità secondarie creasse e condizioni perché l’Io principale, spinto in un angolo e quasi ridotto al silenzio, finisse per scomparire, cedendo il suo posto e il suo ruolo a qualcun altro, venuto da fuori, cioè non prodotto dalle forze interne della psiche, ma di tutt’altra origine e di natura completamente diversa. Una casa disabitata, ma ancora abitabile, non rimane deserta all’infinito: prima o poi arriva qualcuno che la nota, la trova adatta ai suoi gusto o ai suoi bisogni e senza tanti compimenti vi s’insedia, magari senza chiedere permesso né seguire le vie legali.
Sappiamo, e lo sappiamo sia per fede, sia alla luce di numerosi studi pubblicati sull’argomento che non è azzardato ipotizzare l’esistenza di siffatti ospiti misteriosi della coscienza, il più delle volte malefici perché invadenti, minacciosi e noncuranti della pace e del bene dell’Io, talvolta benefici e pietosi, questi ultimi tuttavia agenti a titolo temporaneo proprio perché rispettosi dell’indipendenza della coscienza e quindi non interessati a insediarvisi come dei parassiti psichici, o peggio. Non è una cosa che si possa dimostrare scientificamente, ma di cui vi sono abbondanti indizi per sospettarne quantomeno la possibilità concreta. Come fa una persona illetterata a parlare delle lingue sconosciute, perfino delle lingue morte dell’antico Oriente, come l’assiro o il babilonese, che solo pochissimi specialisti al mondo conoscono e che esse, di certo, non hanno mai avuto alcuna occasione di udire? Come fa una persona normale, magari di fragile costituzione fisica, a divenire così forte che neppure quattro uomini robusti, con tutti i loro sforzi, riescono a tener ferma, e come fa a divenire così pesante che costoro non riescono a rialzarla da terra, o a spostarla neppure di un millimetro?
In simili casi, la domanda è non solo quanti siano gli abitanti di quel tale individuo, ma soprattutto chi in realtà siano. Davvero il fatto che una tenera adolescente si metta a parlare con profonda voce maschile è spiegabile con il repentino affacciarsi di una personalità secondaria, rimasta finora sconosciuta? E come spiegare che una persona, al risveglio da un intervento chirurgico durante il quale si trovava in stato di perfetta incoscienza, non solo abbia saputo descrivere perfettamente le azioni svolte e le parole pronunciate da medici e infermieri, ma perfino particolari insignificanti come il colore dei calzini di un medico che si trovava nell’altra stanza? Episodi come questo paiono suggerire che la mente, dopotutto, potrebbe anche essere non localizzata: cioè potrebbe svolgere le sue funzioni separata dal corpo. In tal caso, cadrebbe l’idea, oggi comunemente ammessa dalla cultura dominante e dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica, che la mente sia un prodotto del cervello, e che quindi sia inconcepibile al di fuori del corpo. Ma se la mente non è un prodotto del cervello e se non è un derivato delle sue funzioni chimiche, allora che cos’è? Come fa a vedere, a sapere, a riconoscere oggetti che si trovano del tutto al di fuori del suo raggio d’azione e perciò dei quali, a rigore, dovrebbe ignorare tutto, a cominciare dalla loro stessa esistenza?
Queste ed altre simili osservazioni e riflessioni riportano d’attualità una parola che gli scienziati hanno smesso da un pezzo di adoperare, considerandola vuota e priva di significato, un relitto linguistico del passato: la parola anima. Per san Tommaso, a differenza di Aristotele, l’anima individuale può, anzi deve essere considerata come distinta dal corpo, anche se essa è il principio vitale che lo fa esistere: se fosse la funzione del corpo, se fosse tutt’uno con il corpo, alla morte del corpo anche l’anima dovrebbe dissolversi; e si potrebbe solo immaginare, come fa Averroé, la persistenza dell’anima universale, non di quella individuale. Ma se la mente, o psiche, altro non è che l’anima o principio vitale; e se essa non è localizzata, anzi non sappiamo neppure, almeno in talune circostanze, da quali e quanti inquilini sia abitata, possiamo davvero sostenere che è solo una funzione del cervello, cioè del corpo? E possiamo ridurre il grande problema metafisico della sua immortalità a un problema chimico e relativo alle circonvoluzioni del cervello? Non è terribilmente povera, e terribilmente insoddisfacente, una simile spiegazione? E ciò non ci obbliga a rimettere in discussione quel che credevamo di sapere e a confrontarci, ancora e sempre, col mistero dell’anima?
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