La favola di Natale di Giovannino Guareschi
Dec 27, 2022
di Aldo Maria Valli
Questa favola Giovannino Guareschi ā noto in tutto il mondo come lāautore delle avventure di Don Camillo e Peppone ā la scrisse nel 1944 nel campo di prigionia nel quale era rinchiuso, e i suoi compagni nel lager furono i primi ad ascoltarla.
di Giovannino Guareschi
Cāera una volta un prigionieroā¦ No: cāera una volta un bambinoā¦ Meglio ancora: cāera una volta una Poesiaā¦ Anzi, facciamo cosiĢ: cāera una volta un bambino che aveva il papaĢ prigioniero. āE la Poesia?ā direte voi. āCosa cāentra?ā La Poesia cāentra percheĢ il bambino lāaveva imparata a memoria per recitarla al suo papaĢ, la sera di Natale. Ma, come abbiamo spiegato, il papaĢ del bambino era prigioniero in un Paese lontano lontano. Un Paese curioso, dove lāestate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava. Un Paese straordinario dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la benzina, la gomma. E perfino il miele, percheĢ le api non suggevano corolle di fiori, ma succhiavano pezzi dāantracite. Un Paese senza lāuguale, dove tutto quello che eĢ necessario allāesistenza era calcolato con cosiĢ mirabile esattezza in milligrammi, calorie, erg e ampeĢre, che bastava sbagliare unāaddizione ā durante il pasto ā per rimanerci morti stecchiti di fame. Stando cosiĢ le cose, arrivoĢ la sera della vigilia, e la famigliola si trovoĢ radunata attorno al desco, ma una sedia rimase vuota. E tutti guardavano pensierosi quel posto vuoto, e tutto era muto e immobile nella stanza percheĢ anche lāorologio aveva interrotto il suo ticchettare, e la fiamma era ferma, come gelata nel camino. Allora il bambino ā chi sa percheĢ ā si levoĢ ritto sul suo sgabello, davanti alla sedia vuota, e recitoĢ ad alta voce la Poesia di Natale: Din-don-dan: la campanella questa notte suoneraĢ e una grande, argentea stella su nel del sāaccenderaĢ.,. Il bambino recitoĢ la sua Poesia davanti alla sedia vuota del papaĢ e, comāebbe finito, la finestra si spalancoĢ ed entroĢ una folata di vento. E la Poesia aperse le ali e voloĢ via col Vento. āLa Poesia aperse le ali?ā direte voi. āE come faceva ad aprire le ali? La Poesia eĢ forse una farfalla?ā No, la Poesia eĢ un uccellino. Un uccellino fatto di cielo azzurro impastato in un raggio di luna. Un uccellino che nasce (come sboccia un fiore) nel tiepido cuore del poeta, e subito scappa fuori dalla sua rossa gabbietta e va a saltare sul foglio bianco che sta sopra la scrivania. Ma non puoĢ ancora volare percheĢ gli mancano le ali: e allora il poeta intinge la penna e gli fabbrica le ali con le piuĢ belle parole che gli vengono alla mente. E ogni verso diventa una piuma. E quando tutto eĢ finito, lāuccellino spicca il volo e porta per il mondo le parole del poeta. E tutti le leggono percheĢ lāuccellino si posa ā ad ali spiegate dovunque scorge un foglio bianco, e le parole si vedono benissimo percheĢ lāuccellino eĢ fatto dāaria trasparente, mentre le parole sono scritte con lāinchiostro di Cina. La Poesia, dunque, spiccoĢ il volo e via col Vento. āDove vuoi che ti porti?ā le domandoĢ il Vento. āPortami nel Paese dovāeĢ adesso il papaĢ del mio bambinoā, disse la Poesia. āStai fresca!ā rispose il Vento. āPercheĢ prendano anche me e mi mandino al lavoro obbligatorio a far girare le pale dei loro mulini a vento! Niente da fare: scendi!ā Ma la Poesia tanto pregoĢ che il Vento acconsentiĢ a portarla almeno alla frontiera.
E cammina, cammina, cammina nella notte di pece, finalmente arrivarono al confine e il Vento fermoĢ il motore, e la Poesia scese e si avvioĢ a piedi verso la siepe che divideva i due Paesi. Faceva tanto freddo che la povera poesiola aveva tutte le rime gelate e non riusciva neppure a spiccare il volo. āDove vai?ā le chiese un vecchio il quale, con uno stoppino legato in cima a una pertica, cercava invano dāaccendere qualche stellina nel cielo nero. āDove vai?ā āAl campo di concentramentoā, rispose la Poesia senza fermarsi. āOhimeĢā, sospiroĢ il vecchio. āInternano anche la Poesia, adesso? Cosa ci resteraĢ piuĢ?ā La Poesia continuoĢ zampettando il suo cammino e finalmente arrivoĢ al confine ma, appena attraversata la siepe, una rete le piomboĢ addosso ed eccola prigioniera. āAh! Ah!ā sghignazzoĢ un omaccio vestito di ferro avvicinandosi con una lanterna. āDove vai? Chi sei? Cosa porti scritto sulle ali? Spionaggio?ā E la Poesia a spiegargli chi fosse e dove andava, e quello a insistere sospettoso. Alla fine parve convinto e, inforcati gli occhiali, comincioĢ a leggere i versi scritti sulle ali. Din-don-dan: la campanella questa notte suoneraĢā¦ āNo!ā disse. āProibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!ā E, con un pennello intinto nellāinchiostro di Cina, cancelloĢ molte parole. Poi, di liĢ a poco, scosse ancora il capo. Una grande, argentea stella su nel ciel sāaccenderaĢā¦ āNiente! Contravvenzione allāoscuramento!ā disse. E giuĢ pennellate nere. Latte e miele i pastorelli al Bambino porterannoā¦ āNiente! Contravvenzione al razionamento!ā borbottoĢ. E giuĢ ancora col pennello.
I Re Magi immantinente sul cammello salirannoā¦ āNiente!ā urloĢ furibondo. āBasta coi re! Guai a chi parla ancora di re!ā
E giuĢ pennellate grosse cosiĢ. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbroĢ le ali e disse che poteva entrare. La Poesia si mise a piangere. āE come faccio a entrare cosiĢ? Con tutte queste cancellature io non sono piuĢ una poesiaā¦ā āO cosiĢ, o niente!ā disse lāomaccione mostrandole un foglio. āGuarda qui: il regolamento parla chiaro.ā
E il regolamento diceva infatti tra lāaltro che, in quel Paese dove tutto eĢ prosa, era proibito lāingresso alla Poesia. La nostra poverella ritornoĢ malinconicamente indietro e adesso, anche se avesse voluto volare, non lāavrebbe potuto piuĢ percheĢ le pennellate nere le avevano tarpate le ali. āNon ti rattristare, piccolinaā, le disse un vecchio dalla lunghissima barba bianca che stava seduto su un sasso, vicino alla siepe di confine.āNon ti rattristare se non tāhanno lasciata entrare. Figurati che non lasciano entrare neanche me che ho ingresso libero nei Paesi piuĢ importanti del mondo! E sono anni che aspetto qui fuori.ā āE chi sei tu?ā domandoĢ la Poesia. āSono il Buonsensoā, rispose il vecchio. PassoĢ il Vento e la Poesia lo scongiuroĢ ad ali giunte: āVento, Vento, portami via con te! Riconducimi a casa: le mie ali sono tarpateā¦ Ti pagheroĢ doppia corsa!ā āNon possoā, rispose il Vento. āHo troppo da fare, adesso. Debbo portare dolci ricordi e nostalgie in tutte le case del mondo. Questa eĢ lāora dei ricordi e il servizio eĢ duro.ā La Poesia riprese il suo cammino nella notte fredda, ed ecco qualcuno apparire sulla strada deserta. Uno strano personaggio il quale borbottava pieno di malumore: Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Questāarietta maledetta soffia dentro i polmoni Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Con la guerra sulla Terra disperazioniā¦ Chi era il vecchio brontolone? Era proprio Babbo Natale, tutto vestito di rosso e con una gran barba candida, con la gerla sulle spalle e la lanterna in mano. āEhilaĢ!ā esclamoĢ Babbo Natale, fermandosi a guardare curiosamente la Poesia. E, inforcati gli occhiali, si chinoĢ a leggere le poche parole rimaste sulle ali del nostro povero uccellino: La campanella e una grande argentea stella sul cammello saliranno e al Bambino porteranno ā¦ āGuarda, guarda!ā esclamoĢ. āUna poesia ermetica!ā La Poesia spiegoĢ che lei non era una poesia ermetica, ma il poco rimasto di una onesta poesiola di Natale, e Babbo Natale allora si commosse e disse: āTi riporteroĢ a casa io. Salta pure dentro la gerla: tanto eĢ vuota!ā āVuota la gerla di Babbo Natale?ā si stupiĢ la Poesia. āVuota, siĢā, sospiroĢ il vecchio. Chi piuĢ pensa ai giocattoli in questa triste Terra? Tutti adesso lavorano soltanto per la guerra! Non piuĢ trenini elettrici per i bambini buoni: il ferro, ora, si adopera solo per far cannoni! Cercar cavalli a dondolo? Sono pretese strane: adesso, il legno, lāusano per fabbricare il pane!Tu vorresti una bambola? Niente, bambina mia: la cartapesta e i trucioli servon per lāautarchia! Cercar dolciumi eĢ stupido: le chicche son proibite. Adesso, con lo zucchero, ci fan la dinamite! la ricerca eĢ inutile: dal Motta andar, non vale: āPanettone?ā rispondono. āNeppur questo Nataleā¦ā E tuttāal piuĢ ti spiegano, in tono riservato, che di servirti sperano la Colomba Pasquale col rametto simbolico nel becco mandorlato.,. Babbo Natale scosse il capo e sospiroĢ: āE cosiĢ, cara la mia Poesia, la gerla eĢ piena soltanto di speranze. Pazienza: vuol dire che saraĢ per il Natale prossimo. Andiamo pure.ā Ma, intanto, cosa succede nella casa lontana? Niente di straordinario: Albertino ā cosi si chiama il nostro bambinello ā va a letto e la nonnina, per farlo addormentare, gli racconta una favola. Vogliamo ascoltarla anche noi quella favola? Siamo abituati ad ascoltarne tante, di favole, che una di piuĢ non ci potraĢ recare danno. PeroĢ non eĢ bello stare ad ascoltare i fatti altrui. Aspettiamo dietro la porta che Albertino si sia addormentato. Ecco: il bambino sāeĢ addormentato, la nonna se ne eĢ andata e il silenzio ha disteso il suo mantello di velluto nero su tutta la casa. Ed ecco che, dopo un poā, si ode un ticchettio contro il cristallo della finestra. Albertino si sveglia, scende dal letto, apre cauto la finestra. Eā la Poesia che eĢ ritornata. āEbbene? Lāhai visto papaĢ?ā āNoā, risponde la Poesia. E narra la sua triste avventura. Allora Albertino si mette le scarpine felpate e la mantellina col cappuccio e si avvia deciso alla porta. āAndroĢ io dal babboā, esclama risoluto. Scende cauto per la scala, gradino per gradino. La casa eĢ buia e piena di mistero. āMio Dio!ā grida a un tratto. āCosa sono quei due puntini di fuoco che mi fissano?ā¦ Ah, il gattino bianco. Che paura māhai fatto! Micino, fammi luce fino alla porta del giardino!ā¦ā
E il micio, con i suoi occhi fosforescenti, illumina la strada ad Albertino.
I sogni dei bambini sono tutti illuminati da occhi di gattini, da lucciole, da stelline. Eā un tipo di illuminazione molto conveniente percheĢ ci si vede a sufficienza e il contatore non gira. Mentre attraversa le stanze deserte, voci si levano sommesse. Oramai tutti sanno: quando Albertino complottava con la Poesia, il Grillo Parlante stampato a pagina 27 del libro di Pinocchio ha udito ed eĢ scappato via dal foglio, ed eĢ corso per la casa a dare la grande notizia: āIl bambino va a trovare il babbo!ā¦ā CosiĢ, mentre Albertinopassa, le cose gli parlano: āDigli che conto i minuti che ci separano dal suo ritorno!ā sussurra lāorologio. āDigli che divoro i giorni per abbreviargli lāattesa!ā sussurra il calendario. āDigli che senza di lui non riesco piuĢ a spiccicare una parola!ā sussurra la macchina per scrivere. Sul rullo della macchina cāeĢ un foglio scritto a tre quarti: una novellina interrotta proprio sul finale. āDigli, per lāamor di Dio, che torni prestoā, implora la novella. āDa diciotto mesi Lauretta aspetta. Giacemmo sotto lāorologio della piazzetta. Non si puoĢ lasciare una povera ragazza cosiĢ, per degli anni, esposta alle intemperie. Digli che venga a concludere!ā¦ā
E Albertino promette che riferiraĢ tutto. Ed eccolo alfine nel giardino. Flik, il vecchio cane da guardia, lo aspetta sulla porta. āVengo anchāio dal padroneā, dice Flik. Il gattino sāeĢ fermato sulla porta. PercheĢ dovrebbe avventurarsi in quella gelida notte dicembrina? Per il bel gusto di vedere la faccia del marito della padrona? I gatti non sono dei sentimentali. Eā tanto buio, fuori, e si fatica a camminare, ma Flik va a svegliare una lucciola che sverna dentro un buchetto del muro. Quella protesta: eĢ freddo, e soprattutto non ha petrolio per accendere il fanalino posteriore. āMa hai bene la tua dinamo!ā osserva Flik. āSiĢ, ma eĢ giaĢ una dannata fatica per chi le puoĢ far funzionare con la mano, queste benedette dinamo! Figurati poi la fatica che debbo fare ioā¦ā Ma poi la Lucciola cede e ā presa la lampadina ā si avvia con Flik e Albertino. Ma non camminano molto: sul cancellino si trovano a fianco a fianco con qualcuno che sta uscendo. Eā un essere ammantato in una lunga palandrana e sembra un fantasma. Albertino lancia un piccolo grido di paura, ma poi la Lucciola illumina il viso del presunto fantasma. āTu, nonnina?ā āTu, Albertino? E dove vai a questāora?ā āE tu, nonnina?ā āIo vado a trovare il mio bambinoā, risponde la nonna. Per le mamme i figli restano sempre dei bambini e ā se stesse soltanto in loro ā continuerebbero a farli dormire eternamente nella culla. E, vedendo un metro e mezzo di gambe uscir fuori dal lettuccio, non direbbero: āMio figlio eĢ cresciuto.ā Direbbero: āLa culla del mio bambino si eĢ ristretta.āLe mamme sono sempre in lotta col tempo e se, talvolta, si tingono i capelli quando incanutiscono, non eĢ per vanitaĢ, ma per illudersi che il tempo non eĢ passato e che il loro bambino ā percioĢ ā eĢ ancora un bambino. āTu hai un bambino, nonna? E chi eĢ?ā āIl tuo papaĢā¦ā Avanzano nella notte al tenue lume della Lucciola: Flik, la nonnina e Albertino. E la mamma? La mamma eĢ rimasta a letto: ha paura del buio e ha tanto freddo; eĢ un poā come il gattino bianco, la mamma, e si muoverebbe, in questa notte, solo se si trattasse del suo bambino.
I figli lontani bisogna andarli a trovare a ogni costo. I mariti lontani basta saperli aspettare. I papaĢ, invece, fanno migliaia di chilometri in sogno anche per rivedere le mamme dei loro figli. Lāuomo eĢ un sentimentale come Flik. Non per niente lāuomo eĢ detto lāamico del cane. cammina, cammina, cammina, ecco che arrivano a una piccola e solitaria stazione dove una locomotiva, dopo aver fatto una bella scorpacciata di carbone, sta facendoci sopra una buona pipata. āSignora locomotivaā, chiede Albertino, āci porti da papaĢ?ā āImpossibileā, risponde la locomotiva. āCrisi dei trasporti, mitragliamenti, mancanza di personaleā¦ā āSignora locomotivaā, prega la nonnina, āportami dal mio bambino. Non sai cosa rappresenti per una mamma il suo bambino? Tu non hai figli?ā āE come no?ā risponde la locomotiva. āNon sono forse miei figli tutti questi vagoni che tu vedi? E so anchāio, signora, cosa voglia dire avere dei figli lontani! Sapessi, vecchia signora, quanti e quanti miei figlioli sono costretti a lavorare laggiuĢ, nel Paese dove si trova tuo figlio!ā¦ā āSe sai dovāeĢ, vuol dire che tu lo conosci il mio padrone!ā esclama Flik. āEffettivamente tu lo devi conoscere: era un tuo ottimo cliente, aveva lāabbonamentoā¦ā La locomotiva mandoĢ fuori un sospirone di fumo nero. āLo conosco siĢ, ma non per lāabbonamento. Purtroppo lāho dovuto portare io, lassuĢ, assieme agli altri. Quando mi ricordo, mi monta il vapore alla testa del cilindro! Non mi ci far pensare!ā La locomotiva sāera commossa e sospirava con tutti i suoi stantuffi, e allora Albertino la pregoĢ ancora e quella cedette. āSalite, vi porteroĢ fin dove mi saraĢ possibile. Non si sa mai quel che possono combinarti lungo la linea quei monellacci della montagna! In carrozza, signori! Si parteā¦ā
E cammina, cammina, cammina, a un tratto il treno si arrestoĢ bruscamente. āFine del viaggioā, disse la locomotiva. āIl ponte eĢ saltato in aria. Ah, monellacci: sempre voglia di scherzare! Beata gioventuĢā¦ā Il treno fece macchina indietro e Albertino, la nonnina e Flik e la Lucciola si trovarono soli in piena campagna. Dove si va? A destra o a sinistra? E come si fa poi a capire quale eĢ ladestra e quale la sinistra quando cāeĢ buio? Finalmente videro avanzarsi un lumicino rosso ed era il fornelletto dāuna grossa pipa, e dietro la pipa procedeva un tipo strano con baffoni, giacca nera, calzoni a righe e tubino. āSignore, per cortesia, insegnaci la strada per arrivare dal papaĢā, imploroĢ Albertino. Ma il tipo rispose che lui non sapeva niente, e che non aveva visto niente, e che non si occupava di politica ma badava ai fatti suoi, e che era ancora in giro soltanto percheĢ sāera attardato al caffeĢ con gli amici. Poi, quando si fu convinto che quella era brava gente inoffensiva, si tolse i baffi che erano finti, e si vide che si trattava di una gallina. āSono una gallina padovana residente allāesteroā, disse. āE, cosiĢ travestita, rimpatrio clandestinamente per fare lāuovo. Voglio che il mio uovo sia italiano!ā āStupendo!ā esclamoĢ la nonnina che era romantica. āStupendo! Sembra una gallina del Risorgimento!ā¦ā Poi, siccome sāera commossa anche lei, la Gallina disse: āCamminate lungo questa strada, contate 1490 passi, poi voltate a destra, andate sempre diritto e troverete quello che fa per voi. ā Uno, due, tre, quattro, cinque, seiā¦ millequattrocentonovanta passi. Poi voltata a destra, quindi eccoli in un bosco. E cammina, cammina, cammina, dāun tratto sboccarono in una bella radura illuminata da grosse stelle pendenti dai rami degli alberi, come frutti di fuoco. Era un campo di aviazione: peroĢ non uno dei soliti campi coi soliti aeroplani, ma un campo dāatterraggio per Angeli. Angeli dāogni tipo, Angeli monomotori, bimotori, trimotori, quadrimotori prendevano terra o decollavano. Gran lavoro, durante la guerra, per lāaviazione del buon Dio. Angeli da ricognizione incrociano sui luoghi delle battaglie e segnalano eventuali concentramenti dāanime. Angeli da trasporto accorrono e caricano le anime e le portano in cielo. Angeli da caccia difendono le formazioni dagli attacchi di neri diavoli alati. Mentre gli Angeli bombardieri rovesciano sulle case, sopra gli ospedali, sopra i campi di prigionia, grossi carichi di sogni, distruggendo cosiĢ le opere nefaste della disperazione. āVi porteroĢ al campo di concentramentoā, disse un Angelo che era appunto addetto ai sogni. āSalite.ā Era un bellāAngelo con tre paia dāali, un trimotore, e Albertino e la nonna e Flik e la Lucciola si trovarono ben presto altissimi nel cielo.
E nel cielo nero ogni tanto si spalancava una finestrella e sāaffacciava una stellina che salutava sventolando il fazzoletto. A un tratto si aprirono anche le imposte dāun grande balcone e la Luna venne fuori a curiosare e tutto il cielo sāilluminoĢ. āRitirati, pettegolona!ā esclamoĢ lāAngelo. Ma non fece in tempo a finire che si sentiĢ uno schianto e lāAngelo si inabissoĢ con unāala in fiamme. La Flak lāaveva scoperto e colpito. La nonnina, Albertino, Flik e la Lucciola precipitarono nel baratro buio.āAiuto!ā gridoĢ Albertino. E il Vento lo udiĢ e accorse, e prese a bordo i naufraghi dellāaria e li portoĢ dolcemente giuĢ, giuĢ, deponendoli alla fine sulla neve soffice. Poi se ne andoĢ borbottando: āBenedetti sogni! Se non vi si stesse attenti, chi sa come andreste a finire!ā Dovāerano andati a cadere i nostri naufraghi? In un bosco. Un immenso bosco con grandi alberi carichi di neve. E neve copriva la terra, soffice e bianca come panna montata. Un bosco buio, pieno di freddo mistero. āE adesso, nonnina?ā domandoĢ Albertino. āCome si fa?ā āNon temereā, lo rassicuroĢ la nonnina. āDomandando si arriva dappertutto. Guarda, arriva proprio qualcuno: buona sera, signora!ā¦ā āChi eĢ, nonnina?ā āEā la Formicaā, spiegoĢ la nonna. āEā la buona Formica che lavora tutta lāestate per mettere da parte roba. E cosiĢ, quando viene lāinverno, la brava formichina eĢ tranquilla, mentre la Cicala, che ha trascorso tutta lāestate cantando, deve andare da lei a implorare un poā dāaiuto. E la Formica le risponde: āSe hai cantato, adesso balla!ā Bisogna sempre lavorare e risparmiare, bambino mio. Il risparmioā¦ā āA morte il risparmio!ā urloĢ la Formica. āPeste e dannazione a chi ha inventato la Giornata del Risparmio, i salvadanai e la previdenza! Ho lavorato trentāanni come una negra economizzando il centesimo, mi sono fatta a costo di spaventosi sacrifici un gruzzoletto per la vecchiaia, ed ecco il magnifico risultato: le mie cinquantamila lire valgono oggi come settantacinque lire di prima della guerra!ā¦ E debbo andare io a elemosinare dalla Cicala la quale, adesso, fa soldi a palate percheĢ avendo trascorso i suoi giorni guardando il panorama ā ora tutti vengono da lei a farsi descrivere le albe rugiadose e i tramonti di fuoco e i placidi meriggi e le profumate notti del felice tempo che fu. Adesso chi ha in magazzino articoli di nostalgia fa quattrinoni!ā¦ Abbasso il risparmio!ā¦ Abbasso i capitalisti!ā¦ La proprietaĢ degli altri eĢ un furto!ā¦ā
E si allontanoĢ cantando inni sovversivi. āOrrenda guerra che distrugge tante belle favole!ā sospiroĢ la nonna. āNon vi rattristate, signoraā, esclamoĢ un gufo, affacciandosi al balconcino che si apriva sul tronco di un pino. āFavole vecchie muoiono, favole nuove nascono. CāeĢ sempre la contropartita.ā āDove siamo, signor Gufo?ā domandoĢ Albertino.
E il Gufo inforcoĢ gli occhiali e spiegoĢ. āEsistono sulla Terra il Paese della Pace e il Paese della Guerra. Il Paese della Pace eĢ tutto sole e azzurro, e i campi sono pieni di bionde messi, e fiori sbocciano dovunque, in riva ai fiumi, nei boschi e perfino sulle nevose cime delle montagne. E i suoi abitanti lavorano la terra e tutti ā dietro la casetta ā hanno un orticello nel quale coltivano amorosamente i grossi cavoli sotto i quali, in tutte le stagioni, nascono bambini bellissimi. Il Paese della Guerra eĢ tutto il contrario: percheĢ non cāeĢ mai il sole e il cielo eĢ color del catrame, e nei campi non fiori o messi spuntano, ma baionette; e sugli alberi maturano bombe. E gli uomini si vestono di ferro, e i bambini non nascono sotto i cavoli, ma li fabbricano a macchina e percioĢ hanno tutti il cuore di ferro e la testa di ghisa. Eproprio sul confine tra il Paese della Pace e quello della Guerra si incrociano la strada che va dai Paesi del sole ai Paesi senza sole, e la strada che va dalle terre dove nasce la luce alle terre dove la luce diventa ombra.ā āSignor Gufoā, disse Flik, āperdona me, povero cane di campagna, ma mi sembri piuttosto ermetico.ā āEā sempliceā, rispose il Gufo. āQui si incrociano la strada che dal Sud va al Nord, e la strada che dallāEst va allāOvest. E in questo bosco si incontrano percioĢ creature dellāun Paese e dellāaltro: si incontrano gli abitanti del mondo della Pace e del mondo della Guerra. Quindi non vi stupite. Buona notte.ā āSignor Gufo! Ancora una parola, vi pregoā¦ā Ma il Gufo era sparito dentro la sua casetta e Albertino e la nonna e Flik e la Lucciola si trovarono ancora soli nel bosco. Presero a camminare tra i cespugli e cammina, cammina, sāimbatterono in tre Funghi Buoni rannicchiati ai piedi di una ceppaia. Erano tre buoni funghi: tanto buoni che erano perfino mangerecci, ma non sapevano niente di niente. Spiacentissimi, ma essi facevano una vita cosiĢ ritirata e si occupavano tanto poco di politicaā¦ PiuĢ avanti si imbatterono in tre rossi Funghi Velenosi con le teste aguzze aguzze come capocchie di chiodi, e domandarono anche a loro, ma quelli scrollarono sgarbatamente il gambo borbottando: āWeg! Weg! Via, via!ā
E avanti, avanti, incontrarono anche un vecchio tutto bianco che andava in giro con unāaccetta in spalla e una valigetta in mano. Si fermava presso gli alberelli e con una lente guardava ramo per ramo. Poi, quando scopriva un ramo cariato, lo tagliava adagio adagio con lāaccetta. Ma prima, con una grossa siringa, faceva alla pianta lāanestesia locale percheĢ non sentisse dolore, e, dopo, disinfettava e bendava il ramo troncato. Appressava lo stetoscopio al tronco delle vecchie piante, e auscultava attento. E massaggiava con olio canforato i grossi nodi, e ungeva con pomate contro i geloni le radici non coperte dalla terra. Era il Guardia boschi Buono, il quale innaffiava col Proton i quercioli deperiti, e metteva guanti di lana alle cime dei rami di pino che avevano perso il rivestimento di verdi aghi. Ma anche lui non sapeva niente di niente: per quanto riguardava la guerra, poi, si ricordava benissimo di Garibaldi, ma non sapeva se fosse guarito o no dalla sua ferita dāAspromonte.
E via, via, e ancora via fra i tronchi neri, con la Lucciola in testa alla piccola schiera. A un tratto si fermano spaventati. GiuĢ tutti dietro il cespuglio! Un omaccio dalla barba rossa si avanzava sbraitando e brandendo un grosso fucile. āA posto!ā gridava prendendo a calci e a schiaffi gli alberi. āA posto!ā
E tutti gli alberi si mettevano in riga per cinque tremando per la paura, e quello li contava e li ricontava e guai se ne mancava uno! Poi, se una stellina si affacciava alla sua finestrina nel cielo nero, āOscuramento!ā gridava, e le sparava addosso una schioppettata. E se una lucciola accendeva il suo lumino, lāafferrava con un balzo e le svitava la lampadina. E metteva gli occhiali neri ai gatti percheĢ i loro occhi fosforescenti non brillassero nel buio regolamentare.Mamma mia che paura! Non era certo il caso di rivolgere domande al Guardiaboschi Cattivo. Meglio starsene ben nascosti. Quando si fu allontanato, la Lucciola riaccese la sua lampadina e i quattro si rimisero in cammino.
E via, via, e via, finalmente si trovarono davanti a una piccola radura in mezzo alla quale due sentieri si intersecavano. āChe sia il crocicchio famoso?ā disse la nonnina. āFermiamoci qui: qualcuno dovraĢ pure passare.ā E, difatti, poco dopo apparvero zampettando sul sentiero che veniva dal Sud tre Passerotti, ognuno dei quali portava sulla spalla un fagottello legato in cima a un bastone. E cantavano allegramente: La famiglia vagabonda guarda qua: la mammina, il pargoletto ed il papaĢ che vanno in cerca di mangiar, ma neve sol si trova ohimeĢ! ComāeĢ triste sulla neve andare a pie quando calza neĢ stivale piuĢ non cāeĢ! Ma non importa: la va a pochi, il tempo bello presto verraĢ! E, contemporaneamente, ecco arrivare, dalla parte opposta, tre Cornacchie col kepi e il cinturone con la daga, che camminavano impettite come baccalaĢ. Tre Cornacchie nere, con una lampadina appesa sul petto. Tre Cornacchie di ronda, le quali borbottavano: Chi, alle dieci, ancora in giro se ne va? Lāora ormai del coprifuoco eĢ giaĢ suonata! Noi siam la ronda che va a caccia di nottambuli e beon: chi non ha le carte a posto va in prigion. Non eĢ posto, questo qui, per fannullon: chi non fa niente, sullāistante al lavor mandato saraĢ! āAltolaĢ: documenta!ā ordinarono con malgarbo le tre Cornacchie ai Passerotti: e vollero sapere dove andassero e cosa facessero. E i Passerotti spiegarono che andavano alla ventura e vivevano alla giornata nellāattesa che tornasse il bel tempo. āPessima vita!ā borbottarono le Cornacchie. āPercheĢ non venite con noi, invece? Vi daremo prima di tutto miglio e orzo a volontaĢ per rimettervi in carneā¦ā āE poi?ā chiesero i Passerotti. āE poi vi infilzeremo in uno spiedo nuovissimo, sterilizzato, dāacciaio inossidabile, e vi cuoceremo con fuoco di legna di primissima scelta. Sentirete che bel calduccio!ā āPreferiamo rimanere al freddoā, risposero i tre Passerotti. Ma le Cornacchie insistettero. āNon vi piace forse lāarrosto? Possiamo accontentarvi col bollito! Vi cuoceremo in una splendida pentola in duralluminio cromatoā¦ No? Vi daĢ forse noia il fumo? Noi abbiamo ogni riguardo per i nostri amici! Se vi daĢ noia il fumo vi cuoceremo su un potente fornello elettrico di 200 watt. Anzi, facciamo 300: non badiamo a spese, noi!ā¦ā Ma i Passerotti dissero ancora di no. āMagri ma crudi!ā esclamarono. Allora le Cornacchie se ne andarono indignate borbottando con disprezzo: āFannulloni!ā E quando si furono allontanate, Albertino domandoĢ ai Passerotti se conoscevano la strada per andare dal babbo.āEā una di queste quattroā, risposero i Passerotti. āMa chi lo sa qual eĢ? Noi siamo poveri passerotti di paese e non sappiamo niente di punti cardinali. Ci regoliamo col sole, ma, adesso, il sole non cāeĢ. PeroĢ se aspettate, passeraĢ certo qualcuno. Buona notte.ā
E rieccoli soli. E la notte era buia e fredda e il bosco pieno di mistero. Si sedettero sulla neve ai piedi dāun grosso tronco, stretti lāuno allāaltro per stare piuĢ caldi. E il tempo passava, e nessuno appariva sul sentiero, e si udiva soltanto la gelida voce del bosco. Ma, improvvisamente, Flik si levoĢ dāun balzo drizzando le orecchie. āCosa cāeĢ, Flik? Cosa cāeĢ?ā Apparve un uomo che camminava curvo con una sacca sulle spalle e, quando fu vicino, la Lucciola gli illuminoĢ il viso. Flik non aveva sbagliato: era lui. Era il babbo. Era il babbo che, nella notte di Natale, era fuggito dal suo triste recinto e ora camminava in fretta verso la sua casa. Voleva ritornare, almeno quella notte, e girare tutte le stanze e affacciarsi ai sogni di tutti i dormienti.
E il bambino, e la nonna, e il papaĢ si incontravano a metaĢ strada nel bosco dove, la notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due mondi nemici. āTu qui?ā chiese la nonnina con apprensione. āCosa ti succederaĢ? Lo sai: adesso la fuga dalla prigionia non eĢ piuĢ uno sport!ā āMa la fuga in sogno eĢ sempre uno sport, mamma! Eā lāunico sport che ci rimane. Sognare. I sogni non hanno piastrino; non cāeĢ lāappello notturno dei sogni; non esistono āzone della morteā per i sogni. Nella stufa il fuoco eĢ spento e nelle stanze squallide si respira aria gelida come ghiaccio liquefatto, ma i sogni non hanno freddo percheĢ gli basta, per scaldarsi, il tenue focherello dāuna stella, o un sottile raggio di luna. Sognare. Quante notti ho percorso la strada che porta alla nostra casetta? Lo so, anche tu, mamma, tante volte hai percorso la strada che porta al mio lager. Ma non ci siamo mai incontrati percheĢ solo nella santa notte di Natale eĢ concesso ai sogni di incontrarsi. Eā un miracolo che si rinnova da secoli: nella santa notte di Natale si incontrano e hanno corpo i sogni dei vivi e gli spiriti dei mortiā¦ā Albertino si appressa. āCosa cāeĢ in quel sacco che porti sulle spalle?ā āCāeĢ tutta la mia ricchezza, figlio mio: gli zoccoli di legno, la gavetta, il cucchiaio, i barattoli, le vostre lettere. I prigionieri non abbandonano mai, neppure nei sogni, il loro sacco, percheĢ in esso eĢ racchiusa la storia della loro miseria. CāeĢ anche il mio fornellino. Vedrai comāeĢ bello: adesso lo accenderemo.ā āNon farlo!ā lo supplica la madre. āLo sai che non si possono accendere fuochi allāaperto dopo il secondo appello!āāMa tu, mamma, comāeĢ che sai tutte queste cose? Chi te lāha detto? CāeĢ scritto forse sui giornali?ā āNo, queste cose non le stampano nei nostri giornali. Quando la notte vengo a trovarti, giro per le baracche e leggo tutti i cartelli. E guardo tutto: sapessi che pena vedere le tue magliette piene di buchi!ā¦ Una volta ho portato con me lāago e il filo e ho provato a rammendarti il farsetto: ma le mani, nei sogni, sono fatte dāaria.ā Il babbo depose la sacca per terra e trasse il fornellino. āComāeĢ bello!ā esclamoĢ Albertino. āSembra la macchina del trenoā¦ CāeĢ anche il fischio, papaĢ?ā āCi vorrebbe una scopa per togliere la neve per terraā, osservoĢ il babbo. E non aveva ancora finito di parlare che una strana creatura voloĢ giuĢ dal cielo. āUh! La Befana!ā esclamoĢ Albertino. Era effettivamente la vecchia Befana: peroĢ non stava, come al solito, a cavalcioni della scopa, ma dāuna macchina luccicante. āMi sono motorizzataā, spiegoĢ la Befana. āE cosiĢ ho abbandonata la scopa e viaggio in aspirapolvere. Ma qui ci dovrebbe essere una presa di correnteā¦ā CercoĢ nel tronco dāun grosso pino e trovoĢ lāattacco e innestoĢ la spina. Ecco fatto: in due minuti un grande cerchio di neve eĢ spazzato via e il muschio, sotto, eĢ asciutto e soffice come un velluto. āBuona notteā, salutoĢ la Befana decollando.
Si seggono attorno al fornellino ma, adesso, ci vorrebbe un poā di legna e Albertino, scortato da Flik, va in cerca di qualche ramoscello. Un altissimo abete ha tutta la cima secca e Albertino gli domanda: āSignor albero, mi dai un pochettino di legna?ā āSe vuoi la legna vientela a prendereā, risponde lāalbero sgarbato. LiĢ vicino cāeĢ un alberello secco completamente che non serve piuĢ a niente e Albertino afferra un ramo e cerca di strapparlo. āSabotage!ā urla lāalbero. āSabotage!ā Mamma mia che paura! Ma una vecchia quercia allunga ad Albertino uno dei suoi rami: āTieni, piccino: prendi tutta la legna che vuoi.ā Il fornellino eĢ acceso, e la sua fiamma si alza sicura verso il cielo percheĢ eĢ un fornellino con doppia parete, a gassogeno e aria preriscaldata. Gli alberi si scrollano la neve dal mantello e si avvicinano per venire a scaldarsi i rami intirizziti, e fanno circolo tuttāattorno al focherello. E cosiĢ, stretti lāuno allāaltro, formano una specie di muro che non lascia passare lāaria gelida, e coi rami protesi sulla fiamma formano uno spesso soffitto a festoni. āSi potrebbe cucinare qualcosa, fare un pranzettino di Nataleā¦ Sarebbe bello, cosiĢ tutti insiemeā¦ā, dice il papaĢ. Ma non cāeĢ niente e Albertino si mette in giro con Flik per trovare qualche nocciolina o qualche bacca dolce dimenticata sulle siepi dallāautunno. Ma cosa succede? CosāeĢ questo segnale di tromba?
E il piuĢ alto dei Funghi Velenosi che eĢ di vedetta e che daĢ lāallarme. āEā il momento giusto!ā grida con voce concitata. āSe noi riusciremo a farci cogliere e a farci mangiare, noi moriremo, ma essi ne avranno atroci dolori viscerali! Quale stupenda vittoria difensiva!ā
E tuttāe tre allungano il collo cercando con ogni sforzo di farsi notare dal bambino: āQui, quiā, dicono. āDa questa parte si mangia bene!ā
I tre Funghi Buoni peroĢ si avvedono della subdola manovra. āNon bisogna permettere che i Funghi Velenosi riescano nel loro nefando intento!ā gridano i tre Funghi Buoni. E si avventano come un sol uomo contro i Funghi Velenosi. La lotta eĢ lunga e terribile, ma, alla fine, i tre Funghi Velenosi giacciono esanimi coi cappelli incalcati giuĢ fino ai piedi. āE adesso andiamoci a costituire: essi hanno fame!ā dicono generosamente i tre Funghi Buoni. E si avviano verso il bambino e il sacrificio cantando āChi per la patria muor vissuto eĢ assaiā, come i fratelli Bandiera i quali, peroĢ, erano due e non erano ā nonostante tutto mangerecci come i tre funghi. Ma il nobile sacrificio non eĢ piuĢ necessario: il papaĢ si eĢ ricordato che nella sua bisaccia cāeĢ, ancora intatta, la razione di pane. āTu hai avuto il tuo panettone?ā chiede il papaĢ ad Albertino. āNo, papaĢ.ā āLo avrai.ā āSiĢ, papaĢ.ā Il papaĢ grattugia il pane col coltello: lo impasteraĢ con acqua e faraĢ una focaccina. āCome sei bravo!ā esclama la nonnina. āQuante belle cose hai imparato in prigionia!ā¦ā Il gavettone eĢ sul fuoco: un abete allunga gentile un ramo carico di neve e lo scuote dentro il recipiente che, ben presto, comincia a borbottare. Una scintilla esce dal fornellino e va in giro per il bosco come una stellina in balia del vento. UnāApe (che eĢ di vedetta sullāalbero nel cavo del quale eĢ lāalveare) lāavvista. La scintilla fa la spia allāape, e lāApe daĢ lāallarme. Le Api fanno rapidamente il pieno, accendono i motori e decollano. Sono mille, duemila, diecimila, e navigano in perfetta formazione a cuneo, tre per tre, verso la zona del fuoco. Ć una nube ronzante. Quando arrivano sullāobiettivo scendono in picchiata. E, passando sopra il fornellino, ogni Ape lascia cadere nel gavettone una goccia di miele. Mille, duemila, diecimila gocce: il recipiente eĢ quasi colmo. Intanto i tre Passerotti scuotono le cime degli alberi e fanno piovere dentro il gavettone pinoli, bacche dolci, noccioline croccanti. UnāAllodola del tipo stratosferico con un trillo buca il manto nero della notte, si libra fin sopra le nubi, poi su su tra le stelle, fino alla Via Lattea nella quale si immerge ritornando giuĢ carica di candida panna montata. Giunta sul gavettone, si scuote la panna di dosso e la panna cade nella pasta dolce che giaĢ eĢ bollente. Ma il nemico non dorme. Le tre Cornacchie, dallāalto di un pino, hanno seguito ogni manovra e adottano le contromisure. Si lanciano sopra un mucchio di spazzatura e cominciano a mangiare sassi aguzzi, chiodi, pezzettini di vetro, capocchie di fiammiferi. Ingollano anche i resti dei tre funghi velenosi, e mangia che ti mangia, si gonfiano come botti e riescono appena a levarsi in volo. Hanno il loro piano: arriveranno fin sul gavettone e faranno come le Api, scaricando nella pasta il loro micidiale carico. Fortunatamente lāaviazione alleata sta sul chi vive: trecento Api da caccia partono su allarme per intercettare la formazione nemica. Eccole che si avventano sulle Cornacchie e le crivellano di punzecchiate. Le Cornacchie precipitano in vite. āBang!ā Scoppiate come vesciche di surrogato di grasso. Il gavettone borbotta dolcemente e il papaĢ, Albertino, la nonnina e Flik si scaldano le mani al fuoco. E nessuno parla: la felicitaĢ non ha bisogno di parole.
A un tratto il Vento porta le note di una musica lontana, carica di accorati accenti. āCosāeĢ, babbo?ā āĆ la canzone della malinconia. Alla finestra, una sera dāinverno: due occhi guardano attraverso i cristalli la strada che rimane deserta, e il cristallo gocciola e sembra stemperare le lacrime di quella vana attesa. Sul muro bianco, nella stanza, lāombra scarna della sedia vuota davanti al fuoco. Ć la canzone che dice la pena di tutti coloro che attendono nelle tristi case. Ć la canzone che ā allo spirare dāuna stanca giornata dāattesa ā affida le sue note al Vento della notte e cosiĢ giunge a tutti i lontani campi di prigionia, e narra a tutti gli uomini la sua malinconia disperata.ā La canzone si allontana nella notte e, di liĢ a poco, un altro canto che viene da opposte contrade si appressa. Un canto anchāesso malinconico, ma dāuna malinconia dolce e sommessa. Altra gente che attende e attende. Gente che da mesi e mesi e mesi guarda il cielo grigio che incombe su quelle straniere lande, e aspetta invano che il sole squarci la coltre cupa di nubi e ritorni a splendere. Ma che ha tuttavia una luce segreta la quale illumina quei giorni senza sole e quelle notti senza stelle. La luce tenuta viva dallāamore di chi attende nelle case lontane. La luce della fede. E la canzone parte da tutti i campi di prigionia, e naviga nella notte, e giunge alle dolci contrade recando parole di dolce speranza a chi dalla speranza si sente oramai abbandonato. Anche la seconda canzone sāallontana e tutto ridiventa silenzioso. āGuarda, babbo!ā grida lietamente Albertino. Il miracolo eĢ compiuto: la pasta dolce si eĢ gonfiata sino a diventare un grosso panettone profumato e soffice come bambagia. Il babbo toglie dalla sacca la gamella, il coperchio della gavetta, un coperchio di scatola, uno straccetto bianco (lāinvolucro dellāultimo lontanissimo pacco da casa), e la nonna apparecchia sul muschio verde e taglia il panettone. āA chi questa dolce illusione di antica felicitaĢ?ā chiede la nonnina. āA noi tutti che abbiamo tanto soffertoā, risponde il babbo. E vorrebbe che le fette fossero quattro (una anche per la mamma, da portarle a casa), ma Albertino dice che eĢ inutile. āGliela racconteroĢ io, alla mamma, la sua parte di panettoneā, afferma Albertino. Le fette sono tagliate e Flik ha le sue briciole e il papaĢ, mentre porge la sua gamella, scopre che, sotto, cāeĢ una lettera. Posta per il numero 6865! Finalmente! Da quattro mesi il numero 6865 non riceveva posta ed eccolo generosamente ricompensato della lunga, penosa attesa. PercheĢ si tratta di una lettera dāimportanza eccezionale: una lettera piena di ricami, dāangioletti dāoro, di stelle dāargento e di nere zampette di gallina: āCaro papaĢ, eĢ Natale e io penso a teā¦ā Ć una lettera importantissima percheĢ lāhanno scritta un poā tutti: la nonna dettava; la mamma guidava la mano dāAlbertino il quale scriveva; il nonno rileggeva parola per parola, ad alta voce; Flik acciuffava al volo e riportava ad Albertino le virgole che, come farfalline, volavano via dalla penna dāAlbertino. E la Carlottina, seduta sul suo seggiolone, lanciava in aria dei piccoli punti esclamativi dāargento che ricadevano sul foglio e si appiccicavano qua e laĢ tra le parole per farle ancora piuĢ belle. āCaro papaĢ, eĢ Natale e io penso a teā¦ā Posta per il numero 6865: la prima lettera di Natale dāAlbertino. Il pranzo di Natale comincia, e il panettone sa di cielo e di bosco. E tal meraviglia ancora non basta percheĢ questa eĢ notte di miracoli. Un grande abete si eĢ popolato di fiammelle. Sono gli occhi di mille e mille uccellini che splendono nel buio riflettendo il bagliore del focherello. Anche lāalbero di Natale! Ed eĢ il piuĢ bello del mondo percheĢ la stella che brilla sulla sua cima non eĢ una delle solite di cartapesta argentata, ma eĢ una stella vera, una stella viva che eĢ scivolata giuĢ dal cielo e si eĢ impigliata tra i rami col suo strascico scintillante. Intanto il tempo trascorre. Sul sentiero deserto che viene da Oriente, qualcuno sāavanza. Ć un somarello, e sul somarello eĢ una donna bellissima dagli occhi dolci e splendenti. E davanti allāasinello cammina un buon vecchio dalla barba bianca. Lāasinello eĢ stanco: eĢ tanto tempo che cammina senza fermarsi mai. Cammina, cammina, somarello: bisogna ritrovare la solitaria capanna percheĢ il miracolo possa rinnovarsi. PercheĢ il Figlio di Dio possa, ancora una volta, schiudere gli occhi alla luce degli uomini.
E lāasinello cammina e nel cielo lo scortano due Angeli che reggono un grande nastro bianco su cui eĢ scritto a lettere dāoro: Pace agli uomini di buona volontaĢ. Ed eĢ, questo, lo stendardo del Dio della Pace. Ma, sul sentiero opposto che viene da Occidente, dai Paesi dove la luce diventa ombra, avanza sferragliando una grossa macchina scortata da una quintuplice schiera di guerrieri, i quali procedono cantando fieramente un loro inno: Col paltoĢ corazzai col gileĢ dāotton cromato coi calzon di lamier, col cappello di ferro smaltato, comāeĢ bello far sempre il soldato Su la gamba batti il tac batti il tac fort sulla terra con lo schiopp su la spali, comāeĢ bello far sempre la guerra per la pace universale! La macchina sferragliante eĢ un carro armato, e lo guida un uomo con lāelmo in testa, e dietro di lui sta seduta, tronfia e pettoruta, una grossa donna dai capelli biondi come stoppa e con gli occhiali a stringinaso davanti agli occhi piccoli e cattivi. Scortano il corteggio due feroci aquile che reggono fra gli artigli un drappo nero con una scritta a caratteri di sangue: Guerra agli uomini di buona volontaĢ. Ed eĢ, questa, la bandiera del Dio della Guerra, del Dio che nasceraĢ stanotte (secondo gli ordini ricevuti dal suo governo) in un castello dāacciaio col cannone sul tetto, il quale spara contro tutte le stelle filanti e gli Angeli che passano nel cielo. Al crocicchio la macchina e lāasinello si incontrano: lāasinello prende la strada che porta ai Paesi del sole, la macchina quella che porta ai Paesi delle gelide ombre. āLa pace sia con voiā, saluta il buon vecchio dellāasinello. āLa guerra sia con voiā, risponde lāuomo del carro armato. Notte santa, notte di miracoli. Si fa tardi ed ecco, sul sentiero ridiventato deserto, apparire una strana cavalcata. Sono tre vecchi Re seduti sulla gobba dei loro cammelli, e vengono dallāOriente. E li guida una stella che naviga lenta, facendo fluttuare la sua scintillante coda dāargento nel cielo di velluto nero. Notte santa, notte dāincontri: nel sentiero che viene da Occidente, si avanza un curioso terzetto. Sono tre Nanerottoli vestiti di rosso, con la barba bianca lunga fino ai piedi, e il naso a patata. Tre Nanerottoli scappati fuori dal cartellone pubblicitario di qualche fabbrica di posate, tanto eĢ vero che il primo porta sulla spalla, come un fucile, un coltello; il secondo una forchetta e il terzo un cucchiaio. Li guida sibilando nel cielo non una stella, ma una meteora alla dinamite con la coda di fuoco. Camminano impettiti, al passo, levando le zampette come fanno le oche. Al crocicchio anche i vecchi Re e i Nanetti si incontrano. āDio sia con voiā, salutano i Magi.āCāeĢ giaĢā, rispondono altezzosi i Nanetti. āIo porto al Figlio di Maria oro percheĢ Egli eĢ il buon Re degli uomini di buona volontaĢā, dice il primo dei Magi. āIo gli porto incenso percheĢ Egli eĢ Dio della bontaĢ e sacerdote del Dio della bontaĢā, dice il secondo. āIo gli porto mirra percheĢ Egli eĢ Dio ma, nella sua divina bontaĢ, vuol soffrire e morire come un uomoā, dice il terzo.
I Nanerottoli rispondono sghignazzando: āIo porto al nostro Dio il coltello percheĢ possa tagliare a fette il mondo!ā āIo gli porto la forchetta percheĢ possa papparselo allegramente!ā āIo gli porto il cucchiaio percheĢ possa raccogliere e mangiarsi anche le briciole!ā āSia lode al Dio degli uomini buoniā, salutano i Magi prendendo la via del Sud. āSia lode al Dio dei guerrieriā, rispondono i Nanetti prendendo la via del Nord. Disparvero e il bosco ridiventoĢ deserto. E il papaĢ e il bambino e la nonnina, stretti lāuno allāaltro davanti al fornellino, tacevano, e niente si muoveva ā neanche una fogliolina ā percheĢ le cose e gli uomini attendevano trepidanti. Mezzanotteā¦ āĆ nato!ā gridoĢ unāallodola di vedetta su una nuvola. āNotizia confermata!ā disse il Vento. āCāeĢ anche il commento! Udite!ā
E portoĢ un dolcissimo canto che veniva da lontane contrade. La solitaria capanna eĢ tutta risplendente ora, e sulla paglia vagisce il Bambinello, e lo scaldano, col loro fiato, il bue e lāasinello. Anche nel castello dāacciaio annidato nellāombra del Nord, un bambino eĢ nato e piange, nella sua culla corazzata. Ma lo scaldano col loro fiato micidiale un lanciafiamme e lo scappamento del carro armato. Ma la sua voce eĢ aspra e le sue mani hanno giaĢ piccoli artigli percheĢ eĢ il Dio della Guerra e nessuno viene a portargli doni. Mentre invece, alla capanna del Dio della Pace, giungono pastori e pastorelle recando agnelli e anfore colme di latte. Latte scremato: percheĢ le pecorelle sono state tosate e la panna lāhanno adoperata per fare alle pastorelle un mantello di lanital. E i pastori se ne dolgono, ma san Giuseppe sorride: āNon importa: la colpa non eĢ vostra, la colpa eĢ della guerra.ā E, dopo i pastori, ecco che arrivano marciando anche i guerrieri vestiti di ferro. āSia lode a Dioā, dicono in coro. āDio eĢ con noi.ā San Giuseppe scuote il capo: āCāeĢ un errore. Il vostro Dio non eĢ questo. Mai eĢ stato questo. Il vostro Dio eĢ lāaltro che eĢ nato nel castello dāacciaio.ā āNoā, dicono i guerrieri. āAdesso il nostro Dio eĢ questo.ā āTroppo tardiā, risponde san Giuseppe. āTenetevi il vostro Dio anche per questāannoā¦ā
A uno a uno gli occhietti che fiammeggiavano sullāabete nel bosco solitario si sono spenti. Nel fornellino la fiamma daĢ gli ultimi guizzi. Fa freddo. Gli alberi hanno riallargato il loro cerchio e il Vento soffia gelido. Croci nere sono sparse nel bosco e attorno a ogni croce si aggirano mute ombre. E le croci sono tante, e le ombre sono infinite. āChi sono, papaĢ?ā āSono gli spiriti dei vivi che vengono a cercare i loro morti. Guardano tutte le croci che la guerra ha sparso nel mondo, leggono i nomi incisi sulle croci. E quando una mamma ritrova la tomba del suo figliolo, si siede sotto la croce e parla con lui di tempi felici che non torneranno mai piuĢ.ā Il Vento, intanto, riporta la canzone che eĢ stata fino ai campi di prigionia e ritorna alle case, e la canzone che eĢ stata alle case e ritorna ai campi di prigionia. āBuon Natale, mamma, buon Natale, Albertinoā, dice il babbo. āOra ritornate a casa: la vostra canzone vi riaccompagneraĢ.ā āE tu non vieni, papaĢ?ā āDomani, Albertinoā¦ā āDomani o morgen?ā chiede la nonnina. āMorgen, mamma.ā āPapaĢ, percheĢ non mi prendi con te?ā āNeppure in sogno i bambini debbono entrare laggiuĢ. Promettimi che non verrai mai.ā āTe lo prometto, papaĢ.ā Se ne sono andati assieme alle loro canzoni e il bosco eĢ muto e deserto. Nevica e una nuova soffice coltre si stende sullāaltra indurita dal vento. Il cerchio verde attorno al fuoco eĢ ridiventato bianco. Scompare la traccia dei sentieri. āNotte da prigionieri!ā esclama il Passerotto capofamiglia nascondendo la testa sotto lāala.
E nel muoversi fa cadere una foglia che scende volteggiando lentamente e si posa nel bel mezzo della bianca radura. E si vede che, sulla foglia, cāeĢ scritto la parola FINE. Ed eĢ una foglia stretta stretta: Stretta la foglia ā larga la via dite la vostra ā che ho detto la mia. E se non vāeĢ piaciuta non vogliatemi male, ve ne diroĢ una meglio ā il prossimo Natale, e che saraĢ una favola senza malinconia: āCāera una volta ā la prigioniaā¦ā
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