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La favola di Natale di Giovannino Guareschi

aldo maria valli giovannino guareschi Dec 27, 2022

di Aldo Maria Valli

Questa favola Giovannino Guareschi ā€“ noto in tutto il mondo come lā€™autore delle avventure di Don Camillo e Peppone ā€“ la scrisse nel 1944 nel campo di prigionia nel quale era rinchiuso, e i suoi compagni nel lager furono i primi ad ascoltarla.

di Giovannino Guareschi

Cā€™era una volta un prigionieroā€¦ No: cā€™era una volta un bambinoā€¦ Meglio ancora: cā€™era una volta una Poesiaā€¦ Anzi, facciamo cosiĢ€: cā€™era una volta un bambino che aveva il papaĢ€ prigioniero. ā€œE la Poesia?ā€ direte voi. ā€œCosa cā€™entra?ā€ La Poesia cā€™entra percheĢ il bambino lā€™aveva imparata a memoria per recitarla al suo papaĢ€, la sera di Natale. Ma, come abbiamo spiegato, il papaĢ€ del bambino era prigioniero in un Paese lontano lontano. Un Paese curioso, dove lā€™estate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava. Un Paese straordinario dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la benzina, la gomma. E perfino il miele, percheĢ le api non suggevano corolle di fiori, ma succhiavano pezzi dā€™antracite. Un Paese senza lā€™uguale, dove tutto quello che eĢ€ necessario allā€™esistenza era calcolato con cosiĢ€ mirabile esattezza in milligrammi, calorie, erg e ampeĢ€re, che bastava sbagliare unā€™addizione ā€“ durante il pasto ā€“ per rimanerci morti stecchiti di fame. Stando cosiĢ€ le cose, arrivoĢ€ la sera della vigilia, e la famigliola si trovoĢ€ radunata attorno al desco, ma una sedia rimase vuota. E tutti guardavano pensierosi quel posto vuoto, e tutto era muto e immobile nella stanza percheĢ anche lā€™orologio aveva interrotto il suo ticchettare, e la fiamma era ferma, come gelata nel camino. Allora il bambino ā€“ chi sa percheĢ ā€“ si levoĢ€ ritto sul suo sgabello, davanti alla sedia vuota, e recitoĢ€ ad alta voce la Poesia di Natale: Din-don-dan: la campanella questa notte suoneraĢ€ e una grande, argentea stella su nel del sā€™accenderaĢ€.,. Il bambino recitoĢ€ la sua Poesia davanti alla sedia vuota del papaĢ€ e, comā€™ebbe finito, la finestra si spalancoĢ€ ed entroĢ€ una folata di vento. E la Poesia aperse le ali e voloĢ€ via col Vento. ā€œLa Poesia aperse le ali?ā€ direte voi. ā€œE come faceva ad aprire le ali? La Poesia eĢ€ forse una farfalla?ā€ No, la Poesia eĢ€ un uccellino. Un uccellino fatto di cielo azzurro impastato in un raggio di luna. Un uccellino che nasce (come sboccia un fiore) nel tiepido cuore del poeta, e subito scappa fuori dalla sua rossa gabbietta e va a saltare sul foglio bianco che sta sopra la scrivania. Ma non puoĢ€ ancora volare percheĢ gli mancano le ali: e allora il poeta intinge la penna e gli fabbrica le ali con le piuĢ€ belle parole che gli vengono alla mente. E ogni verso diventa una piuma. E quando tutto eĢ€ finito, lā€™uccellino spicca il volo e porta per il mondo le parole del poeta. E tutti le leggono percheĢ lā€™uccellino si posa ā€“ ad ali spiegate dovunque scorge un foglio bianco, e le parole si vedono benissimo percheĢ lā€™uccellino eĢ€ fatto dā€™aria trasparente, mentre le parole sono scritte con lā€™inchiostro di Cina. La Poesia, dunque, spiccoĢ€ il volo e via col Vento. ā€œDove vuoi che ti porti?ā€ le domandoĢ€ il Vento. ā€œPortami nel Paese dovā€™eĢ€ adesso il papaĢ€ del mio bambinoā€, disse la Poesia. ā€œStai fresca!ā€ rispose il Vento. ā€œPercheĢ prendano anche me e mi mandino al lavoro obbligatorio a far girare le pale dei loro mulini a vento! Niente da fare: scendi!ā€ Ma la Poesia tanto pregoĢ€ che il Vento acconsentiĢ€ a portarla almeno alla frontiera.

E cammina, cammina, cammina nella notte di pece, finalmente arrivarono al confine e il Vento fermoĢ€ il motore, e la Poesia scese e si avvioĢ€ a piedi verso la siepe che divideva i due Paesi. Faceva tanto freddo che la povera poesiola aveva tutte le rime gelate e non riusciva neppure a spiccare il volo. ā€œDove vai?ā€ le chiese un vecchio il quale, con uno stoppino legato in cima a una pertica, cercava invano dā€™accendere qualche stellina nel cielo nero. ā€œDove vai?ā€ ā€œAl campo di concentramentoā€, rispose la Poesia senza fermarsi. ā€œOhimeĢ€ā€, sospiroĢ€ il vecchio. ā€œInternano anche la Poesia, adesso? Cosa ci resteraĢ€ piuĢ€?ā€ La Poesia continuoĢ€ zampettando il suo cammino e finalmente arrivoĢ€ al confine ma, appena attraversata la siepe, una rete le piomboĢ€ addosso ed eccola prigioniera. ā€œAh! Ah!ā€ sghignazzoĢ€ un omaccio vestito di ferro avvicinandosi con una lanterna. ā€œDove vai? Chi sei? Cosa porti scritto sulle ali? Spionaggio?ā€ E la Poesia a spiegargli chi fosse e dove andava, e quello a insistere sospettoso. Alla fine parve convinto e, inforcati gli occhiali, comincioĢ€ a leggere i versi scritti sulle ali. Din-don-dan: la campanella questa notte suoneraĢ€ā€¦ ā€œNo!ā€ disse. ā€œProibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!ā€ E, con un pennello intinto nellā€™inchiostro di Cina, cancelloĢ€ molte parole. Poi, di liĢ€ a poco, scosse ancora il capo. Una grande, argentea stella su nel ciel sā€™accenderaĢ€ā€¦ ā€œNiente! Contravvenzione allā€™oscuramento!ā€ disse. E giuĢ€ pennellate nere. Latte e miele i pastorelli al Bambino porterannoā€¦ ā€œNiente! Contravvenzione al razionamento!ā€ borbottoĢ€. E giuĢ€ ancora col pennello.

I Re Magi immantinente sul cammello salirannoā€¦ ā€œNiente!ā€ urloĢ€ furibondo. ā€œBasta coi re! Guai a chi parla ancora di re!ā€

E giuĢ€ pennellate grosse cosiĢ€. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbroĢ€ le ali e disse che poteva entrare. La Poesia si mise a piangere. ā€œE come faccio a entrare cosiĢ€? Con tutte queste cancellature io non sono piuĢ€ una poesiaā€¦ā€ ā€œO cosiĢ€, o niente!ā€ disse lā€™omaccione mostrandole un foglio. ā€œGuarda qui: il regolamento parla chiaro.ā€

E il regolamento diceva infatti tra lā€™altro che, in quel Paese dove tutto eĢ€ prosa, era proibito lā€™ingresso alla Poesia. La nostra poverella ritornoĢ€ malinconicamente indietro e adesso, anche se avesse voluto volare, non lā€™avrebbe potuto piuĢ€ percheĢ le pennellate nere le avevano tarpate le ali. ā€œNon ti rattristare, piccolinaā€, le disse un vecchio dalla lunghissima barba bianca che stava seduto su un sasso, vicino alla siepe di confine.ā€Non ti rattristare se non tā€™hanno lasciata entrare. Figurati che non lasciano entrare neanche me che ho ingresso libero nei Paesi piuĢ€ importanti del mondo! E sono anni che aspetto qui fuori.ā€ ā€œE chi sei tu?ā€ domandoĢ€ la Poesia. ā€œSono il Buonsensoā€, rispose il vecchio. PassoĢ€ il Vento e la Poesia lo scongiuroĢ€ ad ali giunte: ā€œVento, Vento, portami via con te! Riconducimi a casa: le mie ali sono tarpateā€¦ Ti pagheroĢ€ doppia corsa!ā€ ā€œNon possoā€, rispose il Vento. ā€œHo troppo da fare, adesso. Debbo portare dolci ricordi e nostalgie in tutte le case del mondo. Questa eĢ€ lā€™ora dei ricordi e il servizio eĢ€ duro.ā€ La Poesia riprese il suo cammino nella notte fredda, ed ecco qualcuno apparire sulla strada deserta. Uno strano personaggio il quale borbottava pieno di malumore: Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Questā€™arietta maledetta soffia dentro i polmoni Oh, che bel Natale! Oh, che bel Natale! Con la guerra sulla Terra disperazioniā€¦ Chi era il vecchio brontolone? Era proprio Babbo Natale, tutto vestito di rosso e con una gran barba candida, con la gerla sulle spalle e la lanterna in mano. ā€œEhilaĢ€!ā€ esclamoĢ€ Babbo Natale, fermandosi a guardare curiosamente la Poesia. E, inforcati gli occhiali, si chinoĢ€ a leggere le poche parole rimaste sulle ali del nostro povero uccellino: La campanella e una grande argentea stella sul cammello saliranno e al Bambino porteranno ā€¦ ā€œGuarda, guarda!ā€ esclamoĢ€. ā€œUna poesia ermetica!ā€ La Poesia spiegoĢ€ che lei non era una poesia ermetica, ma il poco rimasto di una onesta poesiola di Natale, e Babbo Natale allora si commosse e disse: ā€œTi riporteroĢ€ a casa io. Salta pure dentro la gerla: tanto eĢ€ vuota!ā€ ā€œVuota la gerla di Babbo Natale?ā€ si stupiĢ€ la Poesia. ā€œVuota, siĢ€ā€, sospiroĢ€ il vecchio. Chi piuĢ€ pensa ai giocattoli in questa triste Terra? Tutti adesso lavorano soltanto per la guerra! Non piuĢ€ trenini elettrici per i bambini buoni: il ferro, ora, si adopera solo per far cannoni! Cercar cavalli a dondolo? Sono pretese strane: adesso, il legno, lā€™usano per fabbricare il pane!Tu vorresti una bambola? Niente, bambina mia: la cartapesta e i trucioli servon per lā€™autarchia! Cercar dolciumi eĢ€ stupido: le chicche son proibite. Adesso, con lo zucchero, ci fan la dinamite! la ricerca eĢ€ inutile: dal Motta andar, non vale: ā€œPanettone?ā€ rispondono. ā€œNeppur questo Nataleā€¦ā€ E tuttā€™al piuĢ€ ti spiegano, in tono riservato, che di servirti sperano la Colomba Pasquale col rametto simbolico nel becco mandorlato.,. Babbo Natale scosse il capo e sospiroĢ€: ā€œE cosiĢ€, cara la mia Poesia, la gerla eĢ€ piena soltanto di speranze. Pazienza: vuol dire che saraĢ€ per il Natale prossimo. Andiamo pure.ā€ Ma, intanto, cosa succede nella casa lontana? Niente di straordinario: Albertino ā€“ cosi si chiama il nostro bambinello ā€“ va a letto e la nonnina, per farlo addormentare, gli racconta una favola. Vogliamo ascoltarla anche noi quella favola? Siamo abituati ad ascoltarne tante, di favole, che una di piuĢ€ non ci potraĢ€ recare danno. PeroĢ€ non eĢ€ bello stare ad ascoltare i fatti altrui. Aspettiamo dietro la porta che Albertino si sia addormentato. Ecco: il bambino sā€™eĢ€ addormentato, la nonna se ne eĢ€ andata e il silenzio ha disteso il suo mantello di velluto nero su tutta la casa. Ed ecco che, dopo un poā€™, si ode un ticchettio contro il cristallo della finestra. Albertino si sveglia, scende dal letto, apre cauto la finestra. Eā€™ la Poesia che eĢ€ ritornata. ā€œEbbene? Lā€™hai visto papaĢ€?ā€ ā€œNoā€, risponde la Poesia. E narra la sua triste avventura. Allora Albertino si mette le scarpine felpate e la mantellina col cappuccio e si avvia deciso alla porta. ā€œAndroĢ€ io dal babboā€, esclama risoluto. Scende cauto per la scala, gradino per gradino. La casa eĢ€ buia e piena di mistero. ā€œMio Dio!ā€ grida a un tratto. ā€œCosa sono quei due puntini di fuoco che mi fissano?ā€¦ Ah, il gattino bianco. Che paura mā€™hai fatto! Micino, fammi luce fino alla porta del giardino!ā€¦ā€

E il micio, con i suoi occhi fosforescenti, illumina la strada ad Albertino.

I sogni dei bambini sono tutti illuminati da occhi di gattini, da lucciole, da stelline. Eā€™ un tipo di illuminazione molto conveniente percheĢ ci si vede a sufficienza e il contatore non gira. Mentre attraversa le stanze deserte, voci si levano sommesse. Oramai tutti sanno: quando Albertino complottava con la Poesia, il Grillo Parlante stampato a pagina 27 del libro di Pinocchio ha udito ed eĢ€ scappato via dal foglio, ed eĢ€ corso per la casa a dare la grande notizia: ā€œIl bambino va a trovare il babbo!ā€¦ā€ CosiĢ€, mentre Albertinopassa, le cose gli parlano: ā€œDigli che conto i minuti che ci separano dal suo ritorno!ā€ sussurra lā€™orologio. ā€œDigli che divoro i giorni per abbreviargli lā€™attesa!ā€ sussurra il calendario. ā€œDigli che senza di lui non riesco piuĢ€ a spiccicare una parola!ā€ sussurra la macchina per scrivere. Sul rullo della macchina cā€™eĢ€ un foglio scritto a tre quarti: una novellina interrotta proprio sul finale. ā€œDigli, per lā€™amor di Dio, che torni prestoā€, implora la novella. ā€œDa diciotto mesi Lauretta aspetta. Giacemmo sotto lā€™orologio della piazzetta. Non si puoĢ€ lasciare una povera ragazza cosiĢ€, per degli anni, esposta alle intemperie. Digli che venga a concludere!ā€¦ā€

E Albertino promette che riferiraĢ€ tutto. Ed eccolo alfine nel giardino. Flik, il vecchio cane da guardia, lo aspetta sulla porta. ā€œVengo anchā€™io dal padroneā€, dice Flik. Il gattino sā€™eĢ€ fermato sulla porta. PercheĢ dovrebbe avventurarsi in quella gelida notte dicembrina? Per il bel gusto di vedere la faccia del marito della padrona? I gatti non sono dei sentimentali. Eā€™ tanto buio, fuori, e si fatica a camminare, ma Flik va a svegliare una lucciola che sverna dentro un buchetto del muro. Quella protesta: eĢ€ freddo, e soprattutto non ha petrolio per accendere il fanalino posteriore. ā€œMa hai bene la tua dinamo!ā€ osserva Flik. ā€œSiĢ€, ma eĢ€ giaĢ€ una dannata fatica per chi le puoĢ€ far funzionare con la mano, queste benedette dinamo! Figurati poi la fatica che debbo fare ioā€¦ā€ Ma poi la Lucciola cede e ā€“ presa la lampadina ā€“ si avvia con Flik e Albertino. Ma non camminano molto: sul cancellino si trovano a fianco a fianco con qualcuno che sta uscendo. Eā€™ un essere ammantato in una lunga palandrana e sembra un fantasma. Albertino lancia un piccolo grido di paura, ma poi la Lucciola illumina il viso del presunto fantasma. ā€œTu, nonnina?ā€ ā€œTu, Albertino? E dove vai a questā€™ora?ā€ ā€œE tu, nonnina?ā€ ā€œIo vado a trovare il mio bambinoā€, risponde la nonna. Per le mamme i figli restano sempre dei bambini e ā€“ se stesse soltanto in loro ā€“ continuerebbero a farli dormire eternamente nella culla. E, vedendo un metro e mezzo di gambe uscir fuori dal lettuccio, non direbbero: ā€œMio figlio eĢ€ cresciuto.ā€ Direbbero: ā€œLa culla del mio bambino si eĢ€ ristretta.ā€Le mamme sono sempre in lotta col tempo e se, talvolta, si tingono i capelli quando incanutiscono, non eĢ€ per vanitaĢ€, ma per illudersi che il tempo non eĢ€ passato e che il loro bambino ā€“ percioĢ€ ā€“ eĢ€ ancora un bambino. ā€œTu hai un bambino, nonna? E chi eĢ€?ā€ ā€œIl tuo papaĢ€ā€¦ā€ Avanzano nella notte al tenue lume della Lucciola: Flik, la nonnina e Albertino. E la mamma? La mamma eĢ€ rimasta a letto: ha paura del buio e ha tanto freddo; eĢ€ un poā€™ come il gattino bianco, la mamma, e si muoverebbe, in questa notte, solo se si trattasse del suo bambino.

I figli lontani bisogna andarli a trovare a ogni costo. I mariti lontani basta saperli aspettare. I papaĢ€, invece, fanno migliaia di chilometri in sogno anche per rivedere le mamme dei loro figli. Lā€™uomo eĢ€ un sentimentale come Flik. Non per niente lā€™uomo eĢ€ detto lā€™amico del cane. cammina, cammina, cammina, ecco che arrivano a una piccola e solitaria stazione dove una locomotiva, dopo aver fatto una bella scorpacciata di carbone, sta facendoci sopra una buona pipata. ā€œSignora locomotivaā€, chiede Albertino, ā€œci porti da papaĢ€?ā€ ā€œImpossibileā€, risponde la locomotiva. ā€œCrisi dei trasporti, mitragliamenti, mancanza di personaleā€¦ā€ ā€œSignora locomotivaā€, prega la nonnina, ā€œportami dal mio bambino. Non sai cosa rappresenti per una mamma il suo bambino? Tu non hai figli?ā€ ā€œE come no?ā€ risponde la locomotiva. ā€œNon sono forse miei figli tutti questi vagoni che tu vedi? E so anchā€™io, signora, cosa voglia dire avere dei figli lontani! Sapessi, vecchia signora, quanti e quanti miei figlioli sono costretti a lavorare laggiuĢ€, nel Paese dove si trova tuo figlio!ā€¦ā€ ā€œSe sai dovā€™eĢ€, vuol dire che tu lo conosci il mio padrone!ā€ esclama Flik. ā€œEffettivamente tu lo devi conoscere: era un tuo ottimo cliente, aveva lā€™abbonamentoā€¦ā€ La locomotiva mandoĢ€ fuori un sospirone di fumo nero. ā€œLo conosco siĢ€, ma non per lā€™abbonamento. Purtroppo lā€™ho dovuto portare io, lassuĢ€, assieme agli altri. Quando mi ricordo, mi monta il vapore alla testa del cilindro! Non mi ci far pensare!ā€ La locomotiva sā€™era commossa e sospirava con tutti i suoi stantuffi, e allora Albertino la pregoĢ€ ancora e quella cedette. ā€œSalite, vi porteroĢ€ fin dove mi saraĢ€ possibile. Non si sa mai quel che possono combinarti lungo la linea quei monellacci della montagna! In carrozza, signori! Si parteā€¦ā€

E cammina, cammina, cammina, a un tratto il treno si arrestoĢ€ bruscamente. ā€œFine del viaggioā€, disse la locomotiva. ā€œIl ponte eĢ€ saltato in aria. Ah, monellacci: sempre voglia di scherzare! Beata gioventuĢ€ā€¦ā€ Il treno fece macchina indietro e Albertino, la nonnina e Flik e la Lucciola si trovarono soli in piena campagna. Dove si va? A destra o a sinistra? E come si fa poi a capire quale eĢ€ ladestra e quale la sinistra quando cā€™eĢ€ buio? Finalmente videro avanzarsi un lumicino rosso ed era il fornelletto dā€™una grossa pipa, e dietro la pipa procedeva un tipo strano con baffoni, giacca nera, calzoni a righe e tubino. ā€œSignore, per cortesia, insegnaci la strada per arrivare dal papaĢ€ā€, imploroĢ€ Albertino. Ma il tipo rispose che lui non sapeva niente, e che non aveva visto niente, e che non si occupava di politica ma badava ai fatti suoi, e che era ancora in giro soltanto percheĢ sā€™era attardato al caffeĢ€ con gli amici. Poi, quando si fu convinto che quella era brava gente inoffensiva, si tolse i baffi che erano finti, e si vide che si trattava di una gallina. ā€œSono una gallina padovana residente allā€™esteroā€, disse. ā€œE, cosiĢ€ travestita, rimpatrio clandestinamente per fare lā€™uovo. Voglio che il mio uovo sia italiano!ā€ ā€œStupendo!ā€ esclamoĢ€ la nonnina che era romantica. ā€œStupendo! Sembra una gallina del Risorgimento!ā€¦ā€ Poi, siccome sā€™era commossa anche lei, la Gallina disse: ā€œCamminate lungo questa strada, contate 1490 passi, poi voltate a destra, andate sempre diritto e troverete quello che fa per voi. ā€ Uno, due, tre, quattro, cinque, seiā€¦ millequattrocentonovanta passi. Poi voltata a destra, quindi eccoli in un bosco. E cammina, cammina, cammina, dā€™un tratto sboccarono in una bella radura illuminata da grosse stelle pendenti dai rami degli alberi, come frutti di fuoco. Era un campo di aviazione: peroĢ€ non uno dei soliti campi coi soliti aeroplani, ma un campo dā€™atterraggio per Angeli. Angeli dā€™ogni tipo, Angeli monomotori, bimotori, trimotori, quadrimotori prendevano terra o decollavano. Gran lavoro, durante la guerra, per lā€™aviazione del buon Dio. Angeli da ricognizione incrociano sui luoghi delle battaglie e segnalano eventuali concentramenti dā€™anime. Angeli da trasporto accorrono e caricano le anime e le portano in cielo. Angeli da caccia difendono le formazioni dagli attacchi di neri diavoli alati. Mentre gli Angeli bombardieri rovesciano sulle case, sopra gli ospedali, sopra i campi di prigionia, grossi carichi di sogni, distruggendo cosiĢ€ le opere nefaste della disperazione. ā€œVi porteroĢ€ al campo di concentramentoā€, disse un Angelo che era appunto addetto ai sogni. ā€œSalite.ā€ Era un bellā€™Angelo con tre paia dā€™ali, un trimotore, e Albertino e la nonna e Flik e la Lucciola si trovarono ben presto altissimi nel cielo.

E nel cielo nero ogni tanto si spalancava una finestrella e sā€™affacciava una stellina che salutava sventolando il fazzoletto. A un tratto si aprirono anche le imposte dā€™un grande balcone e la Luna venne fuori a curiosare e tutto il cielo sā€™illuminoĢ€. ā€œRitirati, pettegolona!ā€ esclamoĢ€ lā€™Angelo. Ma non fece in tempo a finire che si sentiĢ€ uno schianto e lā€™Angelo si inabissoĢ€ con unā€™ala in fiamme. La Flak lā€™aveva scoperto e colpito. La nonnina, Albertino, Flik e la Lucciola precipitarono nel baratro buio.ā€Aiuto!ā€ gridoĢ€ Albertino. E il Vento lo udiĢ€ e accorse, e prese a bordo i naufraghi dellā€™aria e li portoĢ€ dolcemente giuĢ€, giuĢ€, deponendoli alla fine sulla neve soffice. Poi se ne andoĢ€ borbottando: ā€œBenedetti sogni! Se non vi si stesse attenti, chi sa come andreste a finire!ā€ Dovā€™erano andati a cadere i nostri naufraghi? In un bosco. Un immenso bosco con grandi alberi carichi di neve. E neve copriva la terra, soffice e bianca come panna montata. Un bosco buio, pieno di freddo mistero. ā€œE adesso, nonnina?ā€ domandoĢ€ Albertino. ā€œCome si fa?ā€ ā€œNon temereā€, lo rassicuroĢ€ la nonnina. ā€œDomandando si arriva dappertutto. Guarda, arriva proprio qualcuno: buona sera, signora!ā€¦ā€ ā€œChi eĢ€, nonnina?ā€ ā€œEā€™ la Formicaā€, spiegoĢ€ la nonna. ā€œEā€™ la buona Formica che lavora tutta lā€™estate per mettere da parte roba. E cosiĢ€, quando viene lā€™inverno, la brava formichina eĢ€ tranquilla, mentre la Cicala, che ha trascorso tutta lā€™estate cantando, deve andare da lei a implorare un poā€™ dā€™aiuto. E la Formica le risponde: ā€œSe hai cantato, adesso balla!ā€ Bisogna sempre lavorare e risparmiare, bambino mio. Il risparmioā€¦ā€ ā€œA morte il risparmio!ā€ urloĢ€ la Formica. ā€œPeste e dannazione a chi ha inventato la Giornata del Risparmio, i salvadanai e la previdenza! Ho lavorato trentā€™anni come una negra economizzando il centesimo, mi sono fatta a costo di spaventosi sacrifici un gruzzoletto per la vecchiaia, ed ecco il magnifico risultato: le mie cinquantamila lire valgono oggi come settantacinque lire di prima della guerra!ā€¦ E debbo andare io a elemosinare dalla Cicala la quale, adesso, fa soldi a palate percheĢ avendo trascorso i suoi giorni guardando il panorama ā€“ ora tutti vengono da lei a farsi descrivere le albe rugiadose e i tramonti di fuoco e i placidi meriggi e le profumate notti del felice tempo che fu. Adesso chi ha in magazzino articoli di nostalgia fa quattrinoni!ā€¦ Abbasso il risparmio!ā€¦ Abbasso i capitalisti!ā€¦ La proprietaĢ€ degli altri eĢ€ un furto!ā€¦ā€

E si allontanoĢ€ cantando inni sovversivi. ā€œOrrenda guerra che distrugge tante belle favole!ā€ sospiroĢ€ la nonna. ā€œNon vi rattristate, signoraā€, esclamoĢ€ un gufo, affacciandosi al balconcino che si apriva sul tronco di un pino. ā€œFavole vecchie muoiono, favole nuove nascono. Cā€™eĢ€ sempre la contropartita.ā€ ā€œDove siamo, signor Gufo?ā€ domandoĢ€ Albertino.

E il Gufo inforcoĢ€ gli occhiali e spiegoĢ€. ā€œEsistono sulla Terra il Paese della Pace e il Paese della Guerra. Il Paese della Pace eĢ€ tutto sole e azzurro, e i campi sono pieni di bionde messi, e fiori sbocciano dovunque, in riva ai fiumi, nei boschi e perfino sulle nevose cime delle montagne. E i suoi abitanti lavorano la terra e tutti ā€“ dietro la casetta ā€“ hanno un orticello nel quale coltivano amorosamente i grossi cavoli sotto i quali, in tutte le stagioni, nascono bambini bellissimi. Il Paese della Guerra eĢ€ tutto il contrario: percheĢ non cā€™eĢ€ mai il sole e il cielo eĢ€ color del catrame, e nei campi non fiori o messi spuntano, ma baionette; e sugli alberi maturano bombe. E gli uomini si vestono di ferro, e i bambini non nascono sotto i cavoli, ma li fabbricano a macchina e percioĢ€ hanno tutti il cuore di ferro e la testa di ghisa. Eproprio sul confine tra il Paese della Pace e quello della Guerra si incrociano la strada che va dai Paesi del sole ai Paesi senza sole, e la strada che va dalle terre dove nasce la luce alle terre dove la luce diventa ombra.ā€ ā€œSignor Gufoā€, disse Flik, ā€œperdona me, povero cane di campagna, ma mi sembri piuttosto ermetico.ā€ ā€œEā€™ sempliceā€, rispose il Gufo. ā€œQui si incrociano la strada che dal Sud va al Nord, e la strada che dallā€™Est va allā€™Ovest. E in questo bosco si incontrano percioĢ€ creature dellā€™un Paese e dellā€™altro: si incontrano gli abitanti del mondo della Pace e del mondo della Guerra. Quindi non vi stupite. Buona notte.ā€ ā€œSignor Gufo! Ancora una parola, vi pregoā€¦ā€ Ma il Gufo era sparito dentro la sua casetta e Albertino e la nonna e Flik e la Lucciola si trovarono ancora soli nel bosco. Presero a camminare tra i cespugli e cammina, cammina, sā€™imbatterono in tre Funghi Buoni rannicchiati ai piedi di una ceppaia. Erano tre buoni funghi: tanto buoni che erano perfino mangerecci, ma non sapevano niente di niente. Spiacentissimi, ma essi facevano una vita cosiĢ€ ritirata e si occupavano tanto poco di politicaā€¦ PiuĢ€ avanti si imbatterono in tre rossi Funghi Velenosi con le teste aguzze aguzze come capocchie di chiodi, e domandarono anche a loro, ma quelli scrollarono sgarbatamente il gambo borbottando: ā€œWeg! Weg! Via, via!ā€

E avanti, avanti, incontrarono anche un vecchio tutto bianco che andava in giro con unā€™accetta in spalla e una valigetta in mano. Si fermava presso gli alberelli e con una lente guardava ramo per ramo. Poi, quando scopriva un ramo cariato, lo tagliava adagio adagio con lā€™accetta. Ma prima, con una grossa siringa, faceva alla pianta lā€™anestesia locale percheĢ non sentisse dolore, e, dopo, disinfettava e bendava il ramo troncato. Appressava lo stetoscopio al tronco delle vecchie piante, e auscultava attento. E massaggiava con olio canforato i grossi nodi, e ungeva con pomate contro i geloni le radici non coperte dalla terra. Era il Guardia boschi Buono, il quale innaffiava col Proton i quercioli deperiti, e metteva guanti di lana alle cime dei rami di pino che avevano perso il rivestimento di verdi aghi. Ma anche lui non sapeva niente di niente: per quanto riguardava la guerra, poi, si ricordava benissimo di Garibaldi, ma non sapeva se fosse guarito o no dalla sua ferita dā€™Aspromonte.

E via, via, e ancora via fra i tronchi neri, con la Lucciola in testa alla piccola schiera. A un tratto si fermano spaventati. GiuĢ€ tutti dietro il cespuglio! Un omaccio dalla barba rossa si avanzava sbraitando e brandendo un grosso fucile. ā€œA posto!ā€ gridava prendendo a calci e a schiaffi gli alberi. ā€œA posto!ā€

E tutti gli alberi si mettevano in riga per cinque tremando per la paura, e quello li contava e li ricontava e guai se ne mancava uno! Poi, se una stellina si affacciava alla sua finestrina nel cielo nero, ā€œOscuramento!ā€ gridava, e le sparava addosso una schioppettata. E se una lucciola accendeva il suo lumino, lā€™afferrava con un balzo e le svitava la lampadina. E metteva gli occhiali neri ai gatti percheĢ i loro occhi fosforescenti non brillassero nel buio regolamentare.Mamma mia che paura! Non era certo il caso di rivolgere domande al Guardiaboschi Cattivo. Meglio starsene ben nascosti. Quando si fu allontanato, la Lucciola riaccese la sua lampadina e i quattro si rimisero in cammino.

E via, via, e via, finalmente si trovarono davanti a una piccola radura in mezzo alla quale due sentieri si intersecavano. ā€œChe sia il crocicchio famoso?ā€ disse la nonnina. ā€œFermiamoci qui: qualcuno dovraĢ€ pure passare.ā€ E, difatti, poco dopo apparvero zampettando sul sentiero che veniva dal Sud tre Passerotti, ognuno dei quali portava sulla spalla un fagottello legato in cima a un bastone. E cantavano allegramente: La famiglia vagabonda guarda qua: la mammina, il pargoletto ed il papaĢ€ che vanno in cerca di mangiar, ma neve sol si trova ohimeĢ€! Comā€™eĢ€ triste sulla neve andare a pie quando calza neĢ stivale piuĢ€ non cā€™eĢ€! Ma non importa: la va a pochi, il tempo bello presto verraĢ€! E, contemporaneamente, ecco arrivare, dalla parte opposta, tre Cornacchie col kepi e il cinturone con la daga, che camminavano impettite come baccalaĢ€. Tre Cornacchie nere, con una lampadina appesa sul petto. Tre Cornacchie di ronda, le quali borbottavano: Chi, alle dieci, ancora in giro se ne va? Lā€™ora ormai del coprifuoco eĢ€ giaĢ€ suonata! Noi siam la ronda che va a caccia di nottambuli e beon: chi non ha le carte a posto va in prigion. Non eĢ€ posto, questo qui, per fannullon: chi non fa niente, sullā€™istante al lavor mandato saraĢ€! ā€œAltolaĢ€: documenta!ā€ ordinarono con malgarbo le tre Cornacchie ai Passerotti: e vollero sapere dove andassero e cosa facessero. E i Passerotti spiegarono che andavano alla ventura e vivevano alla giornata nellā€™attesa che tornasse il bel tempo. ā€œPessima vita!ā€ borbottarono le Cornacchie. ā€œPercheĢ non venite con noi, invece? Vi daremo prima di tutto miglio e orzo a volontaĢ€ per rimettervi in carneā€¦ā€ ā€œE poi?ā€ chiesero i Passerotti. ā€œE poi vi infilzeremo in uno spiedo nuovissimo, sterilizzato, dā€™acciaio inossidabile, e vi cuoceremo con fuoco di legna di primissima scelta. Sentirete che bel calduccio!ā€ ā€œPreferiamo rimanere al freddoā€, risposero i tre Passerotti. Ma le Cornacchie insistettero. ā€œNon vi piace forse lā€™arrosto? Possiamo accontentarvi col bollito! Vi cuoceremo in una splendida pentola in duralluminio cromatoā€¦ No? Vi daĢ€ forse noia il fumo? Noi abbiamo ogni riguardo per i nostri amici! Se vi daĢ€ noia il fumo vi cuoceremo su un potente fornello elettrico di 200 watt. Anzi, facciamo 300: non badiamo a spese, noi!ā€¦ā€ Ma i Passerotti dissero ancora di no. ā€œMagri ma crudi!ā€ esclamarono. Allora le Cornacchie se ne andarono indignate borbottando con disprezzo: ā€œFannulloni!ā€ E quando si furono allontanate, Albertino domandoĢ€ ai Passerotti se conoscevano la strada per andare dal babbo.ā€Eā€™ una di queste quattroā€, risposero i Passerotti. ā€œMa chi lo sa qual eĢ€? Noi siamo poveri passerotti di paese e non sappiamo niente di punti cardinali. Ci regoliamo col sole, ma, adesso, il sole non cā€™eĢ€. PeroĢ€ se aspettate, passeraĢ€ certo qualcuno. Buona notte.ā€

E rieccoli soli. E la notte era buia e fredda e il bosco pieno di mistero. Si sedettero sulla neve ai piedi dā€™un grosso tronco, stretti lā€™uno allā€™altro per stare piuĢ€ caldi. E il tempo passava, e nessuno appariva sul sentiero, e si udiva soltanto la gelida voce del bosco. Ma, improvvisamente, Flik si levoĢ€ dā€™un balzo drizzando le orecchie. ā€œCosa cā€™eĢ€, Flik? Cosa cā€™eĢ€?ā€ Apparve un uomo che camminava curvo con una sacca sulle spalle e, quando fu vicino, la Lucciola gli illuminoĢ€ il viso. Flik non aveva sbagliato: era lui. Era il babbo. Era il babbo che, nella notte di Natale, era fuggito dal suo triste recinto e ora camminava in fretta verso la sua casa. Voleva ritornare, almeno quella notte, e girare tutte le stanze e affacciarsi ai sogni di tutti i dormienti.

E il bambino, e la nonna, e il papaĢ€ si incontravano a metaĢ€ strada nel bosco dove, la notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due mondi nemici. ā€œTu qui?ā€ chiese la nonnina con apprensione. ā€œCosa ti succederaĢ€? Lo sai: adesso la fuga dalla prigionia non eĢ€ piuĢ€ uno sport!ā€ ā€œMa la fuga in sogno eĢ€ sempre uno sport, mamma! Eā€™ lā€™unico sport che ci rimane. Sognare. I sogni non hanno piastrino; non cā€™eĢ€ lā€™appello notturno dei sogni; non esistono ā€œzone della morteā€ per i sogni. Nella stufa il fuoco eĢ€ spento e nelle stanze squallide si respira aria gelida come ghiaccio liquefatto, ma i sogni non hanno freddo percheĢ gli basta, per scaldarsi, il tenue focherello dā€™una stella, o un sottile raggio di luna. Sognare. Quante notti ho percorso la strada che porta alla nostra casetta? Lo so, anche tu, mamma, tante volte hai percorso la strada che porta al mio lager. Ma non ci siamo mai incontrati percheĢ solo nella santa notte di Natale eĢ€ concesso ai sogni di incontrarsi. Eā€™ un miracolo che si rinnova da secoli: nella santa notte di Natale si incontrano e hanno corpo i sogni dei vivi e gli spiriti dei mortiā€¦ā€ Albertino si appressa. ā€œCosa cā€™eĢ€ in quel sacco che porti sulle spalle?ā€ ā€œCā€™eĢ€ tutta la mia ricchezza, figlio mio: gli zoccoli di legno, la gavetta, il cucchiaio, i barattoli, le vostre lettere. I prigionieri non abbandonano mai, neppure nei sogni, il loro sacco, percheĢ in esso eĢ€ racchiusa la storia della loro miseria. Cā€™eĢ€ anche il mio fornellino. Vedrai comā€™eĢ€ bello: adesso lo accenderemo.ā€ ā€œNon farlo!ā€ lo supplica la madre. ā€œLo sai che non si possono accendere fuochi allā€™aperto dopo il secondo appello!ā€ā€Ma tu, mamma, comā€™eĢ€ che sai tutte queste cose? Chi te lā€™ha detto? Cā€™eĢ€ scritto forse sui giornali?ā€ ā€œNo, queste cose non le stampano nei nostri giornali. Quando la notte vengo a trovarti, giro per le baracche e leggo tutti i cartelli. E guardo tutto: sapessi che pena vedere le tue magliette piene di buchi!ā€¦ Una volta ho portato con me lā€™ago e il filo e ho provato a rammendarti il farsetto: ma le mani, nei sogni, sono fatte dā€™aria.ā€ Il babbo depose la sacca per terra e trasse il fornellino. ā€œComā€™eĢ€ bello!ā€ esclamoĢ€ Albertino. ā€œSembra la macchina del trenoā€¦ Cā€™eĢ€ anche il fischio, papaĢ€?ā€ ā€œCi vorrebbe una scopa per togliere la neve per terraā€, osservoĢ€ il babbo. E non aveva ancora finito di parlare che una strana creatura voloĢ€ giuĢ€ dal cielo. ā€œUh! La Befana!ā€ esclamoĢ€ Albertino. Era effettivamente la vecchia Befana: peroĢ€ non stava, come al solito, a cavalcioni della scopa, ma dā€™una macchina luccicante. ā€œMi sono motorizzataā€, spiegoĢ€ la Befana. ā€œE cosiĢ€ ho abbandonata la scopa e viaggio in aspirapolvere. Ma qui ci dovrebbe essere una presa di correnteā€¦ā€ CercoĢ€ nel tronco dā€™un grosso pino e trovoĢ€ lā€™attacco e innestoĢ€ la spina. Ecco fatto: in due minuti un grande cerchio di neve eĢ€ spazzato via e il muschio, sotto, eĢ€ asciutto e soffice come un velluto. ā€œBuona notteā€, salutoĢ€ la Befana decollando.

Si seggono attorno al fornellino ma, adesso, ci vorrebbe un poā€™ di legna e Albertino, scortato da Flik, va in cerca di qualche ramoscello. Un altissimo abete ha tutta la cima secca e Albertino gli domanda: ā€œSignor albero, mi dai un pochettino di legna?ā€ ā€œSe vuoi la legna vientela a prendereā€, risponde lā€™albero sgarbato. LiĢ€ vicino cā€™eĢ€ un alberello secco completamente che non serve piuĢ€ a niente e Albertino afferra un ramo e cerca di strapparlo. ā€œSabotage!ā€ urla lā€™albero. ā€œSabotage!ā€ Mamma mia che paura! Ma una vecchia quercia allunga ad Albertino uno dei suoi rami: ā€œTieni, piccino: prendi tutta la legna che vuoi.ā€ Il fornellino eĢ€ acceso, e la sua fiamma si alza sicura verso il cielo percheĢ eĢ€ un fornellino con doppia parete, a gassogeno e aria preriscaldata. Gli alberi si scrollano la neve dal mantello e si avvicinano per venire a scaldarsi i rami intirizziti, e fanno circolo tuttā€™attorno al focherello. E cosiĢ€, stretti lā€™uno allā€™altro, formano una specie di muro che non lascia passare lā€™aria gelida, e coi rami protesi sulla fiamma formano uno spesso soffitto a festoni. ā€œSi potrebbe cucinare qualcosa, fare un pranzettino di Nataleā€¦ Sarebbe bello, cosiĢ€ tutti insiemeā€¦ā€, dice il papaĢ€. Ma non cā€™eĢ€ niente e Albertino si mette in giro con Flik per trovare qualche nocciolina o qualche bacca dolce dimenticata sulle siepi dallā€™autunno. Ma cosa succede? Cosā€™eĢ€ questo segnale di tromba?

E il piuĢ€ alto dei Funghi Velenosi che eĢ€ di vedetta e che daĢ€ lā€™allarme. ā€œEā€™ il momento giusto!ā€ grida con voce concitata. ā€œSe noi riusciremo a farci cogliere e a farci mangiare, noi moriremo, ma essi ne avranno atroci dolori viscerali! Quale stupenda vittoria difensiva!ā€

E tuttā€™e tre allungano il collo cercando con ogni sforzo di farsi notare dal bambino: ā€œQui, quiā€, dicono. ā€œDa questa parte si mangia bene!ā€

I tre Funghi Buoni peroĢ€ si avvedono della subdola manovra. ā€œNon bisogna permettere che i Funghi Velenosi riescano nel loro nefando intento!ā€ gridano i tre Funghi Buoni. E si avventano come un sol uomo contro i Funghi Velenosi. La lotta eĢ€ lunga e terribile, ma, alla fine, i tre Funghi Velenosi giacciono esanimi coi cappelli incalcati giuĢ€ fino ai piedi. ā€œE adesso andiamoci a costituire: essi hanno fame!ā€ dicono generosamente i tre Funghi Buoni. E si avviano verso il bambino e il sacrificio cantando ā€œChi per la patria muor vissuto eĢ€ assaiā€, come i fratelli Bandiera i quali, peroĢ€, erano due e non erano ā€“ nonostante tutto mangerecci come i tre funghi. Ma il nobile sacrificio non eĢ€ piuĢ€ necessario: il papaĢ€ si eĢ€ ricordato che nella sua bisaccia cā€™eĢ€, ancora intatta, la razione di pane. ā€œTu hai avuto il tuo panettone?ā€ chiede il papaĢ€ ad Albertino. ā€œNo, papaĢ€.ā€ ā€œLo avrai.ā€ ā€œSiĢ€, papaĢ€.ā€ Il papaĢ€ grattugia il pane col coltello: lo impasteraĢ€ con acqua e faraĢ€ una focaccina. ā€œCome sei bravo!ā€ esclama la nonnina. ā€œQuante belle cose hai imparato in prigionia!ā€¦ā€ Il gavettone eĢ€ sul fuoco: un abete allunga gentile un ramo carico di neve e lo scuote dentro il recipiente che, ben presto, comincia a borbottare. Una scintilla esce dal fornellino e va in giro per il bosco come una stellina in balia del vento. Unā€™Ape (che eĢ€ di vedetta sullā€™albero nel cavo del quale eĢ€ lā€™alveare) lā€™avvista. La scintilla fa la spia allā€™ape, e lā€™Ape daĢ€ lā€™allarme. Le Api fanno rapidamente il pieno, accendono i motori e decollano. Sono mille, duemila, diecimila, e navigano in perfetta formazione a cuneo, tre per tre, verso la zona del fuoco. ƈ una nube ronzante. Quando arrivano sullā€™obiettivo scendono in picchiata. E, passando sopra il fornellino, ogni Ape lascia cadere nel gavettone una goccia di miele. Mille, duemila, diecimila gocce: il recipiente eĢ€ quasi colmo. Intanto i tre Passerotti scuotono le cime degli alberi e fanno piovere dentro il gavettone pinoli, bacche dolci, noccioline croccanti. Unā€™Allodola del tipo stratosferico con un trillo buca il manto nero della notte, si libra fin sopra le nubi, poi su su tra le stelle, fino alla Via Lattea nella quale si immerge ritornando giuĢ€ carica di candida panna montata. Giunta sul gavettone, si scuote la panna di dosso e la panna cade nella pasta dolce che giaĢ€ eĢ€ bollente. Ma il nemico non dorme. Le tre Cornacchie, dallā€™alto di un pino, hanno seguito ogni manovra e adottano le contromisure. Si lanciano sopra un mucchio di spazzatura e cominciano a mangiare sassi aguzzi, chiodi, pezzettini di vetro, capocchie di fiammiferi. Ingollano anche i resti dei tre funghi velenosi, e mangia che ti mangia, si gonfiano come botti e riescono appena a levarsi in volo. Hanno il loro piano: arriveranno fin sul gavettone e faranno come le Api, scaricando nella pasta il loro micidiale carico. Fortunatamente lā€™aviazione alleata sta sul chi vive: trecento Api da caccia partono su allarme per intercettare la formazione nemica. Eccole che si avventano sulle Cornacchie e le crivellano di punzecchiate. Le Cornacchie precipitano in vite. ā€œBang!ā€ Scoppiate come vesciche di surrogato di grasso. Il gavettone borbotta dolcemente e il papaĢ€, Albertino, la nonnina e Flik si scaldano le mani al fuoco. E nessuno parla: la felicitaĢ€ non ha bisogno di parole.

A un tratto il Vento porta le note di una musica lontana, carica di accorati accenti. ā€œCosā€™eĢ€, babbo?ā€ ā€œĆˆ la canzone della malinconia. Alla finestra, una sera dā€™inverno: due occhi guardano attraverso i cristalli la strada che rimane deserta, e il cristallo gocciola e sembra stemperare le lacrime di quella vana attesa. Sul muro bianco, nella stanza, lā€™ombra scarna della sedia vuota davanti al fuoco. ƈ la canzone che dice la pena di tutti coloro che attendono nelle tristi case. ƈ la canzone che ā€“ allo spirare dā€™una stanca giornata dā€™attesa ā€“ affida le sue note al Vento della notte e cosiĢ€ giunge a tutti i lontani campi di prigionia, e narra a tutti gli uomini la sua malinconia disperata.ā€ La canzone si allontana nella notte e, di liĢ€ a poco, un altro canto che viene da opposte contrade si appressa. Un canto anchā€™esso malinconico, ma dā€™una malinconia dolce e sommessa. Altra gente che attende e attende. Gente che da mesi e mesi e mesi guarda il cielo grigio che incombe su quelle straniere lande, e aspetta invano che il sole squarci la coltre cupa di nubi e ritorni a splendere. Ma che ha tuttavia una luce segreta la quale illumina quei giorni senza sole e quelle notti senza stelle. La luce tenuta viva dallā€™amore di chi attende nelle case lontane. La luce della fede. E la canzone parte da tutti i campi di prigionia, e naviga nella notte, e giunge alle dolci contrade recando parole di dolce speranza a chi dalla speranza si sente oramai abbandonato. Anche la seconda canzone sā€™allontana e tutto ridiventa silenzioso. ā€œGuarda, babbo!ā€ grida lietamente Albertino. Il miracolo eĢ€ compiuto: la pasta dolce si eĢ€ gonfiata sino a diventare un grosso panettone profumato e soffice come bambagia. Il babbo toglie dalla sacca la gamella, il coperchio della gavetta, un coperchio di scatola, uno straccetto bianco (lā€™involucro dellā€™ultimo lontanissimo pacco da casa), e la nonna apparecchia sul muschio verde e taglia il panettone. ā€œA chi questa dolce illusione di antica felicitaĢ€?ā€ chiede la nonnina. ā€œA noi tutti che abbiamo tanto soffertoā€, risponde il babbo. E vorrebbe che le fette fossero quattro (una anche per la mamma, da portarle a casa), ma Albertino dice che eĢ€ inutile. ā€œGliela racconteroĢ€ io, alla mamma, la sua parte di panettoneā€, afferma Albertino. Le fette sono tagliate e Flik ha le sue briciole e il papaĢ€, mentre porge la sua gamella, scopre che, sotto, cā€™eĢ€ una lettera. Posta per il numero 6865! Finalmente! Da quattro mesi il numero 6865 non riceveva posta ed eccolo generosamente ricompensato della lunga, penosa attesa. PercheĢ si tratta di una lettera dā€™importanza eccezionale: una lettera piena di ricami, dā€™angioletti dā€™oro, di stelle dā€™argento e di nere zampette di gallina: ā€œCaro papaĢ€, eĢ€ Natale e io penso a teā€¦ā€ ƈ una lettera importantissima percheĢ lā€™hanno scritta un poā€™ tutti: la nonna dettava; la mamma guidava la mano dā€™Albertino il quale scriveva; il nonno rileggeva parola per parola, ad alta voce; Flik acciuffava al volo e riportava ad Albertino le virgole che, come farfalline, volavano via dalla penna dā€™Albertino. E la Carlottina, seduta sul suo seggiolone, lanciava in aria dei piccoli punti esclamativi dā€™argento che ricadevano sul foglio e si appiccicavano qua e laĢ€ tra le parole per farle ancora piuĢ€ belle. ā€œCaro papaĢ€, eĢ€ Natale e io penso a teā€¦ā€ Posta per il numero 6865: la prima lettera di Natale dā€™Albertino. Il pranzo di Natale comincia, e il panettone sa di cielo e di bosco. E tal meraviglia ancora non basta percheĢ questa eĢ€ notte di miracoli. Un grande abete si eĢ€ popolato di fiammelle. Sono gli occhi di mille e mille uccellini che splendono nel buio riflettendo il bagliore del focherello. Anche lā€™albero di Natale! Ed eĢ€ il piuĢ€ bello del mondo percheĢ la stella che brilla sulla sua cima non eĢ€ una delle solite di cartapesta argentata, ma eĢ€ una stella vera, una stella viva che eĢ€ scivolata giuĢ€ dal cielo e si eĢ€ impigliata tra i rami col suo strascico scintillante. Intanto il tempo trascorre. Sul sentiero deserto che viene da Oriente, qualcuno sā€™avanza. ƈ un somarello, e sul somarello eĢ€ una donna bellissima dagli occhi dolci e splendenti. E davanti allā€™asinello cammina un buon vecchio dalla barba bianca. Lā€™asinello eĢ€ stanco: eĢ€ tanto tempo che cammina senza fermarsi mai. Cammina, cammina, somarello: bisogna ritrovare la solitaria capanna percheĢ il miracolo possa rinnovarsi. PercheĢ il Figlio di Dio possa, ancora una volta, schiudere gli occhi alla luce degli uomini.

E lā€™asinello cammina e nel cielo lo scortano due Angeli che reggono un grande nastro bianco su cui eĢ€ scritto a lettere dā€™oro: Pace agli uomini di buona volontaĢ€. Ed eĢ€, questo, lo stendardo del Dio della Pace. Ma, sul sentiero opposto che viene da Occidente, dai Paesi dove la luce diventa ombra, avanza sferragliando una grossa macchina scortata da una quintuplice schiera di guerrieri, i quali procedono cantando fieramente un loro inno: Col paltoĢ€ corazzai col gileĢ€ dā€™otton cromato coi calzon di lamier, col cappello di ferro smaltato, comā€™eĢ€ bello far sempre il soldato Su la gamba batti il tac batti il tac fort sulla terra con lo schiopp su la spali, comā€™eĢ€ bello far sempre la guerra per la pace universale! La macchina sferragliante eĢ€ un carro armato, e lo guida un uomo con lā€™elmo in testa, e dietro di lui sta seduta, tronfia e pettoruta, una grossa donna dai capelli biondi come stoppa e con gli occhiali a stringinaso davanti agli occhi piccoli e cattivi. Scortano il corteggio due feroci aquile che reggono fra gli artigli un drappo nero con una scritta a caratteri di sangue: Guerra agli uomini di buona volontaĢ€. Ed eĢ€, questa, la bandiera del Dio della Guerra, del Dio che nasceraĢ€ stanotte (secondo gli ordini ricevuti dal suo governo) in un castello dā€™acciaio col cannone sul tetto, il quale spara contro tutte le stelle filanti e gli Angeli che passano nel cielo. Al crocicchio la macchina e lā€™asinello si incontrano: lā€™asinello prende la strada che porta ai Paesi del sole, la macchina quella che porta ai Paesi delle gelide ombre. ā€œLa pace sia con voiā€, saluta il buon vecchio dellā€™asinello. ā€œLa guerra sia con voiā€, risponde lā€™uomo del carro armato. Notte santa, notte di miracoli. Si fa tardi ed ecco, sul sentiero ridiventato deserto, apparire una strana cavalcata. Sono tre vecchi Re seduti sulla gobba dei loro cammelli, e vengono dallā€™Oriente. E li guida una stella che naviga lenta, facendo fluttuare la sua scintillante coda dā€™argento nel cielo di velluto nero. Notte santa, notte dā€™incontri: nel sentiero che viene da Occidente, si avanza un curioso terzetto. Sono tre Nanerottoli vestiti di rosso, con la barba bianca lunga fino ai piedi, e il naso a patata. Tre Nanerottoli scappati fuori dal cartellone pubblicitario di qualche fabbrica di posate, tanto eĢ€ vero che il primo porta sulla spalla, come un fucile, un coltello; il secondo una forchetta e il terzo un cucchiaio. Li guida sibilando nel cielo non una stella, ma una meteora alla dinamite con la coda di fuoco. Camminano impettiti, al passo, levando le zampette come fanno le oche. Al crocicchio anche i vecchi Re e i Nanetti si incontrano. ā€œDio sia con voiā€, salutano i Magi.ā€Cā€™eĢ€ giaĢ€ā€, rispondono altezzosi i Nanetti. ā€œIo porto al Figlio di Maria oro percheĢ Egli eĢ€ il buon Re degli uomini di buona volontaĢ€ā€, dice il primo dei Magi. ā€œIo gli porto incenso percheĢ Egli eĢ€ Dio della bontaĢ€ e sacerdote del Dio della bontaĢ€ā€, dice il secondo. ā€œIo gli porto mirra percheĢ Egli eĢ€ Dio ma, nella sua divina bontaĢ€, vuol soffrire e morire come un uomoā€, dice il terzo.

I Nanerottoli rispondono sghignazzando: ā€œIo porto al nostro Dio il coltello percheĢ possa tagliare a fette il mondo!ā€ ā€œIo gli porto la forchetta percheĢ possa papparselo allegramente!ā€ ā€œIo gli porto il cucchiaio percheĢ possa raccogliere e mangiarsi anche le briciole!ā€ ā€œSia lode al Dio degli uomini buoniā€, salutano i Magi prendendo la via del Sud. ā€œSia lode al Dio dei guerrieriā€, rispondono i Nanetti prendendo la via del Nord. Disparvero e il bosco ridiventoĢ€ deserto. E il papaĢ€ e il bambino e la nonnina, stretti lā€™uno allā€™altro davanti al fornellino, tacevano, e niente si muoveva ā€“ neanche una fogliolina ā€“ percheĢ le cose e gli uomini attendevano trepidanti. Mezzanotteā€¦ ā€œĆˆ nato!ā€ gridoĢ€ unā€™allodola di vedetta su una nuvola. ā€œNotizia confermata!ā€ disse il Vento. ā€œCā€™eĢ€ anche il commento! Udite!ā€

E portoĢ€ un dolcissimo canto che veniva da lontane contrade. La solitaria capanna eĢ€ tutta risplendente ora, e sulla paglia vagisce il Bambinello, e lo scaldano, col loro fiato, il bue e lā€™asinello. Anche nel castello dā€™acciaio annidato nellā€™ombra del Nord, un bambino eĢ€ nato e piange, nella sua culla corazzata. Ma lo scaldano col loro fiato micidiale un lanciafiamme e lo scappamento del carro armato. Ma la sua voce eĢ€ aspra e le sue mani hanno giaĢ€ piccoli artigli percheĢ eĢ€ il Dio della Guerra e nessuno viene a portargli doni. Mentre invece, alla capanna del Dio della Pace, giungono pastori e pastorelle recando agnelli e anfore colme di latte. Latte scremato: percheĢ le pecorelle sono state tosate e la panna lā€™hanno adoperata per fare alle pastorelle un mantello di lanital. E i pastori se ne dolgono, ma san Giuseppe sorride: ā€œNon importa: la colpa non eĢ€ vostra, la colpa eĢ€ della guerra.ā€ E, dopo i pastori, ecco che arrivano marciando anche i guerrieri vestiti di ferro. ā€œSia lode a Dioā€, dicono in coro. ā€œDio eĢ€ con noi.ā€ San Giuseppe scuote il capo: ā€œCā€™eĢ€ un errore. Il vostro Dio non eĢ€ questo. Mai eĢ€ stato questo. Il vostro Dio eĢ€ lā€™altro che eĢ€ nato nel castello dā€™acciaio.ā€ ā€œNoā€, dicono i guerrieri. ā€œAdesso il nostro Dio eĢ€ questo.ā€ ā€œTroppo tardiā€, risponde san Giuseppe. ā€œTenetevi il vostro Dio anche per questā€™annoā€¦ā€

A uno a uno gli occhietti che fiammeggiavano sullā€™abete nel bosco solitario si sono spenti. Nel fornellino la fiamma daĢ€ gli ultimi guizzi. Fa freddo. Gli alberi hanno riallargato il loro cerchio e il Vento soffia gelido. Croci nere sono sparse nel bosco e attorno a ogni croce si aggirano mute ombre. E le croci sono tante, e le ombre sono infinite. ā€œChi sono, papaĢ€?ā€ ā€œSono gli spiriti dei vivi che vengono a cercare i loro morti. Guardano tutte le croci che la guerra ha sparso nel mondo, leggono i nomi incisi sulle croci. E quando una mamma ritrova la tomba del suo figliolo, si siede sotto la croce e parla con lui di tempi felici che non torneranno mai piuĢ€.ā€ Il Vento, intanto, riporta la canzone che eĢ€ stata fino ai campi di prigionia e ritorna alle case, e la canzone che eĢ€ stata alle case e ritorna ai campi di prigionia. ā€œBuon Natale, mamma, buon Natale, Albertinoā€, dice il babbo. ā€œOra ritornate a casa: la vostra canzone vi riaccompagneraĢ€.ā€ ā€œE tu non vieni, papaĢ€?ā€ ā€œDomani, Albertinoā€¦ā€ ā€œDomani o morgen?ā€ chiede la nonnina. ā€œMorgen, mamma.ā€ ā€œPapaĢ€, percheĢ non mi prendi con te?ā€ ā€œNeppure in sogno i bambini debbono entrare laggiuĢ€. Promettimi che non verrai mai.ā€ ā€œTe lo prometto, papaĢ€.ā€ Se ne sono andati assieme alle loro canzoni e il bosco eĢ€ muto e deserto. Nevica e una nuova soffice coltre si stende sullā€™altra indurita dal vento. Il cerchio verde attorno al fuoco eĢ€ ridiventato bianco. Scompare la traccia dei sentieri. ā€œNotte da prigionieri!ā€ esclama il Passerotto capofamiglia nascondendo la testa sotto lā€™ala.

E nel muoversi fa cadere una foglia che scende volteggiando lentamente e si posa nel bel mezzo della bianca radura. E si vede che, sulla foglia, cā€™eĢ€ scritto la parola FINE. Ed eĢ€ una foglia stretta stretta: Stretta la foglia ā€“ larga la via dite la vostra ā€“ che ho detto la mia. E se non vā€™eĢ€ piaciuta non vogliatemi male, ve ne diroĢ€ una meglio ā€“ il prossimo Natale, e che saraĢ€ una favola senza malinconia: ā€œCā€™era una volta ā€“ la prigioniaā€¦ā€

 

 

 

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