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La fuga degli armeni dal Nagorno Karabakh, tragedia annunciata e ignorata

armenia la nuova bussola quotidiana nagorno karabakh stefano magni Oct 04, 2023

di Stefano Magni

Circa 100mila armeni hanno abbandonato il Nagorno Karabakh appena occupato dall'Azerbaigian. Si è trattato di una tragedia annunciata da molto tempo: fuggono per il timore (fondato) di una pulizia etnica. Ignavia della comunità internazionale e rischio di guerra allargata.

Se 100mila profughi vi sembran pochi. Tanti sono gli abitanti del Nagorno Karabakh fuggiti in Armenia dal 21 settembre ad oggi, secondo le stime del governo di Erevan. E si tratta della quasi totalità della popolazione locale che constava, l’estate scorsa, in 120mila anime. La pulizia etnica è stata dunque completata, senza che l’Azerbaigian, conquistatore del territorio, si sia neppure sporcato le mani. Quel che preoccupa, soprattutto gli armeni, è il silenzio assordante con cui, in Europa, è stata accolta la loro tragedia.

Le Nazioni Unite hanno nuovamente mostrato tutta la loro impotenza. All’Onu, una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza si è riunita un giorno dopo che il breve conflitto nel Nagorno Karabakh si era già concluso. Eppure era tutt’altro che una sorpresa. Era dal dicembre del 2022 che l’Azerbaigian aveva imposto un embargo totale sulla regione autonoma a maggioranza armena e, contemporaneamente, si preparava alla ripresa della guerra interrotta nel novembre del 2020. Il blocco del corridoio di Lachin, unica via di approvvigionamento di beni dall’Armenia, era illegale sotto tutti i punti di vista e in violazione degli accordi del 2020. Eppure nessuno, nella comunità internazionale, ha proposto di imporre sanzioni contro l’Azerbaigian per indurlo a cambiare politica. Le mediazioni sono tutte fallite, senza pressioni c’è poco da convincere la controparte.

Non essendo riusciti a prevenire il disastro, cioè l’improvvisa occupazione del Nagorno Karabakh armeno ad opera dell’Azerbaigian, ci si chiede cosa potrebbe fare la comunità internazionale per salvare la popolazione locale dal possibile massacro. E la risposta che gli armeni si sono dati, evidentemente è: niente. Lo dimostra la loro fuga di massa. Lasciano indietro secoli di storia, decine di monasteri medievali, antichi cimiteri, vestigia di mille anni di civiltà armena e cristiana. Quanto verrà risparmiato? Quanto di questo patrimonio sarà distrutto, non appena si spegneranno i riflettori internazionali sul Caucaso?

Le rassicurazioni da parte azera che nulla verrà fatto contro la popolazione, sono talmente poco credibili che le stesse uniformi dei soldati di Baku dicono il contrario: lo storico turco Taner Akcan ha fatto notare come la pezza sulla manica delle uniformi azere sia l’effige di Enver Pasha, la mente del genocidio degli armeni nel 1915. La scritta sulla stessa pezza recita, in turco: “Non scappare, armeno. Morirai semplicemente di stanchezza”. Un riferimento macabro alla storia: gran parte delle vittime del genocidio morì di stanchezza e stenti nelle lunghe marce della morte in Anatolia. “È chiaro che nella coscienza del regime azero esiste un legame diretto tra il genocidio del 1915 e le sue azioni – commenta lo storico turco - Non c'è quindi bisogno di fare questo collegamento in seguito. La domanda è: cos’altro produrrà questa mentalità in questa regione?”.

La guerra potrebbe addirittura non finire qui. Se l’Azerbaigian, appoggiato dalla Turchia, attaccasse la stessa Armenia? La scrittrice Antonia Arslan, autrice de La masseria delle allodole (il capolavoro sul genocidio degli armeni) avverte che il pericolo è concreto: “il progetto della Turchia e dell’Azerbaigian è di impadronirsi anche dell’Armenia – dichiara la scrittrice - Tanto è vero che a Baku hanno già istituito un ramo del ministero degli Esteri per l’Azerbaigian dell’Ovest, che sarebbe l’Armenia. È un progetto bello chiaro, non lo nascondono”. Farebbe parte del disegno politico di lungo termine della Turchia: “Ai turchi interessa tagliare in due l’Armenia e prendere un corridoio di terra che congiunga Ankara con tutte le repubbliche ex sovietiche islamiche dell’Asia centrale. All’Azerbaigian serve la Turchia da cui viene armato, da cui compra i droni prodotti dal genero di Erdogan. Altri ne compra da Israele”.

Se per la distrazione internazionale sul Nagorno Karabakh dovesse scoppiare la guerra fra Azerbaigian e Armenia, sarebbe il peggior esempio in decenni di miopia politica. Non si poteva fare altrimenti? Il Nagorno Karabakh non era riconosciuto internazionalmente, per questo è sempre stato conosciuto ufficialmente come entità “separatista”, come repubblica “auto-proclamata” dell’Artsakh. Neppure i russi, alleati dell’Armenia e presenti sul territorio con una forza di interposizione, hanno avuto legittimità di intervenire in difesa degli “armeni di montagna”. Però era una realtà, era una regione abitata da armeni dalla notte dei tempi e godeva di piena autonomia anche in tempi sovietici. Quando ha avuto possibilità di farlo, la sua popolazione, al momento della dissoluzione sovietica, aveva votato a larghissima maggioranza per l’indipendenza.

Le Nazioni Unite non hanno attribuito importanza al diritto di autodeterminazione, preferendo quello dell’integrità territoriale degli Stati unitari rappresentati nella sua Assemblea Generale. La causa non va ricercata solo nel lavoro di lobby internazionale condotto dall’Azerbaigian (di cui abbiamo parlato qui), ma di un modo rigido di applicare le regole per cui solo le repubbliche che avevano un diritto costituzionale alla secessione (quelle sovietiche e quelle jugoslave) hanno avuto la possibilità di dichiarare la loro indipendenza, ma non le regioni autonome, neppure se abitate da minoranze perseguitate. Pochissime le eccezioni: il Kosovo è stato riconosciuto in modo atipico, ma solo dopo dieci anni di guerra nei Balcani e di massacri, con la memoria ancora fresca delle fosse comuni in Bosnia. L’altra eccezione recente è il Sud Sudan, ma anche qui solo dopo un genocidio e dopo che il presidente del Sudan, Omar Bashir, è stato incriminato per un altro genocidio dalla Corte Penale Internazionale. Il Sud Sudan, per altro, è uno dei peggiori esempi di indipendenza: tuttora è lacerato da una guerra civile scoppiata appena due anni dopo la sua nascita.

L’Artsakh, con la sua piccola popolazione e le sue istituzioni democratiche, non meritava l’indipendenza? Ignorata, la “repubblica invisibile” è stata cancellata dalla carta geografica.

 FONTE : LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

 

 

 

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