La gnosi travestita: gli uomini spirituali contro s. Paolo
Sep 29, 2022di Francesco Lamendola
Chi abbia un poco di familiarità con i testi del Nuovo Testamento, e specialmente con l’epistolario paolino, avrà presente che la Prima lettera ai Corinzi si presenta come una veemente requisitoria contro dei personaggi la cui esatta identità ci sfugge, ma che all’Apostolo delle genti doveva essere ben chiara, dato che egli concentra tutte le sue energie per esporre in termini inequivocabili la vera catechesi cristiana e per evidenziare i punti controversi sui quali essi seguivano un proprio indirizzo, creando scandalo e confusione e avvalorando un precedente pericolosissimo: che ciascuna comunità potesse pretendere di fabbricarsi un proprio vangelo, un proprio Gesù e una propria via di salvezza.
Non è facilissimo, ripetiamo, per il lettore moderno, capire con precisione con chi ce l’abbia san Paolo; anche se alcuni passaggi, letti con attenzione, rivelano, sia pure in maniera un po’ vaga e misteriosa, l’identità dei suoi antagonisti: uomini che rivendicano la sequela di Apollo e minano l’unità della chiesa locale (1,10-13):
10 Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti. 11 Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. 12 Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». 13 Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?
Inoltre, procedendo nella lettura, ci si accorge che gli oppositori di Paolo devono probabilmente nutrire dei dubbi sulla potenza decisiva della Resurrezione di Cristo, poiché a un certo punto, dopo aver citato Isaia, 29,14, esclama con foga (1,20-25):
20 Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? 21 Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22 E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, 23 noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 24 ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. 25 Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Ora è chiaro che se Paolo si sente in dovere di ribadire un concetto per noi così ovvio, che la salvezza viene da Cristo crocifisso e risorto, e che ciò è scandaloso per gli ebrei e folle per i pagani, significa che ovvio non lo era per i suoi interlocutori, e che la chiesa di Corinto era seriamente inquinata dalla presenza di qualcuno che metteva in dubbio tale verità, avanzando una propria interpretazione dell’unico Vangelo di Gesù; qualcuno che, lo si legge fra le righe, si rifaceva ad Apollo. E poiché sappiamo che Apollo era un giudeo convertito di Alessandria, e che in quella città era molto diffusa la teologia di Filone l’Ebreo (vissuto fra il 20 a.C. e il 45 d.C.), pervasa di spiritualismo platonizzante, alla cui luce egli rilegge e reinterpreta la Bibbia, non ci vuol molto a realizzare l’origine di tale inquinamento: la pretesa di alcuni corinzi di declinare la “buona novella” in termini alessandrini, platonici, spirituali; e come uomini spirituali possiamo indicare, per capirci, sulle orme di un grande studioso di san Paolo, coloro contro i cui errori dottrinali metteva in guardia l’Apostolo.
In realtà, non solo il primo capitolo, ma gran parte della Prima lettera ai Corinzi, la quale consta di ben sedici capitoli, sono dedicati a una serrata polemica e ad una puntigliosa confutazione di errori dottrinali che è possibile individuare, a contrario, dalle stesse parole dell’Apostolo. E ci si chiede, in particolare – mancandoci qui lo spazio per prendere in esame, uno per uno, i numerosi riferimenti teologici contenuti in quello scritto – come gli uomini spirituali abbiano potuto associare un orgoglio tutto umano e carnale per il loro supposto sapere superiore con il rifiuto o la messa in dubbio della resurrezione di Gesù Cristo e, più in generale, della dottrina della resurrezione dei corpi. Si giunge così a ricostruire il nocciolo del loro pensiero consistesse nella rivendicazione di una sapienza cristiana strutturata in vari livelli, rispetto alla quale si consideravano depositari del livello superiore, mentre lasciavamo agli altri, al “popolo”, agli indotti, quelli inferiori; e che tale sapienza più elevata consisteva nel ripudio di ogni elemento di materialità della creazione, e quindi anche nel rifiuto di ammettere la resurrezione dei corpi, la quale avrebbe perpetuato la schiavitù della carne.
La cosa sintomatica è che da tale eccesso di spiritualismo, che giungeva a svalutare la bontà della creazione in se stessa e quindi la dimensione storica, umana, di Gesù Cristo, resurrezione compresa (il che avvicinava gli uomini spirituali a quella che sarebbe poi stata l’eresia monofisita) essi traevano, curiosamente, la conclusione che i peccati carnali non sono poi così gravi, visto che sono confinati in una dimensione, quella terrena, destinata ad estinguersi, per lasciare spazio ad una realtà puramente ed esclusivamente spirituale. Non è stato certo quello, nella storia bimillenaria del cristianesimo, il solo caso di una interpretazione del Vangelo nel senso d’uno spiritualismo estremo, che si è associata, sul terreno della morale pratica, ad un lassismo ed un permissivismo sconcertanti, tanto da generare il dubbio, più che fondato, che il primo aspetto serva precisamente a giustificare il secondo.
Valga per tutti il caso della misteriosa setta ortodossa dei chlysty, sorta in Siberia nel XVII secolo e alla quale era riconducibile anche il famoso Rasputin, consigliere di Nicola II e Alessandra Romanov. I chlysty, fra l’altro, celebravano una specie di orgia sacra nel corso della quale una giovane donna nuda, venerata nella duplice sembianza di Santa Vergine d i Madre Terra, offriva ai fedeli chicchi d’uva. Il che mostra ad abundantiam il retroterra non solo gnostico, ma neopagano, che caratterizza le interpretazioni estremiste del cristianesimo “spirituale” (i chlysty erano anche millenaristi e attendevano la discesa dello Spirito Santo, adoperandosi con le loro cerimonie orgiastiche per affrettarla).
Tornando alla polemica di san Paolo contro gli uomini spirituali contenuta nella Prima lettera ai Corinzi, a un certo punto l’Apostolo così apostrofa i suoi antagonisti (1 Corinzi, 12-20):
12 «Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla. 13 «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!». Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l'impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. 14 Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
15 Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! 16 O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. 17 Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 18 Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. 19 O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? 20 Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
Il che non si spiegherebbe se egli non avesse a che fare con della gente che si dice spirituale e proclama di possedere una sapienza più alta di quella dei comuni fedeli, però al tempo stesso si fa conoscere per la licenze e la sregolatezza del proprio comportamento morale.
Ha scritto in proposito il domenicano Jerome Murphy O’ Connor, un’autorità riconosciuta a livello internazionale negli studi paolini, nella sua opera magistrale Paolo (titolo originale: Paul. His Story, Oxford University Press, 2004; traduzione dall’inglese di Paolo Pellizzari, Edizioni San Paolo, 2007, pp. 201-204):
Se analizziamo da vicino 1 Corinzi 1-4, dove Paolo affronta in maniera più esplicita la questione delle divisioni nella comunità, viene alla luce un gruppo i cui membri credevano che il possesso della “sapienza” li rendesse “perfetti” (2,6). In quanto possessori dello ««Spirito che viene da Dio»” (2,2), essi erano «uomini spirituali» (2,15). Si consideravano già «sazi (di benedizioni divine)», “ricchi” e come dei “re” (4,8), “sapienti”, “forti”, “onorati” (4,10). Essi consideravamo gli altri della comunità, che non avevano raggiunto il loro livello spirituale, come “infanti”, capaci di nutrirsi solo di “latte” (3,1), e come “stolti”, che erano “deboli” e “disprezzati” (4,10). Per comodità li chiamo “uomini spirituali”. Essi provenivano soprattutto dalla parte più benestante e colta della Chiesa di Corinto, ed erano loro che potevano avere la disponibilità di tempo e la capacità di indulgere in speculazioni religiose.
Il linguaggio degli “uomini spirituali” evoca la distinzione di Filone di Alessandria tra uomo celeste e uomo terrestre. Tutti gli elementi chiave ricordati nel paragrafo precedente compaiono in due passi di una stessa opera del grande filosofo ebreo, “De sobrietate” 9-11 e 55-57. Quindi, possiamo ritenere che anche altri elementi caratteristici del pensiero di Filone sull’uomo celeste e l’uomo terrestre facessero parte della visione religiosa degli “uomini spirituali”, e che Paolo pensasse a questi ultimi quando argomenta contro questi punti.
Il corpo era un punto fondamentale di disaccordo tra uomo celeste e uomo terrestre. La sapienza posseduta dal primo gli rivelava che «il corpo è cattivo per natura e insidioso nei confronti dell’anima» (“Legum allegoriae”, 3,71), mentre l’uomo terrestre è «un amante del corpo» (“Leg. all.”, 3,74). Se il corpo è «un’insidia contro l’anima, un cadavere e una cosa sempre morta» (“Leg. All.”, 3,69), è naturale dedurne che gli “uomini spirituali” fossero coloro che negavano la risurrezione (1 Cor. 15,12). La morte, dal loro punto di vista, era una liberazione dal peso e dalla contaminazione del corpo (“De Somniis” 148). L’idea di ritrovare il corpo dopo la morte sarebbe stata insensata. Quindi, è fortemente improbabile che gli “uomini spirituali” avessero accettato la predicazione di Paolo su Gesù risorto, secondo il senso che egli intendeva. Forse essi lo consideravano come un “Signore della Gloria” puramente e semplicemente spirituale (1 Cor., 2,8). In realtà, essi non avevano alcun senso del Gesù storico, e il loro atteggiamento nei suoi confronti in effetti arrivava a dire: «Maledizione a Gesù!» (1 Cor., 12,3). Il loro orientamento spirituale ne faceva dei teisti, e Paolo, ogniqualvolta si misurava con loro, doveva ricordare l’importanza di Gesù Cristo (1 Cor. 2,16; 3, 23; 8,6; 10,16;15,3-5). Se associamo il disprezzo del corpo tipico di Filone con la sua affermazione che «solo l’uomo sapiente è libero» (“De posteri tate Caini” 138) e che quindi «ha il potere di fare tutto e di vivere come vuole» (“Quod ominis probus liber sit” 59) comprendiamo da dove vengano gli slogan dei Corinzi: «Tutto mi è permesso» (1 Cor. 6,12; 10,23) e «Qualsiasi peccato l’uomo commetta sta fuori del corpo» (1 Cor. 6,18). La convinzione dell’irrilevanza morale del corpo pota gli “uomini spirituali” a indulgere nei loro appetiti sessuali (5,1-8; 6,12-20) e a mangiare tutto quello che volevano (8-10).
L’importanza che alcuni corinzi attribuivano alla glossolalia (1 Corinzi, 12-14) appartiene allo stesso schema di comportamento. E questo lo comprendiamo quando leggiamo che per Filone il possesso dello spirito profetico si esprimeva nell’estasi e nella follia ispirata, dato che «l’intelletto in noi è allontanato dal momento in cui arriva lo spirito divino» (“Qui rerum divinarum heres sit” 264-265). Parlando del dono delle lingue, Paolo evoca esplicitamente la “follia” (14, 23) e l’inattività della mente (14,14). Un parlare misterioso e incomprensibile rafforzava la convinzione degli “uomini spirituali” di essere superiori. In altre parole, gli “uomini spirituali” erano all’origine dei problemi affrontati in 13 dei 16 capitoli della 1 Corinzi.
Apollo, il convertito alessandrino di origine ebraica, era stato ovviamente il canale tramite il quale l’impostazione filosofica di Filone aveva raggiunto la comunità. Tuttavia, quello che egli aveva detto e quello che i suoi seguaci avevano capito non coincidevano necessariamente. Se avevano compreso così malamente il pensiero di Paolo, è anche improbabile che avessero compreso Apollo in maniera corretta. Di sicuro Paolo se la prende con le implicazioni pratiche della loro interpretazione di Apollo, e non con la personalità o l’insegnamento di quest’ultimo (16,12). Anzi, non è impossibile che Apollo avesse lasciato Corinto e fosse andato a vivere con Paolo a Efeso, proprio perché costernato dall’utilizzo che si faceva del suo insegnamento.
Il padre O’Connor, a dire il vero, prosegue la sua monografia, per pagine e pagine, accusando san Paolo di assoluta mancanza di carità: di essere stato troppo duro con gli uomini spirituali e di aver distorto intenzionalmente il loro pensiero a fini retorici, in modo da renderlo grottesco e più facilmente confutabile. Sono critiche, queste sì, gratuite e ingenerose, specie dopo aver mostrato egli stesso, con molta precisione filologica, quanto fosse grave e potenzialmente pericolosa la deviazione dottrinale e pratica dei sedicenti uomini spirituali. Se Paolo o chi per lui non fosse energicamente intervenuto (e proprio O’ Connor suggerisce che forse il suo intervento fu sollecitato dal medesimo Apollo, il quale aveva perso il controllo della situazione e aveva visto gravemente frainteso il suo insegnamento), la chiesa di Corinto, e forse, sulla sua scia, anche altre comunità cristiane, sarebbe andata completamente alla deriva, trascinata dalla corrente fangosa di un’eresia di eccezionale gravità. Un’eresia che negava la bontà originaria del creato, la risurrezione di Gesù (e dunque la sua incarnazione), la risurrezione della carne; e che alimentava o tollerava ogni sorta di disordini sessuali facendo del corpo, «tempio di Dio e membra di Cristo», uno strumento di lascivia e di prostituzione.
In verità, l’asprezza delle censure che padre O’Connor rivolge a san Paolo ricorda quelle che altri studiosi cattolici hanno rivolto a san Pio X per la severità da questi usata contro gli eretici modernisti, scomunicati con l’enciclica Pascendi del 1907. In entrambi i casi, assistiamo a un’evidente e non del tutto innocente sottovalutazione della minaccia oggettivamente rappresentata dalle tendenze ereticali per la vita della Chiesa e per il bene delle anime. Mostrarsi concilianti nei loro confronti sarebbe stata la stessa cosa che mostrarsi blando, per un chirurgo, nei confronti della cancrena che rischia di condurre a morte il paziente: non si può temporeggiare o usare la mano leggera quando solo un intervento tempestivo e quanto mai energico può scongiurare un esito fatale. È chiaro, da quanto abbiamo detto, che la matrice del vantato spiritualismo dei Corinzi ammoniti da san Paolo era di natura prettamente gnostica; che la loro interpretazione del Vangelo negava alcune delle verità essenziali della Rivelazione cristiana; che pretendeva di sottomettere i misteri della teologia sacra alla cultura profana e alla filosofia alessandrina; e infine che praticava sfacciatamente e impunemente un sistema di vita disordinato e profondamente ipocrita, fondato su una doppia morale.
Che altro avrebbe dovuto fare san Paolo, se non ammonire, mettere in guardia, esortare, scongiurare che i Corinzi non si lasciassero fuorviare da simili aberrazioni?
Lo fece con eccessiva severità? A noi non pare; gli uscì anzi dalla penna, in quella occasione, il più bel canto ad esaltazione della carità cristiana (13,1-13):
1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
4 La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
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