“La leggendaria Route 66, diventata la strada dell’aborto”. Tra vaga spiritualità e fede; tra voci e Verbum
Oct 18, 2024Un cartellone sulla Rt. 66 pubblicizza l’aborto legalizzato a New York nel 1971, nel periodo in cui l’aborto era legale solo in alcuni Stati.
Dal giugno 2022, quando la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade, lasciando la regolamentazione dell’aborto ai governi locali, in 26 Stati americani l’accesso all’aborto è stato vietato (in 14 Stati) o ridotto. Oggi il Paese è un mosaico di Stati dove si può o non si può abortire. In Texas, Stato a maggioranza repubblicano, abortire è fuorilegge. Oltre il confine occidentale, il democratico New Mexico è divenuto la mèta delle donne texane che mirano ad abortire per una gravidanza non voluta.
Erika Ferguson – esponente di una “chiesa” protestante, più definibile come “setta” – ha rilasciato un’intervista alla Radiotelevisione svizzera (RSI), affermando d’aver praticato due aborti, uno a 14 e uno a 18 anni, ed esprimendo la convinzione che, addirittura, le abbiano «salvato la vita». Per questo da tre anni ha creato il “The Tubman Travel Project”, un programma per consentire alle donne texane di volare fino in New Mexico dove l’aborto è legale. Tutte le spese di viaggio per aggirare il divieto statale sono pagate da finanziatori privati. Da quando il Texas ha inasprito (a fine 2021) e poi vietato (con la sentenza Dobbs) l’aborto, Erika ha accompagnato più di 400 donne in quello che per lei «è un viaggio della speranza». I giornalisti della RSI le hanno chiesto se ciò non fosse in conflitto con la religione e lei ha risposto: «No, non è in conflitto con la spiritualità, credo profondamente che il divino voglia che noi siamo libere».
La religiosità non è la fede; il principe del Mondo non è il Signore
A ben vedere la contraddizione invece c’è eccome. La domanda però è stata formulata male: non si tratta di sapere se queste azioni siano o meno in conflitto con una vaga spiritualità o religiosità, ma se lo siano con la fede e la morale. Il cristianesimo non è una semplice “spiritualità”, ma una fede vissuta, cioè un incontro tra Dio e l’uomo per mezzo di Cristo. Se questo incontro non avviene, il cristianesimo si riduce ad una semplice idea, fatta di doveri senza senso, in cui si adora un falso dio, sconosciuto e, in fondo, assente.
Papa Giovanni Paolo II fu esplicito a riguardo nell’udienza generale del 5 giugno 1985: «Sullo sfondo di una vasta comunione in valori positivi di spiritualità e di moralità, si delinea anzitutto il rapporto della “fede” con la “religione” in genere, che è una particolare componente dell’esistenza terrena dell’uomo. L’uomo cerca nella religione la risposta agli interrogativi che turbano profondamente il suo cuore: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e il fine del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte e in diverso modo stabilisce il proprio rapporto col “mistero che circonda la nostra esistenza”. Ora le diverse religioni non-cristiane sono innanzitutto l’espressione di questa ricerca da parte dell’uomo, mentre la fede cristiana ha la propria base nella rivelazione da parte di Dio. E in questo consiste – nonostante alcune affinità con altre religioni – la sua essenziale diversità nei loro riguardi».
La fede comporta la libera e razionale adesione dell’uomo a Dio che rivela la Verità e alla Verità che egli rivela. Al contrario, la religiosità può benissimo limitarsi a un fatto puramente umano e come tale riguardare una “verità” relativa e mutevole.
Questa distinzione è importante da sottolineare per dare un peso alle parole. La Parola deve essere intesa come “Verbum” per avere un senso che dia una direzione; ridurla ad un semplice significante che può assumere sensi diversi a seconda dei contesti, non porta che alla disperazione e alla confusione. Purtroppo, è ciò che è successo in alcune sette “cristiane”.
Leggendo i principi ispiratori della setta di cui fa parte l’attivista abortista, si nota come i valori cristiani siano presenti ma con un senso totalmente falsato:
1. Il valore e la dignità intrinseca di ogni persona; 2. Giustizia, equità e compassione nelle relazioni umane; 3. L’accettazione reciproca e l’incoraggiamento alla crescita spirituale nelle nostre congregazioni; 4. Una ricerca libera e responsabile della verità e del significato; 5. Il diritto di coscienza e l’uso del processo democratico all’interno delle nostre congregazioni e nella società in generale; 6. L’obiettivo di una comunità mondiale con pace, libertà e giustizia per tutti; 7. Il rispetto per la rete interdipendente di tutta l’esistenza di cui siamo parte.
Due osservazioni fondamentali su questa lista: innanzitutto non si nomina mai Dio, né altro in relazione al divino (strano per una setta che si dà il nome di “chiesa”); in secondo luogo, è da notare l’ordine in cui appaiono questi principi e ciò a cui fanno riferimento. Si inizia dalla persona, si passa alle relazioni umane, poi alle congregazioni, appare solo allora la questione della verità e del significato, si ritorna poi alla società per concludere con la comunità mondiale ed estendere il tutto all’esistenza umana. Insomma, si procede dal particolare all’universale rimanendo però sul piano prettamente umano, con una prospettiva “mondanizzante”, pur affermando per contrasto “il valore e la dignità intrinseca di ogni persona”. Ora, in questo contesto, i principi che, tra gli altri, destano più preoccupazione sono il quarto e il quinto: una ricerca libera e responsabile della verità e del significato, che però passa attraverso l’attuazione di un “processo democratico”. Questi principi si pongono in contraddizione rispetto alla vera fede: questa “chiesa” sostiene l’uomo nella ricerca libera (ossia “relativa”) e responsabile (altro modo per dire “egoistica”) di una presunta verità stabilita dalla maggioranza. Ecco dov’è il problema: non adesione dell’intelletto ad una Verità che preesiste all’uomo stesso, bensì promulgazione autonoma di un’altra verità, sulla base dell’ideologia.
Insomma, in questa sedicente chiesa americana e per questa attivista “Dio è morto”, come direbbe il nichilista Friedrich Nietzsche (1844-1900). Tuttavia, se “muore” Dio, muore il senso della parola, muore l’uomo e quel che è peggio, muore anche chi tra gli esseri umani non può ancora parlare.
Tra tutti i diritti, solo uno conta: quello alla Vita
Tanti osservano quel viavai quotidiano all’esterno delle cliniche di Albuquerque e tra questi ci sono anche i militanti pro-Life, assiepati sul marciapiede vicino alla struttura. Tra di loro c’è il giovane Mark Lee Dickson. «Quella che una volta era la leggendaria Route 66» – dice – «è divenuta la strada dell’aborto». Il 70% delle donne che abortiscono in New Mexico viene dal “Gigante”, dal vicino Texas. Mark Lee confida in un divieto federale di abortire e in ottica elettorale sembra non nutrire dubbi: «Donald Trump può essere il Presidente giusto, può essere in grado di porre fine all’olocausto americano dell’aborto». L’attivista Erika non la pensa come lui: «Non cambierà nulla dopo le elezioni. Se qualcosa cambierà lo farà lentamente, con il tempo, con i cuori e con le menti. E fino ad allora, conclude, dobbiamo trovare un modo per portare le donne alla libertà riproduttiva che meritano». E un bambino… merita di essere ucciso? Le bambine che un domani saranno donne possono essere eliminate purché siano ancora nella pancia della mamma?
Lo status quo non soddisfa nessuno, neppure in New Mexico. Ad Albuquerque ci sono cinque cliniche che praticano l’aborto, in tutto lo Stato sono undici. Tre anni fa ce n’erano solo tre. «È un business», afferma Michael Seibel, avvocato conservatore e militante pro-Life. «Nel 2020 avevamo circa 4.000 aborti in New Mexico. Dopo la sentenza della Corte Suprema siamo saliti a quasi 25.000. Siamo divenuti uno Stato di turismo dell’aborto». Ma nutre più di un dubbio sulla volontà di Donald Trump di cambiare qualcosa. «Donald Trump sta permettendo agli Stati di legalizzare l’aborto uno dopo l’altro», spiega Seibel, «e io come leader pro-Life del New Mexico fatico a capire la sua posizione, cambia continuamente idea».
A novembre, se qualcosa cambierà sarà soprattutto a livello statale: in ben dieci Stati – tra cui anche Arizona e Nevada, due “Swing States” – si voterà per aumentare o ridurre il presunto “diritto” all’aborto. Ci sarà un grande vociare confuso, pochi forse ascolteranno quel sussurro silenzioso degli innocenti che subiscono la decisione della madre di porre fine alla loro vita senza aver avuto nemmeno il tempo di pronunciare una volta con la piccola boccuccia la loro prima parola: “Mamma”.
Anna Chialva
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