La lezione di Giovanni Paolo II: così la democrazia si trasforma in totalitarismo
Feb 02, 2022Il rifiuto di Dio e l’errore antropologico che dimentica la dignità, trascendenza e libertà della persona sono alla base del fallimento della democrazia. Così potere opportunista e interessi politici trasformano la democrazia in totalitarismo che dimentica i diritti umani (primariamente il diritto alla vita) e il bene comune nel nome del progresso tecnico-economico.
di Miguel Cuartero Samperi
Il 1 maggio del 1991, nel centenario della promulgazione dell’Enciclica Rerum Novarum, di papa Leone XIII sulla dottrina sociale della Chiesa ed in particolare sulla “questione operaia”, papa Giovanni Paolo II volle pubblicare un’enciclica per «proporre una “rilettura” dell’Enciclica leoniana» , invitando non solo a riscoprirne la ricchezza che rappresentò un secolo prima, ma invitando a riflettere sulle “cose nuove” e su quelle future che, all’alba del terzo millennio rappresentavano allo stesso tempo “incognite e promesse”.
Così il papa polacco proponeva un’Enciclica, intitolata Centesimus Annus, che guardava al passato ma soprattutto «protesa verso il futuro» consapevole che il ruolo della Chiesa non è quello di favorire l’uno o l’altro sistema politico o economico ma di «difendere l’uomo dallo sfruttamento economico e dalla tirannia dei sistemi totalitari» e di accompagnarlo «nel cammino terreno verso il destino eterno».
È in virtù di questa sua missione che la Chiesa «ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali» e si impegna dunque ad «indicare la retta via per rispondere alle grandi sfide dell’età contemporanea», consapevole che «non c’è vera soluzione della “questione sociale” fuori del Vangelo» che offre uno spazio di verità e una dovuta impostazione morale.
Come lo sperimentiamo con chiarezza oggi di fronte al dilagare delle nuove ideologie, Giovanni Paolo II sottolinea che «l’errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell’organismo sociale, di modo che il bene dell’individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d’altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male.
Allo stesso tempo il papa polacco afferma con chiarezza che alla base di un’errata concezione della natura della persona e della società c’è l’ateismo: «la negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona». L’ateismo – che sta alla base del razionalismo illuministico – nega «l’intuizione ultima circa la vera grandezza dell’uomo, la sua trascendenza rispetto al mondo delle cose, la contraddizione ch’egli avverte nel suo cuore tra il desiderio di una pienezza di bene e la propria inadeguatezza a conseguirlo e, soprattutto, il bisogno di salvezza che ne deriva». Così l’ateismo e il disprezzo della persona umana «fan prevalere il principio della forza su quello della ragione e del diritto».
Nel quinto capitolo dell’enciclica, intitolato Stato e Cultura, Giovanni Paolo II propone una riflessione su potere, libertà, democrazia e totalitarismo; una riflessione che a trent’anni di distanza è estremamente attuale e che può certamente trovare riscontro nell’odierno panorama politico mondiale, europeo e italiano.
Riproponiamo alcuni paragrafi (44, 46-47) che ci sembrano molto utili per riflettere sui tempi che siamo chiamati a vivere.
[…]È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello «Stato di diritto», nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini.
A questa concezione si è opposto nel tempo moderno il totalitarismo, il quale, nella forma marxista-leninista, ritiene che alcuni uomini, in virtù di una più profonda conoscenza delle leggi di sviluppo della società, o per una particolare collocazione di classe o per un contatto con le sorgenti più profonde della coscienza collettiva, sono esenti dall’errore e possono, quindi, arrogarsi l’esercizio di un potere assoluto. Va aggiunto che il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. Allora l’uomo viene rispettato solo nella misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un’affermazione egoistica. La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla (…).
La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità. Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.
Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o fondamentalismo, di quanti, in nome di un’ideologia che si pretende scientifica o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e del bene. Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell’uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà.
Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cf Gv 8,31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell’esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della ragione.
Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e «di sicurezza nazionale», si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell’ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l’esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.
Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell’aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.
fonte: https://www.sabinopaciolla.com/la-lezione-di-giovanni-paolo-ii-cosi-la-democrazia-si-trasforma-in-totalitarismo/
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