La via fiorita
Jan 25, 2023di Francesco Lamendola
Non è sempre lieta e fiorita la via che dobbiamo percorrere dalla nascita alla morte; a volte è spinosa, irta di cardi e sassi aguzzi, umida e scivolosa.
L’uomo è la sola specie vivente che abbia ricevuto un dono straordinario, che quasi gliela fa raddoppiare. Non solo una vita da vivere, ma anche una vita da osservare, da giudicare, della quale stupirsi.
Fino a quando la religione è stata un fattore vitale, tutti ne eravamo consapevoli: non c’era azione che non fosse seguita da una riflessione, né decisione che non fosse accompagnata da un’attenta valutazione; e la giornata si concludeva con piccolo esame di coscienza.
Oggi sono pochissime le persone che osservano e valutano la propria vita, anche indipendentemente dal fattore religioso. Sono talmente proiettate nel presente che non avanza loro tempo per osservare, né se stesse, né il mondo.
Eppure, sapersi osservare è un grande privilegio. Guardarsi dentro onestamente, senza barare al gioco; non osservarsi per apprendere la triste arte di camuffarsi meglio. Al contrario, per mettersi sempre più a nudo dinanzi a se stessi.
Attenzione. Non stiamo parlando della tendenza all’introspezione esasperata, morbosa, delirante, che paralizza la vita e rende simili all’uomo del sottosuolo di Dostoevskij. Stiamo parlando della sana e normale capacità di guardarsi, valutarsi e ponderare adeguatamente prima d’intraprendere una decisione.
E soprattutto della capacità, tipica dell’infanzia, e che raramente sopravvive nell’adulto, di stupirsi, di provare l’esaltante sentimento della meraviglia. Stupirsi di una cosa equivale a raddoppiarla, triplicarla, moltiplicarla all’infinito: scoprire che non è mai la stessa, non è mai prevedibile, ma sempre ci riserva la possibilità d’infinite sorprese. E che questa potenzialità risiede in noi, non in lei.
Non è quella vecchia casa di periferia col suo giardino rinselvatichito ad incantarci, ma le mille possibilità che l’immaginazione prende a pretesto da essa per sollecitare con la fantasia il nostro senso dell’avventura. E non è quel soldatino di piombo, di terracotta o di plastica dipinta, che ora, infatti, ritrovato in un vecchio scatolone, ci dice ben poco: sono le cento storie delle quali può essere protagonista, mentre l’erba del prato è divenuta una savana e la siepe di bosso una impenetrabile foresta verticale. E come mai una scatola di burattini può diventare lo scrigno magico dal quale fuoriescono storie, personaggi, brividi ed emozioni all’infinito?
Siamo noi a fare la differenza fra la via fiorita e la via squallida e banale: perché non c’è squallore o banalità quotidiana che possano tener lontani i colori del cielo, la forma delle nuvole, e quel respiro di terra nuova che si leva in primavera, dopo la pioggia; o quel presentimento dell’inverno che sta per finire e che presto la terra si risveglierà, frustandoci amabilmente il viso con le ultime ventate che hanno già in sé il profumo fresco delle cose nuove.
Certo, l’immaginazione aiuta, ma non basta. Le spine ci sono. Ci sono le care cose di un tempo, che se ne vanno ad una ad una; e anche le persone. I nonni per primi, poi i genitori, qualche volta i fratelli e gli amici se ne vanno, non si sa bene dove, per il loro lungo viaggio solitario, dove neppure tutto il nostro amore li può accompagnare. L’ultimo saluto ai loro volti freddi, ormai distaccati, che già guardano altrove e che mai più ci potranno rispondere, non fisicamente almeno, è l’esperienza più amara in assoluto nel corso di un cammino che mai ad alcuno, neanche ai più fortunati, può risparmiare simili prove, magari precedute dal dolore impotente di vederli soffrire a lungo, senza poter fare nulla per dar loro sollievo.
Poi ci sono le delusioni, i tradimenti, le aspettative mancate, i sogni irrealizzati, i desideri inespressi e mai giunti a rivelarsi apertamente. Le parole necessarie che non furono mai dette. I gesti indispensabili che non vennero compiuti; neppure i più semplici ed essenziali. I sorrisi negati, gli sguardi vuoti ed assenti, i silenzi ingrati, carichi d’indifferenza. A volte, fermandosi a ricapitolare i momenti essenziali della propria vita interiore – lasciamo perdere quella pubblica, che può essere falsamente brillante, come un gioiello contraffatto – ci si accorge di quante note stonate, di quante risposte inadeguate, di quante banali forme di superficialità ed egoismo è intessuta. Di quante volte ci siamo avvicinati al dunque, o almeno abbiamo sfiorato, forse senza saperlo né vederlo chiaramente, al centro del nostro cuore, dei nostri veri sentimenti, del nostro profondo bisogno d’essere illuminati dalla grazia divina. E di quante occasioni abbiamo mancato, quanti appuntamenti col destino abbiamo sprecato; quanto spesso ci siamo comportati come piccoli, astuti topolini eternamente ghiotti di formaggio, ma egoisti, ma vili, sempre pronti a lasciare la nave al primo indizio che forse potrebbe affondare; sempre tutti presi dai casi nostri, dalle nostre vanità piccole e grandi, dalle nostre ambizioncelle, dalla nostra puerile smania di apparire, di far colpo, di sembrare più di quel che siamo, di valere ben più di quanto in realtà valiamo; di apparire pesanti come l’oro e invece di essere così leggeri, così dozzinali, da restare sempre a galla, su qualunque onda, come latte di plastica.
Eppure la strada è fiorita, è sempre fiorita, se noi alla fine ne impariamo il segreto: che è quello di gettar via il superfluo, di lasciar andare tutta la zavorra, e di concentrarci esclusivamente sull’essenziale. L’essenziale è l’amore di Dio che ci brucia il cuore e ci richiama continuamente sulla via fiorita, anche quando noi, accecati dalla nostra follia, ce ne allontaniamo per percorrere i viali ampi ed invitanti della perdizione, sedotti e ingannati da mille fantasmi, da mille false apparizioni, presi all’amo come stupidi pesciolini dall’esperto e spietato pescatore, che se ne sta sempre lì, sulla riva, ci alletta coi suoi sorrisi e le sue false promesse, e non aspetta altro che di trascinarci alla rovina. E quante volte abbiamo ignorato i buoni insegnamenti delle persone care e di quelle che erano migliori di noi; le abbiamo perfino derise, ci siamo permessi di mancar loro di rispetto quando avremmo dovuto gettarci ai loro piedi, con il cuore colmo di gratitudine, e far tesoro di ogni loro parola. E quante volte siamo stati ciechi e sordi ai suggerimenti, alle implorazioni dell’Angelo Custode; quante volte abbiamo perfino disprezzato la voce dei Santi, della Vergine dolcissima, del Signore Gesù. Troppo gonfi di sapienza mondana, di brame carnali, di avarizia e d’invidia; talmente sovraccarichi di miraggi da non vedere più la differenza con le cose reali, con la giusta rotta da seguire.
La strada fiorita è sempre stata qui, davanti ai nostri piedi: gli Angeli del Signore ce l’hanno preparata fin dall’istante del nostro concepimento. Quando siamo nati, da nove mesi essi erano impegnati a coltivarla, irrigarla, togliere da essa il più piccolo sasso sul quale avremmo potuto inciampare e cadere. Non che cadere sia un male, in sé e per sé: anzi, è proprio dalle cadute che s’impara a camminare meglio, e a fare più attenzione nel porre avanti il piede. Ma neppure vivere cadendo di continuo è una cosa che va bene. Noi dobbiamo imparare a non cadere, non dobbiamo ruzzolare in terra ogni volta con la scusa della nostra fragilità. Perché è vero che siamo fragili, ma la nostra fragilità ci è stata data affinché impariamo a misurare le nostre forze, a non voler fare il passo più lungo della gamba. La nostra fragilità non deve diventare un alibi, una scusante per ogni genere d’imprudenza.
Il nostro destino non è quello di cadere di continuo; né di lamentarci e piangerci addosso; e neppure quello di rimandare eternamente le scelte giuste, di scansare sistematicamente i fastidi inevitabili e necessari, di aggirare ogni difficoltà o scappare davanti ad essa; e meno che mai quello di scaricare i nostri pesi sugli altri, i nostri doveri sugli altri, e gravare le spalle degli altri con tutti i fardelli di ciò che a noi in realtà non serve, ma da cui non vogliamo né sappiamo liberarci, come bambini capricciosi e viziati. Il nostro destino non è quello di compatirci o di farci compatire, né di cercare qualche Cireneo al quale gettare addosso la nostra croce, perché ciascuno ha già la propria da portare, ed è un peso più che sufficiente per stancare le forze anche dei più robusti. Dobbiamo imparare a stringere i denti e a portare la nostra croce in silenzio; se possibile, addirittura col sorriso. Vi sono persone dall’animo semplice, ma generoso, che ne sono capaci, anche per tutta la vita; perché non dovremmo provarci anche noi?
Certo, non con le nostre sole forze.
Le nostre forze valgono poco: sono calibrate per questo mondo materiale, cioè per gli sforzi di minore importanza. Sforzi che, non di rado, la tecnologia può risolvere al posto nostro: segno che non si tratta di chissà quali impegni, anche se si trattasse di estrarre in istante la radice quadrata di un numero di ottomila cifre.
La cosa peggiore che possa capitare è quella di non riconoscere più affatto la strada fiorita, di percepirla come un tunnel buio e angoscioso, con gli angoli tutti storti e innaturali, come in un film espressionista. Ciò può accadere quando ci si lascia invadere interamente dalle forze del male. Allorché ci si trova in quello stato, alla loro mercé, il vero diventa falso e la menzogna appare veritiera; anche il brutto diventa bello e viceversa. L’ìanima è immersa in una tale confusione ed è in preda a suggestioni così innaturali da ritenere, per trovare una qualche forma di sollievo al suo profondo malessere, di doversi inoltrare sempre più sulla strada ampia e comoda che porta all’inferno, e dove non ci sono fiori, perché ogni fiore è il pensiero gentile di un piccolo angelo ed è fiorito per allietare la via e ristorare le forze di quanti, pur camminando con i piedi piagati per la stanchezza, sono diretti verso la luce.
Il mondo del buon Dio è un mondo di luce e di calore; per questo le forze del male si appiattiscono contro i muri, strisciano nei fossi, per tenersi nascoste, vergognose della loro orrenda laidezza che, se fosse vista in piena luce, farebbe fuggire terrorizzati anche i più spavaldi. Purtroppo sono ormai molte le anime che si trovano in una simile condizione: sono schiere innumerevoli, forse addirittura la maggioranza. Fuorviate sin da giovani da abitudini sbagliate, abituate a vedere e giudicare il mondo alla rovescia, costruiscono la propria infelicità e la propria rovina giorno dopo giorno, come manzi avviati al mattatoio. E il contrasto fra la loro artificiale allegria, fra la loro spavalda brutalità, e il destino verso cui sono dirette, forma un contrasto raccapricciante. È penoso e angosciante non poter far niente per aiutarle; ma forse qualcosa si può fare: pregare e non stancarsi di seminare buoni esempi. Ma le parole servono a poco, è come se un muro di cemento armato le tenesse prigioniere, separate da noi; anche se urlassimo con tutta la nostra voce, probabilmente non ci udrebbero. Però un gesto può essere più eloquente di mille parole. Forse con tanti piccoli gesti d’amore si possono salvare molte di queste anime e sottrarle al loro destino, proprio quando sono ormai quasi sospese sull’abisso.
È giunto il tempo di parlar chiaro. Il mondo ha scelto le tenebre e rifiutato la luce. Gesù è venuto per salvare il mondo, ma i figli delle tenebre non l’hanno voluto e continuano a rifiutarlo, a odiarlo, a combatterlo, dopo duemila anni. È troppo tardi perché questa civiltà demoniaca cambi strada; è troppo tardi per recuperare il giusto orientamento. Le anime sono impazzite, ebbre di piaceri e di miraggi di felicità terrena, che conducono direttamente alla perdizione. Bisogna conservare un piccolo resto. Bisogna tornare a insegnare, a pregare, ad agire, a vivere come si viveva un tempo neanche tanto lontano, quello dei nostri nonni: con l’amore e il timore di Dio. Bisogna ricominciare a farsi l’esame di coscienza, a impegnarsi nel fare il bene, non mentire, non invidiare, non calunniare, non desiderare ciò che è degli altri, onorare il padre e la madre e render sempre grazie a Dio. Bisogna restare strettamente uniti a Lui, come la vite ai tralci: sono le sue parole, e le sue parole sono Parole di verità e di salvezza
Dobbiamo dare i buoni esempi soprattutto ai bambini, rieducare i bambini spogliandoli delle cattive abitudini del consumismo e degli oggetti tecnologici diseducativi, che rubano loto l’anima, insieme alla creatività e all’immaginazione. I bambini. Non dobbiamo renderci complici di questo scempio. Dobbiamo proteggerli, sempre: dal concepimento in avanti. Gesù amava i bambini perché sono la speranza del futuro.
E ai discepoli che li sgridavano, perché correvano in frotta da Lui a farsi benedire, che forse era stanco per la faticosa giornata (Mt 19,13-15):
13Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. 14Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli». 15E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.
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