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Le mamme di famiglie numerose che sfidano le culle vuote

catherine ruth pakaluk il timone paola belletti May 07, 2024

di Paola Belletti

Prima di una grande impresa siamo abituati, e saggiamente, a ragionare su un preventivo. Ma alla fine quasi sempre i tempi, i costi e spesso anche il risultato superano di gran lunga le attese. Succede così per la costruzione di una casa nuova, dove questo arrotondamento per eccesso non è sempre gradito, figuriamoci per la “costruzione” di una famiglia, soprattutto se volontariamente ricca di figli. Si parla di un minimo di cinque, questo è il numero di bambini messi al mondo dalle 55 famiglie intervistate da Catherine Ruth Pakaluk, cattolica americana a sua volta moglie e madre di otto figli, autrice del libro I figli di Hannah: le donne che sfidano silenziosamente la scarsità di nascite. Il quadro che emerge dalle oltre 400 pagine del testo, riporta un articolo di commento su mercator.com, è fatto di colori intensi, orizzonti profondi e un gran numero di mani e piedini paffuti. Sì, ci sono molti figli, ma ci sono sempre anche padri presenti vicino a donne di diversa etnia e credo religioso, tutti accomunati dalla percezione di un significato trascendente legato alla nascita dei figli e alla vocazione familiare.

Ciò che la stessa autrice sottolinea nella sua indagine è il peso che ha in queste famiglie, piccolo ma robusto argine al suicidio demografico americano, la questione dello scopo, dell’orizzonte di senso entro il quale si decide di mettere al mondo tanti figli, un indicatore totalmente ignorato dalle classiche indagini sulla fertilità e drammaticamente disatteso dalle politiche per incentivare la natalità. Non sono tutti cattolici, alcuni sono ebrei, altri evangelici, altri ancora mormoni. Comune a tutti è però il solido fondamento religioso che sostiene la decisione di accogliere molti figli e l’impegno costante che richiede la loro cura ed educazione. Anche se dovrebbe, l’essere cattolici non significa garanzia di apertura alla vita se, come sottolinea l’autrice,  la maggior parte delle donne cattoliche «oggi usa il controllo delle nascite “più o meno allo stesso ritmo di tutti gli altri”». Inoltre nota con rammarico di non aver mai sentito un’omelia nella sua chiesa «sul valore di avere figli». Purtroppo siamo piuttosto d’accordo con lei anche al di qua dell’Atlantico; uno dei tre mea culpa del Confiteor, forse, si potrebbe orientare a questa particolare omissione?

Non è l’ironia e nemmeno lo sconforto ad accompagnare le pagine che raccolgono le testimonianze di queste famiglie: piuttosto «il risultato è uno scrigno di riflessioni, gioioso, esuberante, vivificante – ricco di importanza per la società e per la nostra civiltà nel suo insieme». Per Esther, ebrea madre di nove figli, ciò che ostacola tante donne rispetto a una maternità non troppo small, è l’eccesso di razionalità, che limita altre modalità altrettanto ragionevoli di «espansione della propria vita». Per Hannah, tornata alla fede ebraica insieme al marito dopo un periodo di crisi e ricerca, «il matrimonio significa figli». Sono loro che tessono un legame tra passato e futuro, sono loro «questa chiave per l’infinito… questa catena dell’infinito». Un’altra delle 55 donne incontrate, Kim, è evangelica ed è madre di ben 12 figli. Un numero preterintenzionale come sovrabbondante è la gioia che dice di sperimentare: «non avevo previsto un numero così elevato, ma ci siamo semplicemente innamorati dei bambini».

Un’eccezione che nei paesi occidentali mette in drammatico risalto il vero fattore di sostenibilità delle nostre civiltà, quello demografico: si sta infatti verificando «l’esatto opposto della profezia funesta e molto ripetuta di un’imminente esplosione demografica», il vecchio ragionamento malthusiano già smentito – oltre che dalla realtà dei fatti –  da una scienza sensibilmente più rigorosa di quella applicata dal pensatore settecentesco. Ciò che qualsiasi famiglia con almeno tre figli potrà confermare è che avere tanti fratelli moltiplica le risorse e riempie la vita, anche se è naturale che sia necessario fare dei sacrifici sul fronte materiale: «Rosalie, con nove figli, commenta in un’osservazione ripresa dalle altre madri, che avere molti fratelli è una buona cosa: “Non hai bisogno di cose. Avete solo bisogno l’uno dell’altro… Essendo una grande famiglia, lavoriamo davvero insieme”» . Per tutti gli intervistati le variabili in gioco sono tante e non tutte nelle loro mani e la cosa è fonte di serenità dal momento che le altre mani sono quelle della Provvidenza. È per questo motivo che June, madre di otto figli, può affermare con certezza di vedere la vita in modo diverso proprio grazie a loro.

Nessuna di loro dice che sia una passeggiata, nessuna considera chi sceglie di avere meno figli come una fallita; tutte sono concordi nel riconoscere nell’attuale società e nei suoi dogmi più o meno espliciti degli ostacoli alle grandi potenzialità delle donne (ma anche degli uomini) e sono dispiaciute per la quota di bellezza e avventura che tante di loro si perdono. Di sicuro la diffusione non solo materiale ma soprattutto culturale della contraccezione ha contribuito a spostare la percezione della maternità e dei figli da un’idea di dono e benedizione a quella di esito di un calcolo. Il figlio diventa un progetto all’interno di un piano di vita intesa sempre meno come vocazione e sempre più come autorealizzazione.
Dicevamo: i preventivi, alla fine, non sono fatti apposta per essere rivisti, superati o, in casi estremi, usati come carta per accendere il fuoco? (Fonte foto: Pexels.com)

FONTE : IL TIMONE

 

 

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