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Messa antica e Fraternità San Pietro, un caso aperto

Feb 24, 2022

La FSSP ha ottenuto da Francesco per decreto, fin qui non pubblicato dal Vaticano, di potersi avvalere dei libri liturgici in vigore nel 1962. Ma è una facoltà già prevista dalle sue Costituzioni e che andrebbe riconosciuta a tutti gli istituti ex Ecclesia Dei. C’è poi il nodo ordinazioni. Insomma: un po’ di respiro per il rito antico, ma il caos post TC permane.

Traditionis Custodes, per molti, ma non per tutti. Sembra questo l’esito dell’udienza privata con il Santo Padre, richiesta dalla Casa Generalizia della Fraternità Sacerdotale San Pietro, per avere delucidazioni sull’applicazione del Motu Proprio alla loro specifica realtà. La Fraternità, lo ricordiamo, è stata fondata il 18 luglio 1988, con la volontà di non aderire all’atto scismatico delle ordinazioni episcopali senza mandato pontificio, da parte di monsignor Marcel Lefebvre; una realtà che conta oggi circa 300 sacerdoti e 150 seminaristi in formazione nei due seminari di Wigratzbad, in Germania, e di Denton, nel Nebraska (USA).

Lo scorso 4 febbraio, don Benoît Paul-Joseph, superiore del distretto francese della Fraternità, e don Vincent Ribeton, rettore del Seminario di Wigratzbad si sono intrattenuti per circa un’ora con Francesco, ottenendo, secondo quanto espresso da un loro comunicato ufficiale, che «il Papa  ha tenuto particolarmente a precisare che la Fraternità San Pietro non era coinvolta dalle disposizioni generali del Motu Proprio Traditionis Custodes, in quanto l’utilizzo dei libri liturgici antichi all’origine della loro esistenza è previsto dalle loro costituzioni». Le Costituzioni della Fraternità San Pietro, approvate il 29 giugno 2003, prevedono infatti che il fine proprio venga perseguito «mediante l’osservanza fedele delle “tradizioni liturgiche e disciplinari” in conformità con il Motu Proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988, che è all’origine della propria fondazione».

In sostanza, se TC avesse interessato anche la Fraternità San Pietro, ne avrebbe comportato la soppressione di fatto, essendo l’identità della Fraternità specificamente legata ai libri liturgici precedenti la riforma. Sarebbe logico che il medesimo criterio valga anche per gli altri istituti ex Ecclesia Dei, come ha affermato il superiore del Distretto di Francia in un’intervista a Présent, ma il decreto riguarda per ora la sola FSSP.

Infatti, la FSSP ha chiesto al Santo Padre che le chiarificazioni emerse nel colloquio fossero in qualche modo formalizzate, ottenendo un decreto firmato da Francesco, nel quale viene concessa alla Fraternità «la facoltà di celebrare il sacrificio della Messa, di amministrare i sacramenti e gli altri riti sacri, e di assolvere l’Ufficio Divino, secondo le edizioni tipiche dei libri liturgici in vigore nell’anno 1962». Viene inoltre precisato che «possono avvalersi di questa facoltà nelle chiese e negli oratori propri; altrove, non li utilizzeranno se non con il consenso dell’ordinario del luogo, tranne che per la celebrazione della Messa privata».

Un decreto che sembra ridare un po’ di respiro a quanti amano il rito antico, e per certi versi è così, ma che in realtà mostra qualche problema. Proviamo ad analizzarlo con ordine. Anzitutto bisogna precisare che, ad oggi, il decreto è presente solo sul sito della FSSP: per quale ragione? Si tratta di un atto che il Papa ritiene come meramente privato? Il decreto porta la data dell’11 febbraio ed è stato ricevuto dalla Casa Generalizia il 19 febbraio: non si è ancora trovato il tempo di pubblicarlo? Oppure - terza ipotesi - si stanno sollevando delle difficoltà per la sua pubblicazione? Perché pare ormai in dirittura d’arrivo - fonti ci dicono ad inizio marzo - un nuovo decreto da parte della Congregazione guidata da Braz de Aviz, sotto la quale sono finiti tutti gli istituti ex Ecclesia Dei, a norma dell’art. 6 di TC, non proprio favorevole a questi istituti. In altre parole, il nuovo decreto potrebbe aver tolto il coltello dalla mano del sicario, e questo non è stato molto gradito (dal sicario...).

Seconda considerazione. Il decreto parla di una facoltà concessa da papa Francesco di potersi avvalere di tutti i libri liturgici anteriori alla riforma. Il punto è che questa facoltà era già stata concessa e mai revocata, dapprima con l’erezione dell’Istituto e poi con l’approvazione delle sue Costituzioni. Perché dunque concedere una facoltà mai revocata?

Una terza considerazione riguarda il fatto che comunque il decreto dell’11 febbraio deve in qualche modo convivere con TC. Ora, il Motu Proprio, all’art. 3 § 6, prevede che i vescovi non autorizzino nuovi gruppi. La FSSP si troverebbe in questo caso nella libertà di utilizzare tutti i libri liturgici in vigore nel 1962, secondo quanto disposto dal decreto, nei centri già esistenti, ma non potrebbe costituire nuovi centri Messa, perché i vescovi stessi non possono farlo.

Un altro problema non chiarito riguarderebbe le ordinazioni. È vero che il decreto prevede anche l’utilizzo del Pontificale Romanum, ma non avendo la FSSP alcun vescovo, dipenderebbe per le ordinazioni da altri vescovi. Il problema sta nel fatto che nei Responsa ad dubia dello scorso novembre, il cui valore canonico è discusso, il prefetto della Congregazione per il Culto divino, mons. Arthur Roche, aveva dichiarato che i vescovi non possono autorizzare l’utilizzo del Pontificale Romanum, nemmeno nelle parrocchie personali canonicamente erette. La proibizione vale anche per i vescovi che dovranno ordinare i seminaristi degli istituti ex Ecclesia Dei? Secondo quanto detto verbalmente e riportato nell’intervista a don Benoît Paul-Joseph, il Papa avrebbe assicurato di poter «mantenere l’uso di tutti i libri liturgici, incluso il pontificale per le ordinazioni»; e tuttavia è lo stesso superiore del distretto francese a riconoscere che sulla questione delle ordinazioni permane «una piccola zona d’ombra».

In realtà, la zona d’ombra non è proprio piccola, dal momento che mons. Roche si era espresso (vedi qui) in modo tutt’altro che favorevole, allorché, alla domanda diretta di Edward Pentin sulla possibilità delle ordinazioni in rito antico per gli istituti ex Ecclesia Dei, aveva risposto: «È stato stabilito il principio che le ordinazioni nella Chiesa latina vengano conferite secondo le indicazioni del Rito approvato nel 1968 mediante una Costituzione Apostolica». Roche chiude, Francesco riapre. E il caos avanza.

Nel decreto è poi presente una frase davvero poco comprensibile: «Fermo restando quanto detto sopra, il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, vengano ugualmente prese in considerazione le disposizioni del motu proprio Traditionis Custodes». Secondo alcuni questa raccomandazione servirebbe per rassicurare i vescovi che il decretum non intende sminuire la portata di TC. Ma davvero si fa fatica a comprendere che cosa voglia dire questa frase. Se alla FSSP viene riconosciuto il diritto di esistere secondo le proprie Costituzioni, avvalendosi perciò di tutti i libri liturgici anteriori alla riforma, è semplicemente impossibile prendere in considerazione TC, se non per alzare un lamento sulla funesta sorte dei preti diocesani e dei fedeli legati al rito antico, a cui è stato stretto il cappio in gola. La sensazione è che TC sia stato spinto con tanto zelo e poco acume e che adesso si stia cercando di capire come fare ad attuarlo nelle diverse situazioni, senza finire per contraddire sé stessi.

fonte: https://lanuovabq.it/it/messa-antica-e-fraternita-san-pietro-un-caso-aperto

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