Mettete delle fiabe nei vostri cannoni
Feb 21, 2024di Matteo Donadoni
La superficialità è una forma di autodifesa. Probabilmente non abbiamo voglia di andare a fondo nelle cose, perché in fondo temiamo che ci manchi il fiato. Forse preferiamo non vederci troppo chiaro perché potremmo rimanerne accecati. Così, riteniamo che sia molto più agevole e rilassante condurre una vita tranquilla, o tapina, al riparo dalle verità e dalle complicazioni che le asserzioni comportano. Scontri incomprensioni, frustrazioni, perdita delle amicizie, ragazze che ci chiudono il telefonino in faccia. Mostrarsi superficiali, invece, è il modo più facile per restare amico di tutti, il non prendere mai posizione ci rende piacevoli come la schiuma del cappuccino, non ci sveglia come il caffè, ma ci coccola per un minuto, così la gente preferisce farsi coccolare per un minuto, anche per finta, pur di rimanere comoda nelle proprie convinzioni. O pur di non averne.
Le convinzioni proprie sono rassicuranti, invece, i pregiudizi degli altri sono atroci ingiustizie ritenute in grado di turbare per sempre la personalità di una ragazzina. Perciò si fa ipocritamente finta di non vedere se la letteratura viene snobbata nelle scuole a vantaggio di stupidaggini post-educative, si finge di non sapere che favole e fiabe raccontano la verità solo se non vengono manipolate e rimaneggiate al fine di non urtare la sensibilità dei supposti più fragili, di non far sentire escluso qualcuno che nemmeno ci pensa o magari si esclude da sé. Ci si premura di non procurare lavate di capo all’insegnante che voglia fare il proprio mestiere.
Stare in superficie, surfare, fregandosene di cosa sia fondamentale per i più piccoli è l’atteggiamento migliore per crescere degli insicuri, fragili e disperati ragazzotti né carne, né pesce.
Per questo le Brigate Grimm rivendicano il racconto delle fiabe ai più piccoli. Lo rivendicano in qualità di strumento pedagogico sicuro nella lotta al nichilismo imperante che distrugge la fantasia, la bellezza e abortisce la metafisica. La fiaba non è solamente un investimento economico nella sanità mentale dei nostri figli, non crediamo alle favole col piglio di chi compra zucche per mettersi nel business automobilistico, come diceva Chesterton, crediamo ai racconti di fantasia in esse tramandati perché il male è la cosa più concreta che possa capitare nella vita, e come si è visto può recare con sé tutta la brutalità di una pallottola sulla strada di un bambino.
Tenere in considerazione i cosiddetti racconti per bambini non significa essere immaturi, significa prendere sul serio la vita. Prendere sul serio la vita vuol dire alzarsi la mattina senza essere chiusi alla meraviglia, attendersi che qualcosa di miracoloso possa accadere, magari non aspettarsi che l’acqua si trasformi in vino, e nemmeno che sia avvelenata dall’acido prussico. Tuttavia, potrebbe accadere. L’adulto emancipato, invece, non crede ai miracoli non perché non possano accadere, ma perché lo turbano nella piattezza della propria vita, nella routine di ciò che ha deciso essere importante.
“Per quanto pazza sia, l’opinione che le fiabe non siano accadute è tuttavia comune”, diceva Chesterton in Tremendous Trifles già nel 1909. Ciò ha comportato a lungo andare il rifiuto di raccontare le fiabe ai bambini, anzi, peggio, ha portato a corrompere le storie così come tramandate, col risultato di corrompere i cuori di chi le ascolta. Il nichilismo dei grandi è violento nella distruzione precoce dell’innocenza dei piccoli. Lo chiamano crescere, disilludersi, come quando una madre commenta soddisfatta di come la figlia si sia lasciata col fidanzatino, perché deve fare esperienze e in fondo non è vero amore a quella età. Poi lei, alla sua di età, è divorziata. Così pensando, non è mai vero niente, perché si nega l’autenticità dei rapporti. Un palcoscenico di autoinganno, ipocrisia e finiti guadagni, che inizia con la perdita del buon senso e finisce sul lettino dello psichiatra.
Le fiabe dei Grimm sono forse l’ultimo scoglio laico sul quale si può ancorare un po’ di senso comune. “Le fiabe nella loro essenza sono solide e leali, […] questa infinita finzione sulla vita moderna è nella sua natura sostanzialmente inverosimile”. Il problema posto dalla fiaba è lo stesso che si pone più o meno consapevolmente ogni bambino quando si sveglia la mattina: “cosa farà un uomo sano in un mondo fantastico?”.
Il mondo moderno non ha nulla di fantastico, perciò il Signore disse: chi non è come questi piccoli. Abbiamo tanta fantascienza, che è letteratura dell’inverosimile, ma ogni giorno si riduce il fantastico in noi e sul pianeta. Coraggio, fedeltà, ragionevolezza, lealtà hanno lasciato il passo a virtualità, meschinità, surrogazione e Alexa in casa, che è solo il nome nuovo del 1984 orwelliano: un microfono aperto che origlia quello che dici, a cui hai persino flaggato la policy. Usare l’Intelligenza artificiale non è fantastico, come superficialmente si crede: è da scemi, è derubricare il ragionamento dando carta bianca a una governante virtuale della propria mente.
Nelle fiabe il cosmo intero impazzisce, ma l’eroe no. Nella mentalità contemporanea è l’uomo a essere impazzito già prima che la storia inizi. Un pazzo in un mondo stanco. Perciò preferisce allevare i figli in batteria. Perciò la scuola alleva polli e galline incapaci di pensiero discordante: sotto il velo della favoletta preconfezionata raccontata ai genitori, il pensiero critico viene prepotentemente represso, se non ti adegui sei un tacchino o, peggio ancora, sei un pavone e la ruota non la puoi fare, altrimenti discrimini i polli del primo banco. “Ma un uomo che pensa di essere un pollo si vede comune come un pollo”.
Ecco dunque che appare fantasticamente culturale bigiare la scuola per il pianeta, diventa libero arbitrio accettare di portare una mascherina quasi inutile o tremendamente rivoluzionario partecipare a un corteo nazionale di protesta contro il patriarcato, direttamente organizzato dal governo. Ma da quando la rivoluzione viene organizzata dal potere? E da quando la ragione è divenuta aliena dal cervello umano?
“Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”, diceva Jessica Rabbit nel 1988. Sì, essere superficiali è una forma di autodifesa, perciò anche se con Oscar Wilde crediamo che solo le persone superficiali non giudichino dalle apparenze, questa volta non ce la sentiamo proprio di giudicare un cartone animato in abito da sera.
FONTE : Ricognizioni
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