Pensierini...
Dec 01, 2023di Giglio Reduzzi
1. I giovani in piazza
I giovani che a Napoli vanno in piazza a protestare perché prima avevano il Reddito di Cittadinanza ed ora non ce l’hanno più mi mettono tristezza.
Sì perché mi ricordano la distanza abissale che corre tra loro, che pure sono nostri connazionali, e quelli dell’ambiente da cui provengo io, dove molti, pur di lavorare, lavorerebbero anche gratis.
Lo so che a Napoli (e non solo lì) non ci crederanno, ma io ho un parente che ha lasciato il posto fisso che aveva in un ufficio postale perché non lo facevano lavorare abbastanza e lui si annoiava.
Mi ha infatti raccontato che dove lui era impiegato vigeva la regola secondo cui ogni portalettere doveva consegnare cinquanta chili di posta al giorno.
E siccome lui quell’incombenza la svolgeva in meno di ora, non gli andava di fare le parole crociate o far finta di lavorare per il resto della giornata.
Ragion per cui, dopo pochi mesi, decise di dimettersi, optando per un’attività che prometteva di impegnarlo maggiormente, senza peraltro offrirgli un compenso più elevato.
Inutile dire che ai colleghi ed allo stesso capufficio egli dovette dare una motivazione diversa, perché, se avesse fornito quella reale (nessuno di loro era originario del posto), lo avrebbero preso a male parole.
Il mio timore è che questo modo di valutare l’efficienza di un dipendente statale (un tanto al chilo) valga per l’intero comparto del pubblico impiego o buona parte di esso.
Per esempio, ma è solo un esempio, temo che al controllore di biglietti ferroviari basti comminare due contravvenzioni al giorno (anche se potrebbe tranquillamente prescriverne venti) per ricevere il compenso aggiuntivo riservato a coloro che raggiungono il target annuale.
Oppure che al funzionario della Questura venga chiesto di rilasciare almeno trenta passaporti al giorno (anche se potrebbe benissimo rilasciarne trecento).
Tutto ciò al fine di occupare il maggior numero possibile di persone, a costo di privarle per sempre della soddisfazione personale derivante dalla consapevolezza di aver svolto un lavoro produttivo.
Non credo infatti che la redazione di un certificato anagrafico, o la consegna a domicilio di un pacco, possa costituire motivo di gratificazione.
Il che rende comprensibile, anche se non giustificabile, il fenomeno dell’assenteismo che si verifica in molti settori del pubblico impiego, mentre rende lodevole, oltre che giustificabile ,il comportamento di chi, come il mio parente, opta per l’abbandono.
2. L’appellativo che non si usa mai
Da frequentatore dell’estero ho notato che noi italiani, e forse solo noi, abbiamo un debole per i titoli accademici e le qualifiche professionali.
Ragion per cui solamente agli stranieri, che non conoscono queste nostre bizzarre preferenze, concediamo di chiamarci “signore” (o, se del caso, “signora”), invece che con il titolo di “dottore” o “ingegnere”, quando, beninteso, ne abbiamo legale diritto.
Per esempio, in un noto talkshow televisivo, la signora Elisabetta Gualmini, che pure dovrebbe avere pratica di mondo, si dichiarò offesa quando uno dei suoi interlocutori la chiamò “signora”, anzichè “professoressa” od “onorevole”, dato che lei, oltre che docente universitaria, era (ed è tuttora) parlamentare europea (del PD).
La cosa mi è parsa molto strana, anche perché sono sicuro che se a Bruxelles qualche suo collega del nord Europa dovesse chiamarla “signora”, o più verosimilmente “sig-nora”, lei non si offenderebbe affatto.
Infatti il termine “signore” (anche se spesso viene pronunciato “sig-nore”) è l’equivalente italiano di Mister, Monsieur, Herr, Señor ecc. , cioè dei titoli con cui i nostri vicini europei chiamano i loro connazionali, anche quando questi ultimi sono plurilaureati o capitani d’industria.
Peraltro la denominazione di “signore” dovrebbe essere superiore a qualsiasi altra qualifica, visto che è lo stesso termine con cui spesso ci rivolgiamo a Dio.
(Aiutaci Signore!)
Nel mondo anglosassone, com’è noto, solo il medico viene chiamato con il termine di dottore, spesso abbreviato in “doc”.
Tutti gli altri vengono chiamati signori (Mister), anche se sono premi Nobel.
Anzi in America è più facile che ti chiamino con il tuo nome di battesimo e usino il “Mr.” (seguito dal cognome) nelle sole cerimonie pubbliche e neanche in tutte.
Purtroppo in Italia questo non succede, anche se, in tutta onestà, debbo dire che il disagio manifestato dalla signora Gualmini in quell’occasione (e di cui magari ora è pentita) si osserva sempre più raramente.
Specialmente tra i giovani e giovanissimi.
Prima o poi, anche in Italia tutti si daranno del tu e nessuno farà più caso al titolo di studio.
Ma rimangono molte sacche di resistenza.
Tra queste spicca la categoria dei magistrati che continuano a firmarsi “dott.”, nonostante nelle loro sentenze gli imputati vengono citati senza alcun titolo e rispettando la prassi tutta burocratica di mettere prima il cognome e poi il nome.
Un’altra piccola sacca è quella delle persone importanti, per lo più anziane, che però non sono laureate e pertanto non possono essere chiamate “dottore”.
Allora le si chiama “presidente”, oppure “direttore”, cioè con la qualifica relativa alla prestigiosa carica professionale che hanno od hanno avuto.
E’ il caso di Fausto Bertinotti, che, non avendo una laurea, ma essendo stato Presidente della Camera dei Deputati (peraltro per due soli anni), viene regolarmente chiamato “Presidente”.
Vittorio Feltri invece, anche lui senza titoli accademici ma con un sacco di altri meriti, avendo diretto molti giornali, viene chiamato “Direttore”.
Il termine di “Signore”, nonostante la sua intrinseca nobiltà, tanto da essere riferito anche a Dio, non viene mai usato, se non per illustri sconosciuti.
Persino nel popolare gioco televisivo condotto da Amadeus la persona che in America verrebbe chiamata Game Manager lì viene chiamata “dottore”.
Ricordo nitidamente che i fratelli di Papa Roncalli, quando venivano chiamati “signori”, si schermivano, perché ritenevano che il titolo non si confacesse alla loro condizione di contadini.
In altre parole, si risentivano per la ragione opposta a quella per cui si riteneva offesa la signora Gualmini: per loro era troppo, per quest’ultima era poco.
Sono anche sicuro che l’avvocato Gianni Agnelli, da noi conosciuto come “Avvocato”, non si risentisse affatto quando, all’estero, qualche tedesco lo chiamava “Sig-nor” Ag-nelli e qualche americano semplicemente “John”.
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