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Renoir, dall’Impressionismo alla ricerca dell’eterna bellezza

chiara pajetta impressionismo pierre-auguste renoir Mar 27, 2023

di Chiara Pajetta

Pierre-Auguste Renoir fu uno dei massimi esponenti dell’Impressionismo, sebbene questa fase della sua produzione fu piuttosto breve. Il viaggio in Italia del 1881-1882 rappresentò una svolta per la sua arte, come sottolinea la mostra a Rovigo intitolata “L’alba di un nuovo classicismo”.

“Ho deciso improvvisamente di partire e sono stato preso dalla smania di vedere Raffaello. Sto dunque per divorare la mia Italia”. Queste le parole di Renoir, il grande maestro francese, a una sua estimatrice e collezionista. In realtà l’inquietudine e l’insoddisfazione lo tormentavano già da tempo (tanto che non aveva partecipato alla quarta mostra degli Impressionisti del 1879 e rifiuterà di contribuire anche alle successive). Intraprese infatti un viaggio in Italia nel 1881-1882, un tour con tappe a Venezia, Firenze, Roma e il golfo di Napoli, premessa di una rivoluzione creativa che portò l’artista ad abbandonare la tecnica e la poetica impressionista. A dire il vero, Pierre-Auguste Renoir (Limoges 1841-Cagnes-sur-Mer 1919) è stato uno dei massimi esponenti di questa corrente artistica innovativa, ma questa fase della sua produzione fu piuttosto breve. Il viaggio in Italia gli consentì di voltare pagina, soprattutto grazie ai maestri del passato: sentiva il bisogno di meditare sulla tradizione, che non era per lui qualcosa di “vecchio” e superato, ma non poteva neppure essere semplicemente imitata.

Renoir trova la luce nella pittura - grazie alla resa del colore - senza stare all’aria aperta”, proprio ammirando Tiepolo e Carpaccio a Venezia, gli affreschi di Raffaello a Roma o la pittura pompeiana a Napoli, come sottolinea acutamente Paolo Bolpagni, il giovane studioso e curatore della mostra, aperta fino al 25 giugno nella sede di Palazzo Roverella, a Rovigo. Infatti riconosce che anche i grandi maestri del passato sapevano meravigliosamente catturare la luce nei loro dipinti, ben prima della svolta della pittura en plein air (“all’aria aperta”) che intendeva rappresentarne la caducità e gli effetti su colori e forme. Renoir non dimentica le pennellate impressioniste, ma nelle sue opere c’è più solidità. Che cosa cerca ora l’artista nelle sue nuove creazioni, dopo la lezione dei maestri rinascimentali e delle pitture pompeiane e il fascino della luce mediterranea? Non si accontenta più di stati d’animo passeggeri, vuole “cogliere l’eterna bellezza”. Le linee diventano più nette, i contorni definiti, le forme plastiche: il pittore ormai quarantenne sceglie un’attenzione ai volumi, alla monumentalità, che ci introducono alla sua personale nuova accezione di classicismo.

Nella Bagnante bionda (Baigneuse blonde, 1882), la modella ventiduenne Aline Charigot è ritratta come una Venere dalla carnagione levigata, in un’armonia di rosa, malva e grigi. Quella che sarà la futura moglie dell’artista, nel dipinto manifesto della mostra, appare con lo sguardo incantato rivolto verso un orizzonte lontano, davanti a un mare azzurro (probabilmente quello della baia di Napoli), in un gioco abilissimo di chiaroscuri, appresi dall’arte antica e dagli affreschi di Raffaello alla Villa Farnesina di Roma. Renoir, insomma, ragiona sulla tecnica pittorica per modificare la propria maniera, allontanandosi dalla poetica impressionista, improntandola in senso classico, con un’attenzione alla precisione del disegno e alla nitidezza della linea. Non si accontenterà più dei passatempi parigini, basti pensare a opere precedenti come il Ballo al moulin de la Galette (1875-1876) o a Dopo il bagno (Après le bain, 1876), in cui prevalgono ancora l’interesse per le vibrazioni della luce e l’impressione istantanea, con i soggetti colti all’aperto. In mostra, accanto a questi dipinti, sono collocati quelli di artisti italiani che nello stesso periodo operano a Parigi, come Giovanni Boldini, Giuseppe de Nittis e Federico Zandomeneghi, che condividono con lui i tentativi delle avanguardie. Ma Renoir cerca altro.

Se nei suoi quadri una giovane donna come Aline si trasforma in una dea, è evidente che dipingere figure eterne, classiche, esprime la sua ricerca dell’assoluto. Proprio quello che aveva intravisto nei capolavori di Tiziano, Rubens o Tiepolo (sapientemente esposti a confronto in mostra) e che lo fanno diventare “un classico della modernità”. Insomma Renoir, grazie al suo viaggio in Italia, ha imparato “la grandiosità e la semplicità dei pittori antichi” e addirittura, a proposito di Raffaello, riconosceva che il grande maestro “non dipingeva all’aperto, ma aveva studiato il sole, perché i suoi affreschi ne sono pieni. Io invece, a forza di vedere l’esterno, ho finito per prestare troppa attenzione ai piccoli particolari che offuscano il sole invece di esaltarlo”. Tuttavia non è un “passatista”, la sua lezione si pone quasi fuori dal tempo e diventerà modello per gli artisti che tra le due guerre tenteranno di incarnare una “moderna classicità”, come lo stesso de Chirico. Ciò che gli interessa è cogliere “l’autentica essenza del reale”. Ha sicuramente preso dalla tradizione, ma è diventato egli stesso tradizione, proprio perché era un pittore in perpetua ricerca, concentrato in un’intensa e personale riflessione sulla classicità. Un percorso che lo imporrà come maestro per le nuove generazioni.

Costretto in tarda età su una sedia a rotelle, per dipingere si farà legare i pennelli alle mani deformate. Sceglierà come suo rifugio Cagnes-sur-Mer, nel sud della Francia, dove si trasferirà per curare la grave artrite alle mani che lo tormentava da tempo. Qui si recheranno in pellegrinaggio giovani artisti come Picasso e Matisse, affascinati dalla sua “nuova” pittura. “L’anziano artista che scolpisce, disegna e rende plastica la luce in una densità pittorica squisitamente artificiale, come l’ultimo Tiziano o Rubens”, non appare più come il “cantore dell’atmosfera e dell’aria aperta”, di stampo impressionista. Ormai abbandonata la tecnica en plein air, dipinge “a memoria”, immergendosi in un “altrove” che è senza tempo. E qui dimostra tutta la grandezza di un genio che con le sue opere voleva esprimere la gioia, convinto che malgrado la fatica del dipingere, soprattutto degli ultimi anni, “la sofferenza passa, la bellezza resta”.

 

 

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