«Una guerra inspiegabile, non avevamo problemi con i russi»
Mar 16, 2022di Riccardo Cascioli
Un primo gruppo di 24 persone ucraine, di cui 15 bambini, è appena arrivato nella Comunità Shalom di Villa d'Adda, in fuga da Nikolaev, città teatro in questi giorni di un vero e proprio assedio. Dopo dieci giorni vissuti in cantina, hanno approfittato di un corridoio umanitario per fuggire a Odessa e da lì in Moldavia. «Non aspettavamo questo attacco, il giorno prima dei bombardamenti abbiamo tranquillamente festeggiato il compleanno di un bambino, noi parliamo tutti il russo, non c'era alcuna discriminazione».
«No, non avevamo la minima idea che i russi stessero per attaccarci, il giorno prima dei bombardamenti abbiamo anche festeggiato il compleanno di un bambino. È incomprensibile, non abbiamo mai avuto problemi con i russi, tutti noi parliamo anche russo». Alla, 48 anni, è ancora incredula. Stanchissima, è appena arrivata nella Comunità Shalom di Villa d’Adda (Bg) dove da ieri mattina è ospite insieme ad altre 23 persone, 15 minorenni e 9 adulti. Nove bambini fanno parte della sua casa-famiglia che teneva a Nikolaev, le altre coppie con figli sono comunque parenti.
A Villa d’Adda arriverà domani un altro gruppo di 15 bambini provenienti da un orfanotrofio ucraino, mentre altre venti donne con bambini hanno trovato rifugio nella sede più grande della Comunità Shalom, a Palazzolo sull’Oglio, sempre in provincia di Bergamo. Le suore e i ragazzi della Comunità hanno lavorato sodo, giorno e notte, negli ultimi giorni per garantire un’ospitalità dignitosa: «Trovare strutture per l’ospitalità non è semplice – mi dice Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi., l’associazione che ha curato il trasferimento in Italia e ha accompagnato questo gruppo a Villa d’Adda – e suor Rosalina (la fondatrice della Comunità Shalom, ndr) è stata subito pronta a rispondere alla nostra richiesta. Questa è la prima casa-famiglia che viene ospitata in Italia».
Alla e il suo gruppo sono appena arrivati dopo due giorni di viaggio, alcuni con due auto e gli altri in autobus, dopo essere riusciti a raggiungere la Moldavia. «Per dieci giorni dopo l’inizio dei bombardamenti a Nikolaev abbiamo vissuto in cantina, poi abbiamo sfruttato l’apertura di un corridoio umanitario per raggiungere Odessa. Qui siamo rimasti ancora due giorni prima di poter arrivare in Moldavia, poi da lì finalmente sabato mattina siamo partiti alla volta dell’Italia».
Insieme ai loro bambini e ai figli più grandi si sono appena rifocillati alla Comunità Shalom. I bambini ora giocano all’aperto nell’ampio parco che circonda la casa, mentre i più grandi stanno trasferendo dalle auto gli effetti personali che sono riusciti a portare con sé. Insieme ad Alla c’è la sua consuocera Natasha e una donna ucraina che ci fa da interprete, Alina, che vive e lavora da venti anni nel paese vicino, Calusco. Anche lei ha un figlio rimasto in Ucraina, chiamato al servizio militare, mentre sua moglie e la bambina sono già arrivate in Italia: essendo nella zona di Leopoli non è ancora in prima linea, ma la paura è molta, ogni giorno le sirene suonano e si vive nella paura.
A Nikolaev, Alla e suo marito Nikolaj gestivano una trattoria, un’azienda di pompe funebri e avevano un camion per servizio di autotrasporti; si erano costruiti una casa a due piani dove vivevano con due dei loro quattro figli e i nove bambini affidati dai servizi sociali. Una piaga in Ucraina quella dei minori in stato di abbandono o affidati perché le famiglie sono troppo povere per sostentarli: sono ben 98mila su una popolazione di 40 milioni di persone, mentre in Italia sono meno di 30mila su una popolazione di 60 milioni (ed è comunque una cifra già impressionante).
La vostra casa è stata colpita? «Non fino a quando siamo scappati, ma ora chi lo sa?». Non a caso la prima cosa che chiedono è delle sim italiane per poter telefonare e avere notizie dei loro parenti e amici. Nikolaev in questi giorni è proprio sulla linea del fuoco, il sindaco è stato preso come ostaggio dalle forze russe e i bombardamenti si susseguono. Natasha ci fa vedere le immagini delle case distrutte a Nikolaev già i primi giorni dell’attacco, un vero disastro, possiamo immaginare ora.
Il marito di Natasha lavorava in Polonia, è tornato in Ucraina per aiutare la sua famiglia ma non gli è stato possibile uscire di nuovo dal Paese perché i loro figli non sono piccoli e lui deve restare per combattere. Attualmente infatti sono autorizzati a lasciare l’Ucraina solo bambini, anziani, uomini con patologie che li rendono inabili al servizio militare e padri di famiglia che hanno almeno tre bambini piccoli.
Alla, infagottata in una tuta blu e un piumino chiaro, con un berretto rosa di lana che sembra rubato a una bambina, si commuove al pensiero della propria casa e di quanto vissuto in queste settimane. Una delle figlie era già scappata in Germania al primo attacco. Si vede che è una donna forte e decisa ma è chiaramente frastornata, e ripete che quanto sta avvenendo è incomprensibile: «Vivevamo tranquilli, non c’era nessuna discriminazione, noi tutti parliamo russo, non è spiegabile. Putin dice che vuole liberare l’Ucraina dal nazionalismo, ma noi stavamo bene, non c’era alcuna discriminazione».
Nikolaev è poco a nord della Crimea, che la Russia si è annessa con un colpo di mano nel 2014, e ad ovest della regione contesa del Donbass, negli anni scorsi c’è stata tensione, c’è stata guerra: «Da noi non c’è mai stato nulla – replicano in coro Alla e Natasha – russi, ucraini, tutti uguali. È una guerra assurda, anche tanti soldati russi non hanno voglia di combattere, abbiamo visto filmati con i soldati che svuotano i serbatoi dei carri armati così non possono andare avanti».
Ma allora come vi spiegate questo attacco? «Non so – risponde Alla -, è una cosa politica, non so che cosa Europa e Nato abbiano promesso a Zelensky, lui dice che si sente tradito, ma non bisognava arrivare a questo punto, bisognava trattare prima, bisognava evitare tutto questo». Ma adesso cosa accadrà? «Siamo felici di essere stati accolti in Italia, ma speriamo di poter tornare presto in Ucraina, non appena finisce questa guerra vogliamo tornare». Nessuno di loro infatti ha intenzione di chiedere asilo politico, almeno per questi primi tre mesi in cui non è richiesta alcuna scelta. Sperando che tutto davvero finisca molto prima.
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