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VIDEO. I santi sono tra noi di Emanuele Gavi

emanuele gavi Nov 01, 2021
 
Egregio Direttore,
 
che la nostra cultura sia fondata sul cristianesimo (non solo su di esso: questo è evidente), e di cristianesimo sia ancora permeata, non è una fantasia del filosofo Marcello Pera, di cui anni fa uscì il libro Perché dobbiamo dirci cristiani.
 
Una mia alunna mi ha scritto che il 25 dicembre non festeggia Gesù Bambino, ma Carlo Magno. Benissimo. Però Carlo Magno fondò il Sacro Romano Impero, non il Laico Romano Impero, e la notte di Natale si fece porre sul capo il diadema imperiale dal papa, mica dal Dalai-Lama.
 
Un piccolo esempio di questo retroterra cristiano, che ancora resiste in quel medioevo ateo che è la nostra epoca, lo mostra la frequenza con cui incontriamo i nomi dei santi anche dove non ci aspetteremmo di trovarli.
 
Che san Silvestro sia sinonimo di veglione di Capodanno, o san Giovanni di feste paesane e fuochi, dai falò di pavesiana memoria a quelli artificiali, è scontato: gran parte delle festività del nostro calendario, volenti o nolenti, coincidono con quelle del calendario liturgico della Chiesa Cattolica. In certi casi rischiamo di non rendercene conto: se la festa dell’amore è San Valentino, quella dell’orrore è Halloween, termine che deriva dall’espressione All Hallow Even, cioè “vigilia di Tutti i Santi”, la solennità del primo novembre. Cui segue del resto il giorno dei morti, non quelli viventi, ma i cari che ci hanno preceduto si spera in paradiso. In molti paesi è San Nicola a portare i regali il 6 dicembre, magari indossando ancora la mitra vescovile (il cappello a punta, non la berretta da notte di Babbo Natale così come è stato disegnato dalla Coca Cola).
 
Dal calendario veniamo alla toponomastica. È altrettanto evidente il profondo legame del nostro territorio con il cristianesimo: San Gimignano, Santa Margherita Ligure, San Benedetto del Tronto, San Lorenzo al Mare (Imperia) o in Campo (Pesaro-Urbino), San Donà (Donato) di Piave, Santhià (contrazione di Sant’Agata)… E ancora il golfo di Sant’Eufemia sulla costa tirennica della Calabria, le isole di San Pietro e Sant’Antioco in Sardegna, la Valle dei Santi in provincia di Frosinone…
 
Non è un fenomeno soltanto italiano. Che Santiago (di Compostela, di Cuba, del Cile…) voglia dire San Giacomo è risaputo, mentre è più difficile ci vengano in mente i fondatori degli ordini mendicanti, San Francesco d’Assisi e San Domenico di Guzmán, quando vediamo un film ambientato a San Francisco o progettiamo una vacanza sulle spiagge caraibiche di Santo Domingo, la più antica città americana di origine europea, fondata nel 1496 da Bartolomeo Colombo, fratello minore di Cristoforo. Altri santi del turismo modaiolo? Saint-Vincent, Sankt Moritz, Saint-Tropez…
 
Tornando in Italia, quante celebri piazze del bel paese portano il nome di santi, dominate come sono da chiese e basiliche a loro dedicate? A Padova si chiama semplicemente piazza del Santo (il famoso “santo senza nome”): che si tratti di sant’Antonio è noto a tutti. Poi ci sono San Marco a Venezia, San Babila a Milano, San Giovanni a Roma, dove si tiene il concertone del primo maggio. E a proposito di musica, Sanremo, prima di essere il festival della canzone italiana, è un centro rivierasco il cui nome originario era in realtà San Romolo (in dialetto San Romu, divenuto in italiano San Remo: i gemelli allattati dalla lupa non c’entrano). Anche i cani San Bernardo devono il loro nome a un toponimo: il colle del Gran San Bernardo, dove i monaci che alloggiavano viaggiatori e pellegrini li allevavano per numerosi impieghi, tra cui quello che li ha resi celebri: ritrovare e salvare i dispersi.
 
Difficilmente pensiamo ai santi quando andiamo allo stadio: il San Siro di Milano (in realtà “Giuseppe Meazza”) o il San Paolo di Napoli. San Paolo dà il nome anche a una delle principali banche italiane. Non parliamo degli ospedali: a Genova c’è il San Martino, a Torino il San Giovanni Bosco, a Venezia l’ospedale SS. Giovanni e Paolo, a Roma il San Giovanni, il Sant’Eugenio, il San Filippo Neri, a Milano il San Raffaele, il san Giuseppe, il San Carlo Borromeo… Se non è piacevole farsi ricoverare all’ospedale, peggio ancora finire in carcere: San Vittore a Milano, San Pio X a Vicenza. Santa Barbara, il cui carnefice fu prontamente colpito da un fulmine, dà il nome invece ai depositi di esplosivo.
 
Gli asceti, si sa, praticano il digiuno, ma i santi sono ben presenti anche nel reparto alimentari. San Carlo imbusta le patatine, Santa Lucia le mozzarelle. Chi diffida dei vini “in cartone” starà alla larga dal San Crispino. Preferirà una bottiglia di Sangiovese (di etimologia incerta, forse abbreviazione di sangiovannese, cioè “abitante di San Giovanni Valdarno”). Negli anni Novanta andava Sanpellegrino, l’aranciata esagerata. No, grazie. Le bevande gasate fanno male allo stomaco. Bevo solo un sorso d’acqua. San Benedetto, ovviamente. O al limite Sant’Anna.
 
Cordiali saluti
 
Emanuele Gavi

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