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Zero ricoveri nella trincea delle cure domiciliari precoci

Dec 13, 2021

La cura del Covid a domicilio interessa ancora a qualcuno? Dovrebbe, dato che il vaccino non può garantire un’immunizzazione sterilizzante dall’infezione. 

Dopo lo studio Remuzzi-Suter targato Istituto Mario Negri, che ha avuto il merito in Italia di imporre il tema delle cure domiciliari anche nel campo delle pubblicazioni scientifiche, è di questi giorni la pubblicazione di un nuovo studio che sfrutta la precocità d’intervento nel trattamento del covid.

È stato pubblicato su Medical Science Monitor e parla italiano. I due autori coresponsabili sono il professor Serafino Fazio e il professor Paolo Bellavite (leggi QUI gli articoli che ha scritto per la Bussola in questi mesi), ma si è avvalso anche della professionalità di altri medici (leggi QUI la pubblicazione dello studio con i nomi degli altri autori).

A fornire i pazienti per questa sperimentazione emergenziale, svoltasi tra la fine del 2021 e l’aprile 2021, quindi nel pieno della seconda ondata, è stato il Comitato per le Terapie precoci fondato dall’avvocato Erich Grimaldi (in foto), che in questi mesi ha costruito una rete capillare di medici sul territorio, i quali hanno curato i pazienti spesso abbandonati dai loro medici di base. Ebbene: l’esperienza sul campo ha indotto Fazio a sviluppare le sue intuizioni ed arrivare così ad uno studio retrospettivo composto da due gruppi.

I risultati sono incoraggianti e parlano di un azzeramento dei ricoveri se la terapia viene messa in atto nei primi tre/quattro giorni. Ancora una volta a decretare l’esito favorevole è la tempestività d’intervento. La Bussola ha intervistato il professor Fazio (nella foto in basso), una vita nella clinica e già professore associato di Medicina interna all’università policlinico Federico II di Napoli.

Professore, in che cosa consiste il vostro schema terapeutico?
Si basa sull’associazione di quattro principi attivi: indometacina, acido acetilsalicidico, esperidina e quercetina.

Veniamo al primo: l’indometacina.
In commercio si trova con il nome di Indoxen. È un antinfiammatorio molto comune, che conosciamo da molto tempo, ma che ha anche una proprietà specifica.

Quale?
Ha una importante azione antivirale, come testimoniano studi come quello dello Spallanzani di Roma, che nel 2006 ha dimostrato la sua utilità antivirale anche contro la Sars, mentre altri studi lo hanno testato con successo contro il SarsCov2.

Come funziona?
Inibisce l’ingresso del virus all’interno delle cellule dell’organismo.

Come è arrivato a questo farmaco?
È un antinfiammatorio che ha una storia importantissima, nella mia carriera l’ho utilizzato anche per le pericarditi e le miocarditi virali. Credo che sia stato assurdo non averlo preso in considerazione fin dall’inizio della pandemia.

Rispetto agli altri antinfiammatori utilizzati che differenze ha?
A parità di azione antinfiammatoria è la sua acclarata azione antivirale. Ci sono già degli studi, che abbiamo inserito in bibliografia, che attestano l’utilità dell’indometacina nella cura del Covid. Ad esempio, c’è uno studio indiano che ha messo a confronto due gruppi: un centinaio di pazienti trattati con indometacina e un centinaio trattato con paracetamolo.

Il risultato?
Che nel secondo gruppo sono aumentate esponenzialmente le ospedalizzazioni. Successivamente anche uno studio cinese ne ha messo in luce ottime risposte.

Veniamo alla cardioaspirina…
Come è ormai noto, questo virus scatena fatti trombotici rilevanti. Se entra nel circolo ematico può attivare le piastrine. Ebbene: il dosaggio basso di acidoacetilsalicidico (la cosiddetta Aspirinetta o Cardioaspirina, ndr) impedisce il rischio di iper-aggregazione piastrinica che può determinare le trombosi.

E invece le altre due sostanze?
Sono nutraceutiche e naturali. La quercetina e l’esperidina sono state aggiunte all’indometacina perché hanno anche loro un effetto sinergico di tipo antivirale: associate all’indometacina potenziano i suoi effetti antivirali, in particolare nel bloccare l’ingresso delle cellule nel circolo ematico. Ci sono studi che lo dimostrano.

Quindi, lo schema contempla un’azione antinfiammatoria, una antivirale e una antitrombotica?
Esatto. Ma attenzione: lo schema mette un punto fermo preciso.

Quale?
La tempestività. Il virus rimane nelle mucose del cavo orofaringeo, nel naso e nell’intestino pochi giorni. Poi avviene la cosiddetta seconda fase che necessita l’utilizzo di farmaci diversi.

Una volta effettuati i trattamenti che cosa avete fatto?
Abbiamo suddiviso la popolazione in due gruppi a seconda del tempo di intervento. 85 pazienti entro tre giorni dalla somministrazione e 75 nei quali si è intervenuti dai 4 ai 9 giorni successivi.

Risultati?
Nessuna ospedalizzazione nel primo gruppo e scomparsa dei sintomi nei primissimi giorni (vedi grafico a fianco, ndr), nel secondo 14 ospedalizzati. Ovviamente per quelli che tendevano ad aggravarsi e non rispondevano allo schema è stata aggiunta la terapia potenziata: cortisonici, eparina e antibiotici, come consigliato anche nelle note dell’Aifa. Ho fatto altre analisi e ho notato che i pazienti guariti dal covid avevano spesso un didimero molto aumentato. Come noto, è un marcatore della coagulazione, metabolita del trombo, quando aumenta significa che ci sono state delle trombosi. Ebbene: molti pazienti nel gruppo due, quelli tardivi, avevano il didimero aumentato, in particolare 22 rispetto ai 2 soli pazienti nel gruppo trattato precocemente.

Che cosa significa questo?
Che la terapia iniziata precocemente determina una protezione su questo parametro ematologico legato alle trombosi. Un’altra cosa: ho fatto fare a tutti una radiografia del torace per vedere a posteriori chi era stato colpito da problemi respiratori: c’erano esiti di polmonite solo in un caso trattato precocemente, mentre esiti di polmonite in 30 dei 75 pazienti trattati tardivamente.

Un risultato incoraggiante nel senso delle cure precoci. Che cosa bisogna fare ora?
Io credo molto nella terapia che ho fatto, ma questo non è uno studio randomizzato per stabilire una terapia ufficiale, ma solo per la presa in cura dei pazienti e scongiurarne l’ospedalizzazione. Servirebbero studi randomizzati con gruppo di controllo, ma è difficile in contesti epidemici come questo.

Però, sul web sono già partite le critiche alla rivista scientifica considerata poco autorevole.
Sono attacchi assurdi. Si tratta di una rivista con un impact factor 2,6, non è alto, ma neanche basso, ma non le nascondo la difficoltà che abbiamo incontrato nel pubblicarla. Il nostro studio è stato valutato da tre revisori autorevoli e da un editor. Il problema è legato alle cure domiciliari che non vengono viste di buon occhio, se c’è un limite della comunità scientifica è proprio quello di non aver preso in considerazione subito quei farmaci che avevano un meccanismo d’azione che poteva funzionare e insistere sulla ricerca. Si è perso molto tempo.

Che cosa vi augurate?
Nessuno di noi ha fatto questo lavoro per ambizioni di carriera, alcuni di noi sono in pensione. C’è solo la voglia di mettere il tema della cura del covid al centro delle priorità. Non certo di invitare la gente a correre a cercare questi farmaci. Il nostro è soltanto un contributo dato alla comunità scientifica che nasce dall’esperienza sul campo del comitato Terapie domiciliari Covid.

Cure o vaccini?
È una domanda mal posta: le malattie infettive si combattono con le cure e con i vaccini, essendo una pandemia da virus sconosciuto, andava affrontata con più armi a disposizione. Io stesso sto curando con questo schema pazienti vaccinati che si contagiano.

fonte: https://lanuovabq.it/it/zero-ricoveri-nella-trincea-delle-cure-domiciliari-precoci

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